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A proposito del MArTa

Non so se il ministro e vicepremier Luigi Di Maio abbia mai avuto l’occasione di visitare il MARTA, il Museo Archeologico di Taranto, e se la sua dichiarazione sull’assenza di musei degni dell’importanza del patrimonio archeologico tarantino sia dovuta a un difetto di informazione o, come potrebbe essere possibile (e come sarebbe auspicabile), al desiderio di investire nuove risorse sull’ulteriore potenziamento del MARTA e sull’arricchimento della produzione e dell’offerta culturale a Taranto.

È forse, in ogni caso, utile ricordare che a Taranto è attivo fin dal 1887 un Museo Archeologico, istituito con un regio decreto di Umberto I, tra i più rilevanti a livello internazionale. Fin dalle origini, in quella straordinaria fase successiva all’Unità d’Italia caratterizzata dalla costruzione di un’identità nazionale fondata sulle tante specificità territoriali, il museo tarantino fu concepito dal primo direttore Luigi Viola come rappresentativo non solo della storia antica della città ma dell’intera Magna Grecia e in particolare delle antiche civiltà della Puglia, per illustrare quel rapporto di incontro/scontro tra greci e indigeni. Se, infatti, fino a quel momento, la maggior parte dei materiali rivenuti nel corso di scavi o di scoperte fortuite confluiva nella capitale del regno borbonico, nel grande museo di Napoli, da allora il neonato museo tarantino cominciò a ospitare i reperti restituiti soprattutto dalle stratigrafie cittadine, in particolare le sue ricche necropoli, ma anche da varie località della Puglia.

Gestito fino al 2015 dalla Soprintendenza archeologica, di cui era anche sede (con soprintendenti archeologi di grande rilievo, come Quintino Quagliati, Renato Bartoccini, Ciro Drago, Nevio Degrassi, Attlio Stazio, Felice Gino Lo Porto, Dinu Adamesteanu, Ettore M. De Juliis, Giuseppe Andreassi e infine Luigi La Rocca), il MARTA, è stato scelto, nel quadro delle recenti riforme del MiBAC, tra i primi grandi 20 musei nazionali dotati di un’autonomia organizzativa, gestionale e scientifica, con un proprio consiglio di amministrazione e un qualificato comitato scientifico. Da allora è cominciata una nuova storia, che vede protagonista l’attuale direttrice Eva Degl’Innocenti, un’archeologa toscana con esperienze museali all’estero trapiantata nella città dei due mari, dove è molto attiva. I risultati sono evidenti: è pari al 203% l’incremento dei visitatori, che lo scorso anno hanno raggiunto quota 80.000 (l’anno in corso segue lo stesso trend), ma soprattutto il museo è sempre più sentito dai tarantini come la propria casa, un presidio di crescita culturale e di sviluppo, un elemento essenziale dell’identità di una comunità molto provata. I più attivi frequentatori  e ‘ambasciatori’ del museo sono diventati i bambini, che ora trovano laboratori e occasioni di crescita anche attraverso il gioco.

Dopo quasi un ventennio di chiusura (e un parziale spostamento a Palazzo Pantaleo), a causa di lunghi lavori di ristrutturazione e di riallestimento, realizzati con un notevole impegno della Regione Puglia anche grazie a fondi europei, dopo l’inaugurazione nel 2016 anche del secondo piano, oggi il MARTA presenta ai visitatori una panoramica assai ricca dell’archeologia: dalle cd. Veneri di Parabita allo Zeus di Ugento, dalla Tomba dell’atleta agli Ori (diventati celebri in tutto il mondo grazie a una fortunatissima mostra degli anni Ottanta), dalla ricca collezione di vasi figurati attici e magnogreci ai mosaici romani. Sarebbero centinaia gli oggetti di grande pregio da elencare: ma il MARTA è qualcosa di più, perché è l’intero contesto dei tanti corredi funerari, delle sculture, delle ceramiche, dei vetri, dei metalli, dei manufatti della vita quotidiana a rendere possibile al visitatore un vero viaggio nella storia di Taranto e della Puglia.

Un museo non è, però, solo un insieme di vetrine e di reperti. Ecco perché il MARTA sta diventando sempre più il promotore di un’intensa politica culturale e anche scientifica: mi limito a citare solo due progetti, il MARTA 3.0, che favorirà la digitalizzazione e la comunicazione multimediale, grazie ai fondi PON, e FISH. & C.H.I.P.S. (Fischeries, Cultural Heritage, Identity and Participated Societies), un INTERREG Italia-Grecia, nel cui ambito è in programma anche una mostra archeologica su Taranto e il mare.

C’è, quindi, da sperare che la dichiarazione del ministro Di Maio possa nei fatti tradursi in un concreto sostegno alla crescita del MARTA: servirebbero, infatti, personale, ancora in deficit (nonostante i giovani archeologi assegnati dal ministero grazie all’ultimo concorso) e più risorse. Sarebbe necessario dar vita ad un sistema culturale e museale cittadino, di cui il MARTA potrebbe essere il fulcro. Un sistema che a sua volta andrebbe collegato con altre realtà museali, da Policoro, Metaponto e Matera a Sibari, Locri e Reggio Calabria, fino a Paestum, Pompei, Capua e Napoli, per realizzare un vero sistema museale della Magna Grecia. Sarebbe necessario dotare la città delle infrastrutture necessarie, a cominciare dai collegamenti. Sarebbe opportuno rilanciare a livello internazionale i Convegni tarantini sulla Magna Grecia, nati nel 1961 (negli stessi anni dell’inaugurazione dell’ILVA che allora si chiamava Italsider) che tra qualche giorno celebreranno la 58a edizione, e sviluppare l’attività di alta formazione e di ricerca, in particolare in alcuni ambiti specifici, tra cui il patrimonio culturale, privilegiando l’alta qualità e evitando inutili duplicazioni di corsi universitari. Sarebbero tante, insomma, le proposte possibili per far crescere un bel museo che c’è già e per dare a Taranto opportunità di sviluppo che altre scelte non hanno garantito.

Ecco perché spero anch’io che il ministro Di Maio accolga il gentile invito della direttrice Degl’Innocenti a visitare il MARTA. Per valutare cosa si potrà e dovrà fare per renderlo ancor più degno del patrimonio archeologico di Taranto e della Magna Grecia.

 Pubblicato in forma un po' ridotta in La Repubblica Bari 13.9.2018


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