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Archeologia, il ruolo sociale e culturale (e pure l’utilità)

In questo e in prossimi interventi, mi occuperò di alcune questioni che mi vedono impegnato a livello nazionale in un dibattito sulla situazione attuale e sulle prospettive della mia disciplina, l’archeologia, e più in generale dell’intero settore dei beni culturali: la formazione e l’insegnamento universitario, il ruolo e l’organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, le professioni e il futuro dei giovani, la funzione dell’archeologia e dei beni culturali nella società attuale. Sono temi ai quali sono interessato da sempre e che non ho abbandonato nemmeno in questi ultimi anni, nonostante il mio impegno prevalente nel governo dell’Università di Foggia – a breve avrò certamente più tempo e possibilità di occuparmene –, operando nelle consulte universitarie e nella SAMI (Società degli Archeologi Medievisti Italiani, di cui sono attualmente presidente) e nel Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici. Sono stati alcuni dei temi posti anche al centro della mia candidatura al Senato e che speravo di poter portare in Parlamento. Pur non essendo questioni strettamente legate all’ambito locale, spero che possano essere utili per cogliere, anche attraverso questi casi specifici, alcuni fermenti e alcuni problemi del mondo universitario e culturale italiano.

Nel mondo universitario sono attivi da sempre organismi di rappresentanza e coordinamento dei docenti di un determinato settore disciplinare, in alcuni casi denominati collegi, in altre consulte. Nel campo delle discipline archeologiche sono attualmente attive quattro Consulte universitarie, una per la Preistoria e Protostoria, una per l’Archeologia Classica (la più numerosa), una per la Topografia, una, infine, per le Archeologie postclassiche. Alcune di queste sono nate più recentemente, per gemmazione da quella di Archeologia Classica, per affermare specificità e favorire aggregazioni più omogenee, anche alla luce di una modifica dei settori scientifico-disciplinari effettuata una decina di anni fa.

Recentemente mi sono fatto promotore di un’iniziativa di rassemblement delle attuali consulte, per dar vita ad un nuovo organismo di rappresentanza, unitario e plurale, proponendo un appello, sottoscritto da oltre ottanta docenti di numerose università italiane e afferenti a diversi settori disciplinari archeologici, che qui ripropongo in parte.

L’archeologia ha conosciuto negli ultimi decenni un processo di profondo rinnovamento, tanto nei metodi quanto negli obiettivi. Contestualmente a questo processo - certamente non unilineare e non privo di ostacoli, contrapposizioni ed errori - si è andata affermando una maggiore consapevolezza di un nuovo ruolo culturale e sociale della nostra disciplina, anche se c’è ancora molto da fare per conquistare una maggiore considerazione sociale della ‘utilità’ dei nostri studi nella società italiana.

Nell’ambito delle discipline archeologiche si sono andati formando nel tempo settori specialistici, competenze raffinate, scuole guidate da autorevoli maestri, nicchie di alto prestigio internazionale, anche se i processi in atto nell’Università italiana stanno mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza. La necessaria e giusta consapevolezza della ricchezza e qualità delle nostre tradizioni di studi non deve impedire, però, di guardare avanti e di progettare nuovi orizzonti. Appaiono, peraltro, del tutto superate e anacronistiche le rigide divisioni settoriali, fondate su scansioni cronologiche o tematiche, a fronte della creazione e affermazione, nella teoria e nella prassi, di ambiti comuni rappresentati non solo dalle metodologie della ricerca e dalle tecnologie, ma anche e soprattutto dallo sviluppo di approcci fondati sulla multidisciplinarità (ben oltre i confini delle nostre stesse discipline), sulla multifattorialità, sulla diacronia nelle loro dimensioni specialistiche e al tempo stesso contestuali e territoriali. Non si tratta, infatti, di negare l’utilità degli specialismi, tutt’altro, ma di evitare il rischio denunciato da più parti che, anche nel nostro ambito, l’iperspecializzazione e la tecnicizzazione favorisca la perdita proprio di quella di autorevolezza sociale, politica e culturale, con i risultati che ogni giorno di più sono sotto i nostri occhi di tutti.

In tale contesto di profondi e rapidi cambiamenti, che riguardano sia la formazione e la ricerca, sia gli ambiti della tutela, della valorizzazione e della comunicazione, credo sia necessario, oltre che opportuno, dar vita a spazi comuni di confronto, di analisi e di progettazione, tra tutti gli archeologi operanti nelle Università, andando oltre e sviluppando ulteriormente l’esperienza delle attuali Consulte settoriali, che hanno svolto una funzione importante di aggregazione, in alcuni casi promuovendo l’incontro di settori in precedenza separati, se non addirittura in conflitto. Le attuali Consulte universitarie archeologiche, peraltro, non sono società scientifiche, che abbiano per oggetto sociale lo sviluppo degli studi su un determinato tema o periodo storico, ma aggregazioni di docenti interessati a difendere e valorizzare il ruolo delle discipline archeologiche nell’Università. Com’è ben noto a tutti, i problemi riguardanti le nostre discipline non sono esclusivi di uno specifico settore disciplinare, ma sono comuni a tutti: penso, solo a titolo di esempio, all’organizzazione della didattica e della ricerca nei dipartimenti, ai laboratori, ai nuovi corsi di dottorato, ai finanziamenti per i progetti di ricerca, alle concessioni di scavo e in generale ai rapporti con il MiBAC, all’archeologia preventiva, alla figura professionale dell’archeologo, al futuro della Scuola di Archeologia di Atene, ecc.

Più volte, recentemente, le varie Consulte si sono mobilitate insieme, si sono date forme di coordinamento e di azione comune, con risultati certamente positivi. È giunto forse il momento per effettuare un ulteriore passo in avanti, con un po’ di coraggio e in tempi abbastanza rapidi, visti i continui veloci cambiamenti – e non sempre in meglio – della situazione universitaria italiana. I temi e i problemi da affrontare sono, infatti, sempre più comuni, non riguardano e non possono riguardare l’archeologia preistorica diversamente dall’archeologia classica, dall’etruscologia, dalle archeologie postclassiche, dalla topografia antica. La scommessa riguarda, semmai, la difesa e lo sviluppo dell’archeologia tout court e non certo, in maniera ottusamente corporativa, di questo o quel settore specialistico, in una fase in cui pare prevalere una visione tecnocratica dell’università ed è l’intero comparto delle scienze umane ad essere sotto tiro, come dimostra una serie di interventi di natura politica e finanziaria: dalla sempre maggiore scarsità di finanziamenti alla quasi totale esclusione dai principali progetti europei, dalla spinta sempre più forte alla ricerca di finanziamenti nel settore privato, alla definizione dei criteri preposti alla valutazione con l’imposizione di sistemi bibliometrici e di parametri tratti dalle scienze dure.

Una Consulta altro non è che un organismo democraticamente funzionante che ha il compito di rappresentare al di fuori del nostro ambito esigenze, idee, proposte sentite e discusse innanzitutto fra di noi. Una Consulta deve rappresentarci in Parlamento e nelle sue commissioni, presso il Governo, e in particolare al MIUR e al MiBAC e ai suoi diversi organi, come ad esempio il CUN o il Consiglio Superiore per i BCP; deve portare la nostra voce al Parlamento e alla Commissione europea, alla Conferenza delle regioni, all’ANCI, presso i più importanti organi della stampa e della comunicazione digitale. Deve cioè fare un’opera di sensibilizzazione e di pressione, esercitando in modo trasparente e colto la nostra autorevolezza (se c’è) là dove si decidono cose fondamentali per noi e non solo per noi.

Una Consulta unitaria non toglie nulla al dibattito interno, anzi lo ampia. La Consulta potrà sempre articolarsi liberamente in sezioni o aggregazioni che affrontino  in qualunque momento problemi specifici, là ove si presentino. È difficile credere, al contrario, ad una articolazione federativa. In questi anni, ogni volta che si è prospettata l’esigenza di una fusione degli attuali organismi, si è avanzata la proposta di creare una federazione. Se ne parla da circa 15 anni e nulla è successo. Un motivo ci sarà. Un eccesso di pavori diplomatici ci fa stare fermi. Tutti insieme potremo invece dimostrare che abbiamo ancora tante cose da dire e tante proposte colte e concrete da mettere in campo su tutti i temi che riguardano l’archeologia. L’importante è non avere paura e prendere l’iniziativa nelle proprie mani.

 

Articolo pubblicato in L’Attacco, 3.5.2013, pp. 1, 22.


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