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Attenzione "musei" non deve far rima soltanto con Pompei

Domenica 3 maggio, complici anche il bel tempo e il lungo ponte, a Pompei si sono raggiunti numeri da record: 35.000 visitatori, un numero di gran lunga superiore al campione assoluto, il Colosseo, che in quella domenica è stato visitato da 20.000 persone. Numeri altissimi anche in altri musei e siti, come la Reggia di Caserta, con oltre 24.000 presenze o in altri, sempre in Campania, con 3.500 visitatori rispettivamente al Museo Archeologico di Napoli, a Ercolano, a Paestum. Ha ben ragione il ministro Dario Franceschini, che questa novità ha fortemente voluto, a esultare. Un suo tweet a fine mattinata di domenica, così festeggiava il successo: «#domenicalmuseo‪: alle 14 a Pompei 25629 visitatori (il doppio di aprile) Reggia Caserta 17059, Colosseo 13958 e lunghe file in tutta Italia!». E un comunicato del ministero ribadiva: «nuovo exploit per la domenica al museo: anche in questa edizione di maggio i visitatori hanno preso d'assalto i principali luoghi della cultura che resteranno aperti gratuitamente per tutta la giornata. Numeri da capogiro negli gli scavi di Pompei e alla Reggia di Caserta».

Tutto bene, dunque? Non proprio. Pur tralasciando l’increscioso episodio dello sversamento di liquami per una rottura della fogna del ristorante (che, detto tra parentesi, è gestito da Autogrill: ma è possibile che a Pompei si debba mangiare come in una stazione di servizio dell’autostrada, invece che con le delizie della cucina locale?), è evidente che numeri simili non sono sostenibili, nella attuali condizioni.

Così, lo stesso ministro Franceschini il giorno successivo ha prontamente scritto a tutti i responsabili dei musei per chiedere consigli su come fronteggiare al meglio la situazione già dal prossimo mese. Il soprintendente di Pompei Massimo Osanna, molto preoccupato, ha indicato in 15.000-20.000 il numero massimo sostenibile, proponendo anche un sistema di prenotazioni.

I nostri musei e siti non sono, infatti, attrezzati per ricevere adeguatamente tali masse di visitatori, per la natura stessa dei luoghi e delle strutture, per lo scarso numero di custodi (che non dovrebbero più essere semplici guardiani, lettori annoiati di libri e giornali, ma operatori capaci di dare informazioni e suggerimenti) per non parlare delle guide e del personale scientifico, per la diffusa inadeguatezza dei supporti didattici e dei servizi (che ancora oggi vengono impropriamente definiti ‘aggiuntivi’ mentre sono essenziali).

Sulla rivista Left Wing una specialista di beni culturali, Rita Borioni, ha usato una metafora paradossale ma efficace: «se invito trenta sconosciuti a cena nel mio monolocale di quaranta metri quadri e poi decido di parlare solo in ungherese, tolgo le sedie, spengo le luci, non preparo nulla da mangiare e chiudo a chiave il bagno, non sto facendo un favore ai miei ospiti (che, probabilmente, la prossima volta declineranno più o meno gentilmente il mio invito) e neanche alla mia casa».

Non si tratta certo di difendere una visione elitaria e snobistica dei musei, dei luoghi della cultura e in generale del patrimonio culturale. Anzi! Se vogliamo sostenere il processo di democratizzazione e la forte necessità di trasformare i musei in luoghi vivi, vitali, attrattivi, capaci di far capire a tutti oggetti e fenomeni complessi, senza banalizzare, e al tempo stesso di far provare emozioni, dobbiamo impegnarci a difendere questa importante novità evitando che si trasformi in un boomerang. C'è, infatti, un problema di sostenibilità, di conservazione del patrimonio, di sicurezza e di condizioni minime per garantire un’esperienza utile e piacevole.

Giustamente Franceschini ha sottolineato come "di mese in mese crescono i partecipanti e anche il numero dei comuni che si stanno adeguando al nuovo piano tariffario moltiplicando così l'offerta in tutto il paese. Un'operazione importante non solo per i numeri e il turismo ma per il suo aspetto educativo, dato che sta riavvicinando i cittadini al loro patrimonio culturale". I risultati gli danno ragione: in questi mesi sono aumentati sia il numero complessivo dei visitatori, sia il numero delle gratuità, sia i ricavi. Bisogna dunque andare avanti su questa strada e introdurre miglioramenti e correttivi, come tetti e prenotazioni, ma anche incremento del personale e dei servizi. Queste iniziative servono anche per dare più lavoro e per migliorare gli standard dei nostri musei, secondo quanto previsto dalla riforma del MiBACT che ha visti la nascita di una direzione generale Musei, dei poli museali regionali e l’autonomia di 20 grandi musei.

La scommessa sta anche nel far in modo che i flussi di visitatori si distribuiscano in tutti i, territorio e non solo su Pompei, Colosseo, Reggia di Caserta o Uffizi e pochi altri. Ad esempio, nell'area vesuviana non esiste solo Pompei, ma ci sono altre decine di musei e siti meno noti e non meno importanti, e a Pompei non esiste solo via dell'Abbondanza, la Casa dei Vettii, quella del Fauno, il cave canem, il lupanare e poco altro, dove si affollano i turisti; basta uscire dalle vie più intasate per trovare domus e monumenti quasi deserti; anche in questo senso si sta lavorando, per articolare vari percorsi di visita. Inoltre, altri territori del Sud, come Puglia, Calabria e Basilicata sono al momento meno coinvolti nel fenomeno. Servirebbe dunque una efficace campagna di informazione e di promozione per favorire la distribuzione delle presenze, oltre che per far (ri)tornare i visitatori delle prime domeniche anche negli altri giorni. Nei musei si è infatti registrato un calo di presenze nel resto della settimana. Ma con il tempo non c’è dubbio che la situazione si andrà assestando.

Domeniche gratis sì, domeniche caos no, insomma. Dopo questa prima fase di sperimentazione, che ha registrato un grande successo, si deve passare a una seconda fase, che contribuisca agli Italiani in particolare di conoscere meglio il loro patrimonio diffuso.

In La Gazzetta del Mezzogiorno, 11.5.2015, p. 15
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