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Bella (e da me condivisa ) posizione di Letizia Gualandi sulla riforma del MiBACT

Letizia Gualandi, collega dell'Università di Pisa e componente del CTS Archeologia del MiBACT, mi ha inviato una e.mail di risposta a  Rubens D’Oriano, della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le Province di Sassari, Olbia-Tempio e Nuoro, che a sua volta le aveva mandato un articolo di Vittorio Emiliani  sul Fatto Quotidiano del 30 dicembre. Pubblico questo testo, con l'autorizzazione dell'autrice, perché m sembra un'analisi pienamente condivisibile (e da me condivisa fin nelle virgole).


Caro Rubens,
ho letto l’articolo di Vittorio Emiliani su "Il Fatto quotidiano" di venerdì 30, che mi hai mandato, riguardante "il disastro della riforma del MiBACT". La situazione è grave, ma francamente è semplicistico addossare tutte le colpe alla riforma Franceschini e ritengo necessaria qualche riflessione ulteriore. Senza dilungarmi troppo, provo qui a focalizzare l’attenzione su due punti fondamentali.

1. Che la riforma abbia creato dei contraccolpi è innegabile, ma anche ovvio: ogni cambiamento crea delle difficoltà che richiedono uno sforzo spesso notevole a chi deve far funzionare le cose. Parlo con cognizione di causa, perché sono stata presidente del Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali dell’Università di Pisa (il corso più frequentato dell’intera area umanistica, con quasi 1000 iscritti) negli anni in cui si sono abbattute sull'Università - peraltro a pochi anni di distanza dalla riforma Berlinguer del 2000 - ben due riforme Moratti (nel 2005 e 2006) e una riforma Gelmini (nel 2010). Non sono stati anni facili per chi, come me e come tanti altri colleghi, si sono trovati a dover gestire cambiamenti notevolissimi, continuando nel contempo ad erogare un servizio (la didattica per gli studenti) e a fare ricerca senza abbassare in entrambi i casi la soglia della qualità. Nessuno, in quegli anni, ci ha detto esattamente come dovevamo fare, ma in tanti ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo lavorato duro, ci siamo fatti venire delle idee, ci siamo consultati da una sede all’altra. Il che naturalmente non ci ha impedito di fare un sacco di errori, che poi abbiamo faticosamente corretto un po’ alla volta, in corso d’opera. E oggi l’Università italiana è migliore di quella della fine del secolo scorso, quella che tutti noi abbiamo frequentato. E chi sostiene il contrario o è in cattiva fede (magari perché si è visto privato di piccoli o grandi privilegi), oppure è solo “vecchio” e ha perso di vista che cos’è il mondo di oggi: ma del resto di laudatores temporis acti è piena la storia dell'umanità.
Tornando alla riforma Franceschini, di cui condivido profondamente lo spirito innovatore, è evidente che abbia creato uno scossone notevole in un organismo - quello del MiBACT e soprattutto delle Soprintendenze - di cui peraltro da anni tutti lamentavamo lo scarso funzionamento e la mancanza di una riforma che lo mettesse finalmente al passo con i tempi. Certo, come in tutte le riforme è necessaria una fase di assestamento in cui a tutti gli attori coinvolti - se tengono al loro lavoro - è richiesta una dose notevole di buona volontà, tolleranza, disponibilità e anche creatività per trovare soluzioni nuove. E’ un po’ come quando si trasloca in una casa nuova e più grande: per settimane si vive tra gli scatoloni, facendo fatica a trovare calzini e tazzine da caffè (magari anche perché mancano gli armadi in cui riporli) e dovendo inventare nuove collocazioni per gli oggetti d’uso quotidiano. Poi però, dopo una buona dose di fatica e di stress, tutto va a posto e alla fine si sta molto meglio di come si stava prima (altrimenti perché avremmo cambiato casa?).
La domanda che mi sono posta e che ho posto in questi mesi tante volte a chi spara a palle incatenate contro la riforma Franceschini e alla quale non ho mai ricevuto risposta è questa: qualcuno può spiegarmi perché una Soprintendenza territoriale più piccola delle vecchie Soprintendenze archeologiche, con un territorio più piccolo da controllare, dovrebbe svolgere il proprio lavoro peggio di una Soprintendenza con territori posti a centinaia di km dalla sede centrale? Qui in Toscana, ad esempio, territori importanti come Populonia o come la Lunigiana distano due ore di viaggio da Firenze, meno della metà da Pisa e Lucca, alle quali sono state assegnate. E l’obiezione che in questo modo si sono frazionati contesti storici unitari francamente fa sorridere. A parte il fatto che questo avveniva anche prima (basti pensare a Luni, che anche prima della riforma dipendeva da Genova, mentre il suo ager dipendeva da Firenze…), a quali contesti storici si deve far riferimento in un territorio con una storia complicata come quello dell’Italia? Emiliani fa riferimento alla Puglia dei Dauni e dei Peucezi, ma allora perché non parlare del Ducato bizantino di Calabria, che nel VII secolo accorpava Salento e Calabria, o del Ducato di Puglia, che nell’XI secolo comprendeva anche Melfi e parte dell’attuale Lucania?
Ma se di divisioni artificiose si deve parlare, allora perché non parlare di quella più artificiosa di tutte, che condannava le tombe sotto il pavimento di una chiesa a dipendere da una Soprintendenza (archeologica), i muri della chiesa da un’altra Soprintendenza (Beni architettonici) e gli affreschi su quei muri da un’altra ancora (Belle arti)?
E invece i vantaggi di avere accorpati in una un’unica struttura (più vicina ai Beni da tutelare) tutti gli organi di tutela sono innegabili:
- sono innegabili per i comuni cittadini: basti pensare al risparmio di tempo e di denaro se c’è un ufficio unico a cui rivolgersi per ottenere un parere o un’autorizzazione ad eseguire un lavoro;
- sono innegabili per i funzionari: faccio ancora una volta un esempio concreto che riguarda Pisa, la mia città, dove nel 2015 il Comune ha chiesto l’autorizzazione a creare una ventina di isole ecologiche (cassonetti per l’immondizia interrati, al posto degli antiestetici e puzzolenti cassonetti fuori terra). La richiesta di autorizzazione per lo stesso lavoro è stata inoltrata a due diverse Soprintendenze, l’Archeologica a Firenze e la BAPSAE a Pisa, le quali due Soprintendenze hanno dovuto ovviamente incaricare due diversi funzionari di esaminare la stessa pratica: il risultato è che due funzionari hanno fatto lo stesso lavoro, il che in una situazione di scarsità di personale, quale quella che tutti lamentiamo, è davvero folle;
- sono innegabili per gli studiosi, specie per noi archeologi, che per le esigenze delle nostre ricerche abbiamo un unico referente e non più referenti spesso in contrasto (talvolta apparentemente non motivato) fra loro. 

2. Il problema dell’applicazione della riforma Franceschini va tenuto distinto (cosa che non si fa nell’articolo di Emiliani e che si tende a non fare in genere, sollevando in tal modo un gran polverone, che non contribuisce certo a migliorare le cose) da un problema assai più grave che con la riforma c’entra assai poco, e cioè la mancanza di personale e di finanziamenti adeguati. Che il personale della tutela sia ridotto ai minimi termini è un dato di fatto, dovuto ai pensionamenti a valanga di un’intera generazione di funzionari, a cui per un ventennio e più non ha corrisposto un adeguato turnover. E di questo francamente è sbagliato addossare la responsabilità a Franceschini, che anzi ha varato, dopo anni e anni di latitanza dei governi, un primo piano di assunzioni: poco, pochissimo, una goccia nel mare. Lo stesso vale per i finanziamenti, anch’essi ampiamente al di sotto delle necessità, ma pur sempre superiori a quelli degli anni passati. Non dimentichiamoci che la situazione economica mondiale - e del nostro Paese in particolare - è quella che è e che tutti i comparti pubblici (polizia, sanità, magistratura, protezione civile, scuola inferiore e superiore) lamentano le stesse difficoltà. Nella mia Università, solo per fare un esempio concreto, nel 2000 c’erano 14 archeologi, mentre oggi siamo 7 (la metà esatta) a dover gestire un’offerta didattica assai più variegata e perfino più numerosa che in passato, che comprende un Corso di Laurea triennale (Scienze dei Beni Culturali), uno Magistrale (Archeologia), una Scuola di Specializzazione (Beni Archeologici) e un Dottorato (Antichistica).

In conclusione: un pregio innegabile la riforma Franceschini lo ha avuto e cioè quello di innescare un dibattito su temi importanti come l’organizzazione della tutela, di cui - ripeto - da anni tutti lamentavamo lo scarso funzionamento e l’inadeguatezza rispetto al mondo attuale. Semmai quello che - a mio parere - finora non è stato all’altezza è proprio il dibattito, che continua a concentrarsi su lamentele e rivendicazioni, senza sforzarsi, se non in casi rarissimi, di portare un proprio contributo costruttivo. Proviamo a fare tutti uno sforzo affinché le critiche siano anche costruttive.
E questo è il mio augurio a tutti per il 2017.
Letizia

______________________________________
prof. Maria Letizia Gualandi
Dipartimento di Civiltà e forme del sapere
Università di Pisa
via dei Mille 19, 56126 PISA
tel. +39 050 2215662
[email protected]


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