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Chiara Ferragni agli Uffizi: qual è il problema?

Chiara Ferragni realizza un photoshoot per Vogue agli Uffizi e subito c’è chi grida allo scandalo. Se Vogue sceglie un grande museo come contesto per un servizio fotografico, invece di un qualsiasi altro luogo d’Italia, paga secondo le tariffe fissate dal museo, non danneggia le opere esposte, non impedisce ai visitatori la normale fruizione, qual è il problema? La Ferragni nell’occasione visita il Museo accompagnata dal direttore Eike Schmidt e non resiste a una foto davanti alla Primavera di Botticelli, più o meno come milioni di altre persone. Scandalo! Al rogo soprattutto il direttore degli Uffizi colpevole addirittura di aver pubblicato quella foto sulla pagina Instagram del Museo.

Mi meraviglia, visto che ci siamo, che non si sia approfittato del caso per chiedere anche l’abrogazione della legge Art Bonus del 2014 che ha finalmente liberalizzato le foto nei musei, così da risolvere il problema all’origine: niente più foto, né selfie, della Ferragni o di altri personaggi noti e meno noti o anche dei semplici visitatori dei musei. Si torni alla sacralizzazione dei musei, meglio se vuoti e frequentati solo da pochi intimi, gente colta e raffinata, via i direttori troppo attenti anche alla comunicazione e alla promozione.

La stessa Ferragni con suo marito Fedez visitano qualche giorno fa i Musei Vaticani e la Cappella Sistina in visita serale, come tanti altri turisti che prenotano e pagano il biglietto. E giù anche lì critiche per la foto. Poco importa se per la prima volta nella storia dei Vaticani e degli Uffizi i loro profili Twitter sono in top trend. Per non parlare di Mohamood che ha realizzato un video al Museo Egizio, e giù altre critiche. 

Notoriamente i musei italiani sono ancora alquanto in difficoltà nella comunicazione sui social network e questo si che è un problema oggi, come si è potuto verificare nei mesi di chiusura per l’emergenza Covid, quando c’è stata una rapida, generosa ma ancora improvvisata iperproduzione di contenuti digitali, che ha mostrato tutte le potenzialità ma anche tutto il nostro ritardo in questo campo. Secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali (dati 2016) il 52% dei musei possiede un account sui social network ma solo il 13% è presente nei tre più diffusi; il 51% ha una pagina Facebook, il 31% un account Twitter e solo il 15% uno su Instagram. Solo il 19% dei musei offre il wi-fi gratuito. L’Istat indica «tassi di adozione più ridotti, inferiori al 20%, per i servizi digitali legati alla fruizione delle collezioni, sia online (ad esempio, catalogo accessibile online e possibilità di visita virtuale), sia onsite (come QR-code e sistemi di prossimità, app per dispositivi mobile)». Negli ultimi anni la situazione sta migliorando progressivamente, ma siamo ancora lontani da un livello soddisfacente. Non è, però, solo il dato quantitativo a preoccupare, con una presenza sui social network ancora ridotta, ma soprattutto quello qualitativo, relativo all’uso che se ne fa.

Mentre i musei cercano di ripartire, se la Ferragni (di cui non sono tra gli oltre venti milioni di follower, il cui fenomeno osservo senza pregiudizi) o altre persone famose mettono a disposizione la loro notorietà per stimolare in qualche modo l’interesse per il patrimonio culturale, soprattutto in quelle fette di società contemporanea che non hanno nessun rapporto o quasi con i luoghi della cultura, la cosa non dovrebbe provocare scandalo ma semmai andrebbe salutata con interesse, e magari ben indirizzata e orientata. 

Quanto alla Ferragni, un dubbio: non sarà che viene attaccata anche perché è donna, è bella, è italiana e viene vista come una “stupidina”, mentre è un’imprenditrice che dimostra nel suo campo una grande professionalità, sapendo conquistare un notevole potere comunicativo?  La cosa può non piacere, ma è un dato di fatto. Queste polemiche nascondono (nemmeno tanto, per la verità) non solo una visione elitaria della cultura, tipica di certi sedicenti rivoluzionari, ma anche un atteggiamento “moralistico”, proprio degli estimatori di uno Stato etico, se non addirittura ‘teocratico’, che definisca e imponga cosa è bene e cosa è male: la conferenza di un fine intellettuale o forse anche addirittura un concetto per un quartetto d’archi vanno bene ma una popstar o, addirittura, un blogger, una influencer stiano ben alla larga dai musei! 

Uno dei problemi attuali per i musei consiste nel raggiungere il ‘non pubblico’ e per questo vanno utilizzati strumenti, spazi e linguaggi nuovi. Bene ha fatto, ad esempio, tempo fa il direttore del MANN a ospitare una mostra sul Napoli Calcio (peraltro un patrimonio della città e non solo), “Il Napoli nel mito”, che ha portato in museo tanti napoletani che mai lo avevano visitato. E che lo hanno scoperto in quella occasione, ritornandoci.

Semmai solleciterei la Ferragni e Fedez e quanti hanno grande seguito tra i giovani a visitare non solo Uffizi e Vaticani, che non hanno particolare bisogno di promozione, ma anche i tanti musei e siti cosiddetti “minori” di cui il nostro paese è straordinariamente ricco. Ma chissà forse anche in quel caso non mancherà qualche vestale della “purezza” della cultura pronta a gridare allo scandalo!  

 

 

 

 



Pubblicato in https://www.huffingtonpost.it/entry/chiara-ferragni-agli-uffizi-qual-e-il-problema_it_5f14049ac5b6cec246c38963
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