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Dalle Catacombe di Napoli agli “Stati Generali della gestione del patrimonio culturale dal basso”

La recente vicenda delle Catacombe di Napoli, che ha visto contrapposti il Vaticano e la cooperativa giovanile La Paranza del Rione Sanità (ma anche due diverse visioni del patrimonio culturale e del suo ruolo nella società contemporanea), ha avuto un merito: ha fatto emergere la straordinaria partecipazione popolare che don Antonio Loffredo e i suoi ragazzi hanno saputo attivare intorno a quel patrimonio e a quella straordinaria forma di gestione.

In pochi giorni oltre 90.000 persone hanno sottoscritto un appello a papa Francesco, tante personalità hanno levato la voce a difesa di quella esperienza, decine sono stati gli articoli sui giornali e i servizi radiofonici e televisivi, i social network sono stati invasi da post di indignazione e di sostegno a La Paranza.

Questo episodio potrebbe avere un ulteriore risvolto positivo, se riuscirà a far emergere per la prima volta in maniere evidente un intero mondo sommerso, quello delle tante esperienze di "gestione dal basso" del patrimonio italiano diffuse in tutto il Paese. Ne ho conosciute tante nel corso dei miei spostamenti dal Nord al profondo Sud d'Italia e ne ho parlato in alcune mie recenti pubblicazioni, illustrando alcune decine di casi.

È un fenomeno assai ampio e quasi del tutto sconosciuto, dalle dimensioni inimmaginabili. Mi limito a un esempio: un collega economista dell'Università Federico II, Stefano Consiglio, sta curando con i suoi studenti un censimento che già conta nella sola città di Napoli ben 70 casi diversi di gestione di beni culturali, tra chiese, palazzi e altri tipi di monumenti e spazi urbani.

L'Italia è un paese straordinario, riserva continuamente scoperte e anche sorprese imprevedibili, grazie a beni culturali presenti in ogni luogo, in ogni borgo, nei centri storici, nelle campagne, nelle acque. Beni troppo spesso in stato di abbandono. Si pensi alla miriade di piccoli musei, di aree archeologiche, di chiese o palazzi chiusi. È un enorme patrimonio diffuso (vera peculiarità del modello italiano) da decenni condannato al degrado e alla marginalità o, nel migliore dei casi, a una gestione del tutto insoddisfacente, che mai il Pubblico sarà in grado di gestire da solo. Ebbene, sono altrettanto numerose le esperienze di cura, tutela, manutenzione, valorizzazione e gestione sviluppatasi in varie forme.

La contrapposizione pubblico-privato rappresenta, infatti, un falso problema, perché il reale conflitto è tra interesse privato e interesse pubblico (quest'ultimo ovviamente sempre da garantire, anche quando la gestione è affidata a privati). Non mi riferisco al privato 'for profit' e ai grandi gruppi monopolisti, che, peraltro, hanno interesse solo per i grandi 'attrattori' in grado di garantire significativi ricavi, ma al privato sociale, al terzo settore, rappresentato sia dalle grandi fondazioni, come il FAI, sia dalle tante piccole fondazioni operanti in vari territori, e anche dalle piccole società e cooperative, dai singoli professionisti, delle associazioni.

Lo Stato e le varie istituzioni pubbliche, abbandonando definitivamente la tradizionale concezione "proprietaria" del patrimonio, dovrebbero favorire tali straordinarie energie e le vitali creatività presenti nei vari territori, sostenendo la nascita e il consolidamento di mille iniziative diverse, indirizzandole, coordinandole, monitorandole. Questo dovrebbe essere uno dei compiti dei Poli museali regionali del MiBAC. Non si tratta, infatti, di chiedere un passo indietro da parte delle istituzioni pubbliche, ma, al contrario, uno in avanti, in un'ottica di vero servizio pubblico: si recupererebbero, così, e si curerebbero pezzi di patrimonio culturale restituito a nuova vita; si garantirebbe la pubblica fruizione; si svolgerebbero servizi per le comunità locali; si costruirebbero luoghi di produzione culturale.

Sono questi i temi che la politica dovrebbe saper valutare, apprezzare e sostenere, non con l'assistenza (o peggio con l'assistenzialismo o con fondi assegnati 'a pioggia'), ma con un'azione di coordinamento e indirizzo, con la rapidità delle autorizzazioni, con la trasparenza delle procedure. Quanti sono i musei o i siti archeologici che hanno ricevuto anche ingenti finanziamenti per il restauro, la sistemazione, l'allestimento e che il giorno dopo l'inaugurazione ritornano a essere chiusi o gestiti in maniera del tutto insoddisfacente?

E sia ben chiaro: non basta il volontariato (che è una risorsa preziosa, ma che non deve essere sostitutiva del lavoro professionale). Il patrimonio culturale dovrebbe favorire nuove occasioni di lavoro qualificato e di economia sana e pulita, come proprio il caso del Rione Sanità dimostra.

Per tale motivo, proprio a partire dal caso della Paranza, si intende organizzare gli "Stati Generali della gestione del patrimonio culturale dal basso", che si svolgeranno a Firenze il 23 febbraio prossimo, nell'ambito di TourismA. Sarà una prima occasione per dare voce alle tante realtà sommerse, operanti nel campo del patrimonio culturale: un ambito nel quale serve, più che altrove, coraggio, creatività, e voglia di sperimentare soluzioni nuove.


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