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Di Maio non smantelli le riforme del patrimonio culturale di Franceschini

Recentemente Luigi Di Maio ha tessuto le lodi del ministro Dario Franceschini per il lavoro svolto in questi ultimi anni nella riforma radicale del settore dei beni culturali. È una buona notizia. Certo l'apprezzamento fa parte della scelta di Di Maio di assumere in questa fase un atteggiamento diverso nei confronti del Pd e in particolare verso l'ala più disponibile al dialogo, di cui Franceschini è esponente di punta.

Pare che il ministro della Cultura sia tra i pochi a ritenere che un possibile accordo con il M5s, messe da parte tutte le posizioni non particolarmente 'simpatiche' finora tenute dal movimento nei confronti del Pd, possa rappresentare una prospettiva necessaria anche per non gettare alle ortiche quanto di buono fatto proprio dai governi a guida Pd. Ma soprattutto perché potrebbe essere utile per entrambe le forze politiche con una sorta di 'do ut des': per una nel mettere una cultura di governo di uomini che hanno dato buona prova (da Orlando a Minniti, da Calenda allo stesso Franceschini e a molti altri ancora) a disposizione di chi ha finora vissuto esperienze non proprio esaltanti nel governo delle città; per l'altra nel poter tentare di recuperare un rapporto con la società e con buona parte dell'elettorato che ha scelto i 5 Stelle, sentendosi deluso e tradito, sperimentando anche nuove forme di far politica.

C'è insomma da imparare e da insegnare da una parte e dall'altra. Ma sono passi che richiederebbero una grande dose di coraggio e di voglia di rimettersi in discussione, con umiltà e capacità autocritica. Doti alquanto rare in tempi dominati da esasperata autoreferenzialità e da incapacità di studio e riflessione.

Un caso esemplare è proprio quello del patrimonio culturale. Cerco di spiegare perché, pur nella consapevolezza che per molti politici non rappresenti, purtroppo, una priorità. Ritengo, infatti, che le distanze siano molto meno inconciliabili di quelle apparse finora. Per la verità il M5s ha avuto a tal proposito posizioni alquanto altalenanti, oscillanti tra un ritorno a un veterostatalismo, centralistico e burocratico e spinte ultraliberiste, com'è emerso nelle indicazioni, come possibili ministri, di personalità tra loro assai diverse, come Salvatore Settis o Tomaso Montanari, esponenti di una visione assai 'tradizionale' di tutela, e Alberto Bonisoli, esperto di moda e management. Visioni evidentemente alquanto contrapposte e inconciliabili.

Andando nel concreto, mi chiedo però come possa un movimento che pone al centro la cittadinanza attiva, l'iniziativa dal basso, la partecipazione, contrapporsi a riforme come quelle delle soprintendenze, trasformate da settoriali a uniche a base territoriale, cioè con competenze sull'intero patrimonio culturale per poter affrontare una tutela organica e non più frammentata e per poter essere più vicine alle comunità locali, parlando con una voce sola ai cittadini che fino a due anni fa avevano ben tre interlocutori diversi, spesso in contraddizione tra loro.

O la centralità attribuita al paesaggio con la Carta nazionale del paesaggio, la spinta sui Piani paesaggistici regionali, la tutela che privilegi pianificazione territoriale e urbanistica.

O la riforma dei musei, che attribuisce autonomia gestionale e organizzativa a alcuni musei e punta finalmente alla creazione di un sistema museale nazionale che mette in rete musei statali, regionali, provinciali, civici, diocesani, privati.

O le iniziative che puntano a creare maggiore occupazione per i giovani, l'avvio di nuovi concorsi, la crescita significativa dei fondi per la cultura, la sperimentazione di nuove forme di gestione con il coinvolgimento di associazioni e imprese del terzo settore, la maggiore collaborazione con il mondo dell'università, della ricerca e della scuola. Per non parlare dell'investimento nel turismo culturale e ambientale o del sostegno al cinema italiano. Si tratta di riforme epocali, le prime organiche dall'Unità d'Italia a oggi.

Si cominci intanto con la ratifica, finalmente, della Convezione europea di Farosul valore del patrimonio culturale per la società, che rappresenta una vera rivoluzione nel concetto stesso del patrimonio e nella centralità assegnata alle 'comunità di patrimonio'.

Ci sono molte cose che ancora non vanno bene, tanti sono i problemi irrisolti, ancora inadeguate solo le risorse, insufficienti i mezzi, carente il personale tecnico e amministrativo. Ci sono stati anche alcuni errori (Come evitarli quando si fanno vere riforme?) che andrebbero corretti. Ma la soluzione non sta certo nel ritorno alla situazione precedente il 2004, come pure era scritto nel programma elettorale del M5s.

Per questo, comunque vada a finire – la situazione è talmente difficile e confusa che è quasi impossibile oggi fare previsioni – l'appello che bisogna rivolgere a Di Maio, se sarà premier, è a non smontare quanto realizzato dal ministro Franceschini in questi anni, ma a proseguire sulla strada tracciata, semmai perfezionando e anche migliorando ulteriormente il nuovo sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Un movimento che si candida a cambiare il paese non dovrebbe voler tornare indietro.

Pubblicato in https://www.huffingtonpost.it/giuliano-volpe/di-maio-non-smantelli-le-riforme-del-patrimonio-culturale-di-franceschini_a_23405877/
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