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Generazione bellezza, spazio in Rai a energie positive del patrimonio culturale

Si può fare audience anche senza parlare, per l’ennesima volta, solo di Pompei e del Colosseo

WIKIPEDIAPoggio del molino

Bella la nuova serie di “Generazione bellezza” di Emilio Casalini su Rai Tre. Una serie che ha anche raggiunto notevoli successi di pubblico, a dimostrazione che c’è interesse da parte del pubblico e che, oltre a quella all’ottimo Alberto Angela, c’è spazio per altra informazione di qualità sul patrimonio culturale, soprattutto se si fanno conoscere le mille realtà ‘minori’, ‘periferiche’, e soprattutto se si dà voce alle tante esperienze diffuse nella valorizzazione e gestione dal basso dei beni culturali e paesaggistici. È uno straordinario patrimonio di competenze, intelligenze, passioni, spesso poco note, pochissimo sostenute, quando non esplicitamente osteggiate. Si può fare audience anche senza parlare, per l’ennesima volta, solo di Pompei e del Colosseo.

La puntata in onda il 6 gennaio presenta il caso dello scavo di Poggio del Molino, nel territorio di Piombino. Un caso che sollecita varie riflessioni più generali.

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Siamo nella Val di Cornia, a due passi dallo straordinario parco archeologico di Populonia e a breve distanza da un altro “sito archeologico in formazione”, quello delle acciaierie di Piombino. Con la crisi dell’acciaio, l’enorme complesso industriale è da anni in quasi totale stato di abbandono e ha provocato livelli alti di disoccupazione, gravissimi problemi socio-economico e ambientali.

Perché parlare dello scavo Archeodig di Poggio del Molino, tra i tanti scavi italiani? Non tanto e non solo per il tipo di scoperte, ma perché rappresenta un vero caso pilota di partecipazione dei volontari a una ricerca archeologica sul campo. In un’area pubblica (del Comune di Piombino) lo scavo è condotto dall’Associazione Past in Progress (da poco trasformata in Fondazione) costituita da archeologi professionisti, con la fisionomia del cantiere-scuola per studenti e volontari italiani e stranieri, provenienti da numerosi paesi (oltre duemila nel corso di un decennio) che hanno così un contatto diretto con l’archeologia, sotto la guida di archeologi molto esperti. Perché, sia ben chiaro, non stiamo parlando di un parco giochi ma di scavi scientifici, condotti con rigore metodologico, da archeologi professionisti, aperti però anche a studenti e volontari.

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I partecipanti pagano una quota e ricevono formazione, oltre a vivere un’esperienza originale di soggiorno in uno splendido luogo, anche sotto il profilo turistico: in tal modo lo scavo è totalmente autofinanziato, e con i proventi si effettua ricerca, manutenzione ordinaria, restauri, e gli archeologi sono regolarmente retribuiti. Non solo. Si offre un contributo allo sviluppo territoriale, attraverso forme di turismo culturale, si favorisce l’indotto (si è calcolato che mediamente ogni partecipante nel periodo di permanenza spende sul posto circa mille euro), si formano studenti di archeologia di varie nazionalità e si effettua una straordinaria operazione di educazione al patrimonio per i volontari. Ora si sta lavorando all’allestimento di un ‘Parco di archeologia condivisa’, un’area pubblica attrezzata accessibile a tutti, dove cittadini e visitatori possano trascorrere il loro tempo libero anche assistendo alle operazioni di ricerca archeologica.

Insomma una archeologia che fa bene a tutti: ai cittadini, ai visitatori, agli archeologi.

Se in Italia ci fossero cento esperienze simili, si costruirebbero occasioni di lavoro per archeologi professionisti, si indagherebbero e recupererebbero tanti siti archeologici sconosciuti, si darebbe vita a tante esperienze di turismo culturale e di economia sana e pulita, sostenibile, partecipata.

Peccato che una serie di assurde norme, sempre più burocratiche e restrittive, introdotte negli ultimi anni dalla Direzione Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura nel campo delle cosiddette “concessioni di scavo” (procedure che hanno, anche nella denominazione, quel sapore amaro da stato borbonico!) abbiano reso di fatto impossibile operazioni di questo tipo anche per le stesse Università, che, tra le mille limitazioni imposte, addirittura non potrebbero organizzare Summer School, come accade in tutto il mondo, aperte anche alla partecipazione di persone interessate a effettuare un’esperienza culturale. Il tutto in spregio alla libertà della ricerca e della didattica garantite dalla Costituzione. Altro che archeologia pubblica! Altro che educazione al patrimonio!

Il caso di Poggio del Molino dimostra invece i vantaggi che questo tipo di archeologia procura, senza alcun rischio di danno al patrimonio, anzi con indubbi risvolti positivi sotto ogni profilo.

Poggio del Molino, peraltro, si inserisce in un territorio che ha già conosciuto precoci esperienze innovative di gestione del patrimonio culturale. Ormai molti decenni fa, infatti, quando già la crisi dell’acciaio mostrava i primi sintomi, questo territorio ebbe l’intelligenza e la lungimiranza, grazie ad amministrazioni capaci, di dar vita a una Società, la Parchi Val di Cornia che mise insieme cinque comuni (Piombino, Campiglia Marittima, San Vincenzo, Sassetta, Suvereto) costruendo un vero sistema territoriale di parchi, musei, aree naturali, valorizzando anche il grande lavoro di ricerca archeologica effettuato da un archeologo innovatore come Riccardo Francovich. La società, una SpA prima pubblico-privata, poi solo pubblica, ha rappresentato così una risposta concreta alla crisi con una proposta di sviluppo sostenibile basato sulla cultura, l’ambiente, il paesaggio, garantendo anche lavoro a molte decine di professionisti e fornendo servizi di grande qualità ai visitatori. Oggi la società è in difficoltà e si spera che possa essere rilanciata, magari con la trasformazione in Fondazione e il coinvolgimento, insieme ai comuni, della Regione, delle Università, di altre istituzioni e anche, soprattutto, di privati interessati allo sviluppo culturale e socio-economico di questo straordinario territorio.

Bisogna essere grati a “Generazione Bellezza” e a Emilio Casalini per aver fatto conoscere sui canali della Rai a un pubblico ben più ampio di quello degli specialisti queste importanti esperienze, con la speranza anche che si apra un dibattito e che si dia finalmente spazio alle tante energie positive presenti nel campo del patrimonio culturale. La parole di Giulia, una diciotenne intervistata da Casalini davanti alle fabbriche abbandonate, sono un programma per il futuro: Vorrei un lavoro che mi soddisfi appieno, che mi renda felice, in un posto in cui mi senta in armonia. Questa sì che è vera rinascita e resilienza dell’Italia.

Pubblicato in https://www.huffingtonpost.it/entry/generazione-bellezza-spazio-in-rai-a-energie-positive-del-patrimonio-culturale_it_61d71c77e4b061afe3afdf86?utm_hp_ref=it-blog


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