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Giuliano Volpe tra i sottoscrittori dell'Appello "Diamo speranza all'Università per dare speranza all'Italia"

DIAMO SPERANZA ALL’UNIVERSITA’ PER DARE SPERANZA ALL’ITALIA

 

Si conclude la XVI legislatura repubblicana, una delle peggiori per l’università: pesanti tagli (tra cui spiccano quelli del finanziamento ordinario e dei progetti di ricerca di interesse nazionale per il 2013); drastica riduzione dei docenti; forte calo delle immatricolazioni; perenne insufficienza degli interventi per il diritto allo studio; chiusura di ogni opportunità di reclutamento per i giovani ricercatori. Un’inflazione di norme e adempimenti imbriglia il sistema e sottrae un’infinità di tempo al lavoro didattico e di ricerca danneggiandone la qualità. Un nuovo centralismo lede gli spazi di autonomia e democrazia nel sistema, negli atenei e persino nei singoli dipartimenti. Intanto si susseguono martellanti attacchi mediatici, spesso basati su dati fasulli.

 

Facciamo appello alla migliore politica, a tutti i partiti che si confronteranno nelle prossime elezioni, all’opinione pubblica che ha a cuore il destino dell’Italia, perché dicano basta a questa situazione e si impegnino a dare nuove prospettive al sistema unitario del sapere costituito da scuola, università e ricerca pubbliche. La politica ritrovi, al di là delle maggioranze, una concordia di fondo sulle strategie: sono necessari anni per vedere i frutti degli investimenti in formazione e ricerca, ma servono decenni per rimettere in sesto un sistema colpito da estesi disinvestimenti. Non c’è più tempo da perdere.

 

Facciamo appello in particolare alle forze politiche che si riconoscono in una scelta riformista e progressista per la società italiana. Ritrovino una presenza attiva nel tessuto vivo dell’università e della ricerca, una nuova capacità di misurarsi con i loro problemi. L’occasione della prossima campagna elettorale va colta per affermare una netta inversione di rotta e per testimoniare indefettibile sostegno alla grande maggioranza di persone che, nonostante carenze e difficoltà, lavorano, studiano, insegnano, fanno ricerca con serietà e passione, sovente con ottimi risultati.

 

Certo, non tutto funziona come dovrebbe e occorre riconoscere gli errori commessi. Ma si abbandonino sterili schemi censori e autoritari, diffusi anche dall’agenzia nazionale di valutazione e talora basati su parametri inaffidabili.  Si punti invece ad un continuo e diffuso miglioramento qualitativo delle attività didattiche e di ricerca, senza concentrarsi esclusivamente sulle pur benemerite isole di eccellenza.

 

L’università e la ricerca hanno bisogno di fiducia e di sicurezza del quadro normativo e finanziario. La fiducia è la condizione essenziale per arrestare l’emorragia di risorse finanziarie e umane e per predisporre subito, ad imitazione delle politiche anticicliche adottate dalla quasi totalità dei Paesi avanzati negli ultimi anni di crisi,  un quadro certo di investimenti per la crescita mirati sulla cultura e sull’innovazione, con l’obiettivo di riallinearli gradualmente almeno agli standard medi europei. Senza fiducia e senza sicurezza le attività di didattica e ricerca avanzate sono destinate a deperire.

 

L’università e la ricerca non hanno bisogno di ulteriori riforme epocali quanto piuttosto di essere liberate dai mille laccioli che le hanno progressivamente  soffocate in un labirinto tecnocratico di minute regole quantitative o burocratiche. Occorre sfrondare senza remore questa giungla: sarebbe una prima riforma positiva senza costi. Occorre credere senza esitazioni, conformemente al dettato della nostra lungimirante Costituzione, nell’autonomia delle università e degli enti di ricerca, innalzando nel contempo la loro piena responsabilità e associandovi una credibile valutazione dei loro risultati.

 

Il divario formativo che ci separa dall’Europa e dal mondo avanzato in termini di numero di laureati va colmato, incentivando l’iscrizione all’università e l’ingresso tempestivo dei laureati nel mondo del lavoro, dedicando molto maggior sostegno ai meno abbienti, restituendo all’alta formazione il ruolo di equo ascensore sociale e di promotrice di benessere. Agli studenti meritevoli si aprano le porte delle lauree magistrali e dei dottorati di ricerca per dare all’Italia una classe dirigente ben preparata e una spinta decisa all’innovazione in ogni campo. Il potenziamento del capitale umano è la prima politica pubblica da recuperare, l’unica affinché l’Italia imbocchi di nuovo un cammino di crescita e di successi.

 

Nello stesso tempo si ricordi che non c’è università se non c’è ricerca e non c’è ricerca se non c’è ricerca universitaria pubblica e libera. L’esame critico delle conoscenze esistenti e il loro continuo ampliamento è nella natura stessa di ogni università italiana o europea: guai a pensare di poterne fare a meno. La ricerca pubblica ha subìto una drammatica contrazione di risorse finanziarie e logistiche, spesso dirottate su altri assi di intervento che si sono rivelati produttori di scarsa innovazione e fonti di sprechi. Si punti a riequilibrare il finanziamento alla ricerca universitaria e pubblica in ogni campo disciplinare, ciascuno necessario ad un armonico sviluppo culturale ed economico.

 

Infine università e ricerca non possono fare a meno delle migliori intelligenze delle nuove generazioni, quelle che stiamo costringendo all’estero in decine di migliaia ogni anno. I nuovi meccanismi di reclutamento si sono rivelati fallimentari. Mai l’università era apparsa tanto chiusa ai giovani brillanti come oggi, mai la carriera universitaria tanto incerta anche per i più meritevoli tra i docenti in servizio. E’ urgente rimediare perché il virus della resa sfiduciata di professori e ricercatori non si diffonda come un’epidemia.

 

Siamo consapevoli che l’Italia è in difficoltà, sappiamo che non possiamo chiedere la luna e non la chiediamo. Ma vorremmo che parlamento e governo prossimi mettano in cima alla loro agenda scuola, università e ricerca. Mostrino attenzione e rispetto per loro, per le persone più appassionate e competenti che vi lavorano, per i giovani. Sicuramente lo meritano.

 

Un Paese che non ama la sua università non ha speranze, perché non ama il suo futuro.

 

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