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I musei di domani? “Siano luoghi di scoperta e non di conservazione”

PATRIMONIO ARTISTICO ITALIANO: UNA SFIDA CON(TRO) IL TEMPO NELLE PAROLE DI GIULIANO VOLPE (MIBACT)

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Quando si incappa in concetti come beni culturali, tutela del territorio paesaggistico e preservazione del patrimonio artistico, solitamente viene da pensare ad ambienti noiosi e poco illuminati, a signori in giacche d’altri tempi, a interminabili conferenze in cui il livello di accademismo va di pari passo con quello di anzianità media della platea. Ma qual è il motivo per cui queste parole risultano, a prescindere dal contesto geografico e temporale, noiose e ai più?
Giuliano Volpe, professore di Archeologia all’Università di Foggia e presidente del Consiglio Superiore ‘Beni culturali e paesaggistici’ del MiBACT, ha presentato lo scorso 11 dicembre al Palazzo del Governatore il suo libro ‘UN PATRIMONIO ITALIANO. Beni culturali, paesaggio e cittadini’, in cui all’analisi del fenomeno di rinnovato interesse per la salvaguardia del patrimonio artistico italiano, si accompagna la consapevolezza della necessità di un cambio di paradigma nella sua gestione. Obiettivo? Ridestare la curiosità in chi di quel patrimonio è erede.

Nella salvaguardia del patrimonio culturale sono varie le problematiche, da quelle economiche a quelle ambientali, ma la mancanza forse più preoccupante è la percezione del museo e dei luoghi di cultura come qualcosa di polveroso, datato e stantio. Una società mecenate dell’arte è una realtà ricca e viva: la storia italiana è costellata di esempi in cui i grandi artisti si sono fatti interpreti del fervore culturale del tempo in cui sono vissuti e di cui hanno misurato il benessere attraverso le loro opere; non a caso gran parte del patrimonio culturale mondiale è in Italia. Il problema non sta di certo nel riconoscerne il valore, bensì nel comprendere che questa enorme eredità che grava sulle nostre spalle non viene valorizzata, né percepita dalla maggioranza delle persone per ciò che intrinsecamente è: un diritto di cui godere.

Il professore Giuliano Volpe

Il professore Giuliano Volpe

Nel suo libro il professor Volpe afferma che “dobbiamo uscire dalla palude immobile nella quale si è a lungo impantanato il mondo dei beni culturali nel nostro Paese, da tempo bloccato in una malintesa, cieca, fedeltà alla tradizione, di cui si adorano le ceneri piuttosto che ravvivarne il fuoco.” Secoli di ‘accumulo’ di opere e decenni di tradizione museale reticente all’innovazione hanno causato una sorta di indifferenza, di assuefazione alle opere culturali e paesaggistiche tale da oscurarne la preziosità agli occhi di chi principalmente dovrebbe sentirsi fortunato a poterne beneficiare. E così, incontrando in giro per l’Europa giovani studenti innamorati delle nostre città d’arte, la prima reazione di stupore lascia spazio al dubbio: possibile che loro, ritenendoci i più fortunati al mondo perché viviamo nel, e del, patrimonio italiano, abbiano una consapevolezza dei beni culturali di questo Paese più lungimirante rispetto alla nostra?

È dunque necessario un cambio di paradigma nella gestione, preservazione e valorizzazione dei beni culturali. A ciò si appella Volpe quando parla della “necessità di ripensare alle funzioni degli operatori e gestori dei beni culturali” e invita a “puntare sulla qualità del progetto culturale e sulla qualità delle figure” intimando ad un “cambio nella comunicazione che deve essere rivolta alla globalità complessiva degli utenti” e che sradichi una concezione secolare di “museo specialista per specialisti”. Attenzione però: il tentativo di ampliare l’utenza non deve scadere in un abbassamento degli standard di fruizione, nella semplificazione populista, ma deve “puntare all’innalzamento del livello della presentazione, anche sfruttando gli strumenti che il mondo della rivoluzione tecnologica offre”.

Le potenzialità ancora inespresse del patrimonio italiano

Le potenzialità ancora inespresse del patrimonio italiano

Il professore invita a scardinare pregiudizi sedimentati nella storia della museografiacome la “percezione di possesso dei beni culturali da parte di chi li gestisce”, che si sente autorizzato a “stabilire regole di fruizione dei musei” come se ne avesse la proprietà invece che la gestione. Insomma, bisogna stravolgere la “percezione sacralizzata del luogo di cultura in cui c’è una casta sacerdotale che tiene i visitatori lontani con atteggiamento pedagogico e paternalista”.
Come? Con una dirigenza che non pensi solo a tutelare, ma anche a stimolare la curiosità dei visitatori con nuove strategie di presentazione del patrimonio, che deve risultare invitante soprattutto per chi non ne è mai stato attratto. Non solo: secondo Volpe è anche da “eliminare la figura del custode”, quell’entità silenziosa e inquietante che prima animava le sale dei musei sonnecchiando sulle pagine di un libro e oggi su quelle di Facebook. Questa potrebbe essere sostituita da studenti assunti – sì, assunti, non stagisti – part-time a completamento della formazione accademica, in tale maniera arricchita da una percezione reale del patrimonio culturale del proprio Paese. È quindi auspicata una collaborazione tra enti museali e università, nell’istituzione di “policlinici dei musei”, che avvicinerebbero non solo gli studenti dei beni culturali al museo come qualcosa di altamente settoriale, ma di bene condiviso e fruibile a piacimento, come lo sono parchi e coste.

Giuliano Volpe durante la conferenza

Giuliano Volpe durante la conferenza

Si tratta insomma di ripensare alle istituzioni museali e paesaggistiche non a sé stanti, ma in relazione ai cittadini, primi e principali beneficiari del patrimonio artistico. “Si parla tanto di diritto DEI beni culturali – ha affermato Giuliano Volpe – ma bisognerebbe ragionare sul diritto AI beni culturali.” È fondamentale far capire ai cittadini che il patrimonio è una priorità, che vale la pena investire su di esso non solo in quanto resti del passato da conservare, ma in quanto realtà viva, bene comune irrinunciabile, da cui trarre beneficio e ispirazione per un’esistenza più ricca e leggera; perché in una realtà imbrattata dalla guerra, sia vero o no che “la bellezza salverà il mondo”, tra aver visto la Cappella Sistina e non averla vista, io preferisco averla vista.

Dopotutto il Museo è la casa delle Muse.

 

di Duna Viezzoli

Tratto da: http://www.parmateneo.it/?p=37932
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