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Jinsha Site

Terzo giorno a Chengdu, si visita il Jinsha Site (Jīnshā, "sabbia dorata", posto nei pressi del fiume Modi. Un parco meraviglioso, esteso su una superficie complessiva di oltre 300.000 mq), curatissimo nei minimi dettagli: verde, percorsi, panchine, zone di ristoro, mezzi elettrici; è un vero parco urbano, con libero accesso per anziani, bambini, studenti (e infatti è pieno di bambini e di anziano che passeggiano, giocano, si rilassano).

Il sito fu oggetto di una scoperta casuale nel 2001 durante opere di lottizzazione.  Il sito ebbe un particolare sviluppo intono alla fine del II millennio a.C. Numerosi sono gli oggetti in avorio, giada, bronzo, oro e pietre incise, con caratteri simili a quelli di Sanxingdui, con cui condivide il tipo di corredi funerari. In questo caso non è però presente una cinta muraria.

L’area dello scavo ha una enorme copertura che ingloba l’intero sito, che è in buona parte lasciato come al momento dello scavo effettuato con metodo Wheeler: reticolo di quadrati, testimoni con la stratigrafia segnata in parete, cartellini degli strati, ecc. Una serie di fotografie indica i luoghi dei principali ritrovamenti; lungo il percorso sono disposti pannelli a leggio che forniscono le informazioni principali; inoltre alcuni monitor mostrano immagini dello scavo. Anche qui insomma il lavoro dell’archeologo è ben documentato e il le fasi dello scavo sono musealizzate come il risultato degli scavi. La copertura è monumentale (si estende su un’area di oltre 7.500 mq). Il potente sistema di climatizzazione mantiene la temperatura a circa 24 gradi nonostante le gradi vetrate. Evidentemente i costi di gestione sono elevati. Molto documentati sono gli aspetti eco-ambientali insieme a quelli propriamente archeologici relativi ad aspetti della vita, dell’economia, della religione. Sulla piattaforma superiore, dalla quale si può osservare il sito dall’alto, sono presenti molti pannelli didattici per bambini che spiegano lo scavo e le varie altre attività dell’archeologo.

Ad alcune centinaia di metri, sempre in un contesto curatissimo, c’è il grande museo (con grandi sale di esposizione, laboratori di restauro, centri di ricerca), progettato da architetti francesi: una grande struttura, con vari spazi-sale di esposizione. Qui si trova lo stesso clima un po’ buio, cupo. In una sala ci sono ricostruzioni di ambiente, con manichini, case, scene di vita, grandi monitor che mostrano le tecniche costruttive delle capanne, ricostruzioni di formaci, scarichi di materiale, e vati oggetti esposti. In altre sale prevale l’aspetto da gioielleria, con le vetrine illuminate con piccole luci puntate sugli oggetti e una disposizione per classi di materiali, maschere, giade, gioiellerie, oggetti di pietra, ecc. Insomma si nota una certa separazione tra la ricostruzione dei contesti ambientali di vita e la musealizzazione delle aree di scavo e la presentazione un po’ feticistica e ‘antiquaria’ dei reperti. I materiali sono però talmente spettacolari che certo non si può non restare colpiti dalla qualità, dalla quantità e dalla ricchezza di tale sito. Il ‘pezzo forte’, divenuto anche simbolo del museo è il disco con la raffigurazione di quattro uccelli che volano intorno al sole: con un diametro di 12,5 cm e uno spessore di appena 0,02 cm, esprime alcuni aspetti del pensiero religioso della cultura Shu.

Il complesso museo e parco risale ai primi anni 2000 e conferma la straordinaria vitalità di questa stagione della Cina nel campo del patrimonio culturale.

Al termine della visita una riunione ufficiale si tiene nella sala riunioni del museo alla presenza del console italiano Filippo Nicosia e del direttore Wang Yi e della sua équipe. Dopo le presentazioni ufficiali, si pongono le basi per una collaborazione italo-cinese in particolare in riferimento alla sistemazione del sito di Donghuamen. La discussione prosegue a tavola dove possiamo anche presentare alcune prime riflessioni a seguito della visita al sito archeologico.

 


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