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Luci e ombre dei Musei della Capitanata

È stata pubblicata di recente la graduatoria del bando regionale per i musei. Si tratta di un’iniziativa molto apprezzabile ed importante, con risorse significative a disposizione del sistema museale pugliese, che potrà, si spera, migliorare il livello qualitativo degli allestimenti, dei sistemi di sicurezza, della gestione. I risultati della valutazione, condotta con grande serietà e rigore, sono per più versi interessanti e sollecitano varie riflessioni: rinvio per questo all’importante analisi resa nota recentemente dall’ottimo assessore regionale all’urbanistica e ai beni culturali Angela Barbanente (http://www.regione.puglia.it/index.php?page=pressregione&opz=display&id=15180). Io mi limito in questa sede solo a qualche considerazione relativa alla situazione dei musei in Capitanata.

Dei 100 progetti (in realtà 99 poiché uno è risultato duplicato), sui 142 presentati, ritenuti ammissibili dopo il preistruttoria tecnico-amministrativa, 23 vedono come proponenti Enti locali e Enti ecclesiastici della Provincia di Foggia; 19 ricadono nella provincia di Bari, 9 nella BAT, 29 nella provincia di Lecce, 9 in quella di Brindisi e infine 10 in quella di Taranto; dei 100 progetti, 40 sono stati avanzati da enti locali e 60 da enti ecclesiali; 63 sono stati presentati sulla prima tipologia (musei in corso di attivazione, 10 milioni, max 800.000 per proposta), 35 sulla seconda (musei in stato di funzionamento, 7,5 milioni, max 500.000) e 1 sulla terza (musei in stato di funzionamento avanzato, 7,5 milioni, max 300.000). Emerge innanzitutto una attiva iniziativa da parte ecclesiastica, rispetto alle proposte degli Enti locali. Il patrimonio religioso è certamente rilevante anche nella nostra regione, ma il maggior numero di progetti presentati conferma in realtà una più spiccata capacità d’iniziativa da parte vescovile al confronto con quella dei sindaci.

Per la Capitanata i 23 progetti presentati costituiscono un buon risultato in termini di partecipazione, non c’è che dire. Molto diversa è, però, la valutazione se si guarda la graduatoria di merito elaborata al termine dell’approfondito lavoro, sia di tipo tecnico-amministrativo, condotto dagli uffici regionali, sia di tipo scientifico-culturale, condotto da una commissione di specialisti del mondo universitario, di cui io stesso ho fatto parte (coadiuvato come supplente da Danilo Leone, che di fatto ha condotto il lavoro; ho infatti perso parte solo all’avvio della valutazione, ma poi, essendo stato impegnato nello stesso periodo in un’altra attività, anche per evitare possibili conflitti e/o strumentalizzazioni, mi sono astenuto dal lavoro, lasciando al prof. Leone questo compito, insieme ai competenti colleghi delle altre università pugliesi; sottolineo con piacere che, con una apprezzabile attenzione alla  necessaria trasparenza, i verbali sono integralmente pubblicati e sono consultabili sul sito della Regione Puglia www.areaterritorio.regione.puglia.it ). I progetti foggiani collocati nella parte alta della graduatoria sono solo pochi, come quelli di Cerignola-Torre Alemanna, Castelluccio Valmaggiore, Ordona. Alcuni progetti, inoltre, pur risultando finanziabili,  hanno ricevuto un giudizio non particolarmente positivo per gli aspetti culturali, anche se si sono poi collocati bene in graduatoria grazie ad una buona impostazione formale e al rispetto di alcuni parametri di tipo amministrativo.

Emerge, al contrario – ed è giusto darne merito - un successo significativo delle proposte presentate dagli Enti locali del Salento, che conquistano numerose posizioni alte della graduatoria. I progetti salentini si caratterizzano per un generale buon livello delle proposte, quasi tutte elaborate, non a caso, in stretta collaborazione con l’Università del Salento, con il diretto coinvolgimento nella progettazione di molti miei colleghi universitari: è questo il caso di Lecce, Oria, Mesagne, Poggiardo, Vaste, Castro, Cavallino, Nardò, Martano, Ugento, Muro Leccese, e altri ancora. Se, infatti, escludendo i musei ecclesiastici, per i quali le Diocesi impiegano normalmente liberi professioni di loro fiducia e che si sono ben piazzati in graduatoria, consideriamo solo le prime dieci proposte nelle due graduatorie dei musei in attivazione e in funzionamento, presentate dagli Enti locali (la terza linea riguarda solo Alberobello), ricaviamo questo emblematico risultato: Lecce 3+7, Brindisi 3+1, Bari, 3+1, Foggia 1+1. Il Salento, cioè, conquista complessivamente le 14 prime posizioni su 20: un dato sul quale riflettere, quando si propongono le solite lamentazioni locali.

La collaborazione universitaria e la capacità di fare sistema risultano purtroppo molto ridotte in Capitanata, dove gli enti proponenti hanno preferito normalmente far da soli, affidandosi spesso a progettisti, amici e improvvisati, elaborando proposte spesso assai modeste, se non del tutto inconsistenti, sotto il profilo scientifico e culturale. Una situazione che pare accumunare la Provincia di Foggia e la BAT a Taranto; ma anche molte proposte della Provincia di Bari in questo caso non sono risultate di alto profilo.

È spesso evidente la mancanza di un vero progetto culturale, insieme all’utilizzazione di personale poco attrezzato sotto il profilo scientifico, sia per gli aspetti propriamente contenutistici, sia per quelli museologici. Spesso si pensa che un museo sia solo un insieme di vetrine piene di oggetti, e a volte si ritiene di colmare il vuoto culturale con le ‘tecnologie’, cioè acquistando un po’ di computer e più o meno inutili megaschermi.

Sperimentazione, narrazione, dinamicità, coinvolgimento, identità: queste dovrebbero essere le parole chiave per musei capaci di raccontare la storia di una città o di un territorio. Si dovrebbe saper proporre al visitatore (o meglio, alle varie categorie di visitatori) una visita piacevole, capace di stimolare approfondimenti e curiosità con una partecipazione attiva, con diversi livelli di comunicazione funzionali a diversi e ben individuabili percorsi di visita per un pubblico diversificato per età, cultura, sensibilità, esigenze e tempo a disposizione.

Al contrario, troppo spesso i nostri musei si riempiono di pannelli, spesso verbosi e incomprensibili, con testi scritti con il tipico insopportabile linguaggio esoterico iper-tecnicistico dei cosiddetti ‘addetti ai lavori’.

Eppure grazie alle nuove tecnologie, utilizzate con intelligenza, grazie a innovativi progetti di fruizione multimediale, sarebbe possibile offrire ai visitatori gli strumenti per dialogare con i reperti esposti e di navigare nell’enorme mare di informazioni che essi trasmettono e alle quali rinviano, attraverso sistemi di facile e piacevole utilizzazione, fortemente interattivi, con contenuti scientificamente solidi ma resi con linguaggio semplice e immediato (possibilmente in più lingue), senza alcun cedimento alla banalizzazione, continuamente aggiornabili e modificabili.

Un museo può essere un luogo noioso (ed anche odioso!), elitario e ostile, oppure un luogo di crescita culturale, di piacere e di emozioni. Spesso visitando un museo il visitatore avverte una sensazione di inadeguatezza, perché non comprende compiutamente il messaggio degli oggetti esposti. Né è agevolato dai supporti didattici a volte presenti, ma poco chiari, o, il più delle volte, del tutto assenti. Capita di frequente, infatti, ancora oggi che il visitatore si aggiri nelle sale di musei, di fatto riservati solo a specialisti o ad un pubblico particolarmente colto. Agli altri, al pubblico ‘normale’, si concede al massimo una sorta di contemplazione acritica.

Mettendo da parte ogni visione meramente economicista e commerciale, i musei, soprattutto quelli civici, dovrebbero saper svolgere la funzione di veri e propri creatori del patrimonio culturale, luoghi di identificazione delle comunità e di trasmissione intergenerazionale della cultura. La valorizzazione del patrimonio culturale, infatti, può e deve certamente contribuire ad accrescere anche il livello economico di una comunità, ma le ricadute che un museo, un parco archeologico, un archivio o una biblioteca possono avere sono diverse e ben più ‘remunerative’ rispetto ad una malintesa e alquanto rozza visione mercantilistica del bene culturale. Bisognerebbe, al contrario, valutare ed anche quantificare i vantaggi in termini di miglioramento del benessere e della qualità della vita, la funzione culturale ed educativa.

In questo contesto, le tecnologie non dovrebbero essere utilizzate in quanto tali o come strumento di spettacolarizzazione, ma dovrebbero essere funzionali ai contenuti proposti e porsi al servizio di un progetto culturale. Non si tratta, infatti, solo di trasmettere una serie di informazioni in forma divulgativa, ma di proporre una vera esperienza didattica ed educativa, coinvolgendo in maniera interattiva i fruitori. Il racconto che un museo deve saper proporre va ascoltato con interesse e curiosità, ma va anche stimolato con le domande che la sensibilità e la curiosità di ogni visitatore possono proporre. Non ci si deve limitare, pertanto, ad una semplice trasmissione di dati e di messaggi tra destinatore e destinatario, che in tal modo svolgerebbe un ruolo passivo, ma si deve tentare di fornire indicazioni di metodo, sollevare problemi, suscitare curiosità, suggerire punti di vista. Dovremmo sapere allestire un museo, insomma, che non solo cerchi di fornire risposte, ma, anche e soprattutto, di stimolare domande, e, al tempo stesso, di suscitare emozioni.

Ma da queste parti si preferisce continuare a rivolgersi al progettista amico e cliente, spendere soldi in vetrine e computer, affidare la gestione a nipoti e parenti dell’assessore di turno invece di avvalersi delle competenze specialistiche presenti, anche, ma non solo, nella nostra Università. Salvo poi lamentarsi di essere stati maltrattati e nelle cerimonie infarcire i vuoti discorsi della solita insopportabile retorica della cultura e dello sviluppo del territorio.

 

Articolo pubblicato in L'Attacco, 4 aprile 2013, pp. 1, 22


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