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Ma l'innovazione è cinismo, disinvoltura, corruttibilità, famelicità?

Nel suo bel romanzo 'Il desiderio di essere come tutti', Francesco Piccolo descrive perfettamente un modo di pensare e atteggiamento tipico (direi, un male) di parte sinistra italiana che ritrovo molto diffuso anche in certi ambienti del mondo dei beni culturali e che spiega benissimo perché chi si batte concretamente per un cambiamento venga accusato di corruzione e arrivismo e perché chi propone visioni  conservatrici, a volte anche con un certo fanatismo religioso, tipico di chi è convinto di possedere la verità, venga invece acclamato e trovi tanto spazio sui media: 
" ... fu l'innovazione stessa a significare cinismo, disinvoltura, corruttibilità, famelicità. La sinistra si ritirava per sempre, e con assoluta convinzione - sicura di stare dalla parte della ragione - dal proposito del progresso per trasformarsi in forza reazionaria [qui a me l'aggettivo 'reazionaria' sembra eccessivo: sostituirei con 'conservatrice'] ... E' qui sta il grande cambiamento: della vittoria non importava più nulla; bisognava soltanto segnare una volta e per sempre una linea di demarcazione, un'idea definitiva di diversità; bisognava sfilarsi dalla vita pubblica reale e rappresentare un'alternativa astratta, pulita, arroccata. un'alternativa pura. Da quel momento in poi, ogni sconfitta politica diventa un rafforzativo delle proprie idee. Una conferma che il mondo è corrotto e che il progresso è malato. Una conferma, quindi, che le persone giuste e i pensieri giusti sono minoranza, fanno parte di un mondo altro, che non comunica più con il Paese - perché il resto del Paese, impuro e corrotto, si è perduto". 
Non si potrebbe descrivere con parole migliori quanto mi capita di sentire in tante occasioni di dibattito o di leggere in libri, articoli, appelli. Io non mi rassegno ad una sinistra conservatrice che lascia ad altri il primato dell'innovazione e del cambiamento, nei beni culturali e non solo.
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