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Manifesto dei diritti e doveri culturali

Giunge dalla Sicilia un segnale importante di vitalità culturale, che cerca di restituire all’isola un ruolo da protagonista, come in altri momenti nel passato, ad esempio quando vennero sperimentate nuove formule di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, con l’adozione delle soprintendenze uniche o con la legge sui parchi archeologici (anche se poi, più recentemente, quelle importanti innovazioni hanno conosciuto applicazioni assai poco convincenti, anche a causa di una persistente mortificazione delle competenze professionali).

Si tratta del ‘Manifesto dei diritti e dei doveri culturali’, prodotto da un gruppo di personalità del mondo della cultura coordinato da Manlio Mele, responsabile del Dipartimento cultura del PD siciliano, presentato il 30 novembre scorso a Palazzo dei Normanni e al Museo Archeologico Salinas di Palermo, che ora può essere sottoscritto da chi intenda sostenerlo.

Con questo Manifesto la Sicilia potrebbe candidarsi come migliore interprete dei principi della Convenzione di Faro sul valore del patrimonio culturale per la società, che spero sia al centro dell’azione dell’Italia nel corso della sua presidenza del Consiglio d’Europa, che ha avuto inizio lo scorso 17 novembre, come ha dichiarato il ministro Dario Franceschini.

Numerose sono le analogie. Il Manifesto propone, come la Convenzione di Faro, una visione pluralista, inclusiva e rispettosa delle diversità del patrimonio culturale: “il patrimonio culturale è un insieme di risorse ereditate dal passato che alcune persone identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni costantemente in evoluzione. Esso comprende tutti gli aspetti dell’ambiente derivati dall’interazione nel tempo fra le persone e i luoghi” (Faro). “La cultura concorre alla formazione dell’individuo sul piano intellettuale, emotivo e morale e all’acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli compete nella società. La cultura contribuisce altresì alla formazione delle comunità e costituisce l’ossatura relazionale su cui è costruito il nostro vivere sociale. É quindi un patrimonio soggettivo e comune che deve essere tutelato da diritti specifici ai quali corrispondono in modo speculare altrettanti doveri” (Manifesto).

La cultura, cioè, non è sentita come una clava identitaria da brandire ma come uno strumento di pace e di conoscenza e rispetto reciproco. Allo stesso modo come la Convenzione di Faro riconosce “che ogni persona ha il diritto, nel rispetto dei diritti e delle libertà altrui, ad interessarsi al patrimonio culturale di propria scelta, in quanto parte del diritto a partecipare liberamente alla vita culturale”, così il Manifesto rivendica che “tutti reclamino i propri diritti culturali, specialmente le giovani generazioni”.

Il manifesto di fatto punta a dar vita proprio a quelle ‘comunità di patrimonio’ indicate dalla Convenzione di Faro: “un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future”. Per favorire questi processi e tradurli in atti concreti, il Manifesto propone l’istituzione del ‘Garante dei diritti culturali’, che si spera possa poi essere dotato di mezzi e poteri adeguati per poter svolgere il suo ruolo.

Il Manifesto è perfettamente coerente anche con i principi e lo spirito proprio dell’articolo 9 della nostra Costituzione, che stabilisce uno stretto legame tra tutela e promozione dello ‘sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica’ e assegna il compito della tutela del ‘paesaggio e patrimonio storico e artistico della Nazione’ non già solo allo Stato, né tanto meno a un singolo Ministero, ma alla Repubblica, cioè a tutte le istituzioni pubbliche e all’intera res publica, intesa come comunità dei cittadini. È, inoltre, coerente con un altro articolo della nostra Costituzione, il 118, che afferma il principio della sussidiarietà e sollecita le istituzioni pubbliche a favorire gli interventi di soggetti privati no profit al servizio di interessi collettivi.

Premessa irrinunciabile per mettere tutti, o almeno il numero più ampio di persone, nelle condizioni di percepire il valore del patrimonio è la conoscenza, grazie all’educazione al patrimonio, alla formazione, alla comunicazione, campi nei quali il nostro Paese sconta un grave ritardo. L’Italia dispone, infatti, di una lunga e gloriosa tradizione nel ‘diritto dei beni culturali’, ma ha fatto ancora scarsi progressi nel ‘diritto ai beni culturali’. Non a caso la nostra legislazione, risalente, per l’impianto culturale, agli inizi del Novecento, pone le ‘cose’ al centro della tutela, come recita ancora il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio del 2004.

Il patrimonio culturale conquista in tal modo un ruolo centrale nella società, soprattutto in un momento in cui appare evidente che la grave crisi sanitaria che stiamo ancora vivendo, che fa seguito alla tragica crisi finanziaria ed economica del 2008, non sia congiunturale, ma strutturale.

Dovremmo, in realtà, trasformare la tutela e la valorizzazione in una grande opportunità di crescita generale della Sicilia e del Paese: una crescita vera, che produca lavoro, economia sana, ricchezza, sollecitando forme di tutela sociale del patrimonio culturale e generando una presa di coscienza del ruolo che ciascuno di noi ha nella sua conservazione attiva. Serve un richiamo forte alle responsabilità sociale delle imprese, dei professionisti, dei semplici cittadini. Così il Manifesto, come la Convenzione di Faro, sull’allargamento dei diritti di tutti si carica, finalmente va detto, anche dei relativi doveri. La giusta e doverosa affermazione dei diritti deve infatti accompagnarsi a un’enunciazione dei doveri, delle responsabilità individuali e collettivi. Dobbiamo sempre più insistere sulla necessità di collegare ogni legittimo diritto conquistato all’altrettanto legittima affermazione di un dovere.

Il nostro obiettivo prioritario deve consistere soprattutto nel conquistare quell’enorme fascia di ‘non pubblico’, sempre più estesa, costituita da quanti non frequentano abitualmente i musei e i luoghi della cultura, mentre trascorrono ore sui social network, nei centri commerciali e nelle sale gioco. I dati sui ‘consumi culturali’ nel nostro Paese sono notoriamente preoccupanti, con percentuali spaventose, soprattutto tra i giovani, e drammatiche al Sud. Si tratta di una vera emergenza democratica. Bisognerebbe attuare politiche di contrasto alla ‘povertà educativa’, utilizzando modalità comunicative, linguaggi e strumenti nuovi (tra cui anche i media digitali, ampiamente usati durante la fase di lockdown).

Il campo nel quale si sconta ancora un notevole ritardo e che meriterebbe importanti riforme è proprio quello della gestione del patrimonio culturale, oggi anche alla luce delle possibilità offerte dall’articolo 151 comma 3 del Codice degli appalti che introduce forme semplificate di partenariato pubblico-privato. Nel caso delle migliaia di piccoli siti, musei, luoghi della cultura spesso costretti ad uno stato di degrado sarebbe necessario sperimentare nuove soluzioni, a seconda di ogni contesto locale. Si individuino caso per caso le soluzioni migliori, sulla base delle competenze, delle energie, delle realtà imprenditoriali presenti localmente (fondazioni, associazioni, cooperative, singoli professionisti, ecc.), privilegiando il terzo settore, che in questo campo ha potenzialità ancore in gran parte inespresse.

Disponiamo ormai di numerosi esempi positivi in questo ambito anche in Sicilia: penso nella stessa Palermo al caso di Pulcherrima Res che si occupa del monastero di Santa Caterina d’Alessandria o all’ecomuseo del mare o alle Officine culturali di Catania e a tante altre realtà. Celebre è ormai il modello delle Catacombe di Napoli e della cooperativa ‘La Paranza’ del Rione Sanità.

Sono queste energie, queste passioni, queste intelligenze che andrebbero valorizzate.

Se sapremo usare le ingenti risorse del PNRR per apportare reali cambiamenti normativo, organizzativi e gestionali (e direi anche “di mentalità”) nel campo del patrimonio culturale, non limitandoci a fare e stesse cose sempre fatte con più soldi ma utilizzando i soldi per fare cose nuove in modo nuovo allora questa opportunità epocale sarà utile. Altrimenti si tradurrà un una nuova occasione persa e con un enorme spreco di risorse e un accumulo di debiti sulle spalle delle future generazioni.

pubblicato in Huffington Post, 4.12.2021, https://www.huffingtonpost.it/entry/manifesto-dei-diritti-e-doveri-culturali_it_61ab9079e4b0ae9a42bd4ed7?utm_hp_ref=it-homepage.


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