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Nel campo 65, custode silenzioso delle memorie di dolore e guerra

Altamura, nel cuore del Parco dell’Alta Murgia, è una delle principali ‘città d’arte’ della Puglia. Con una storia millenaria, può vantare un’occupazione nel territorio risalente alla preistoria più remota, nota ormai a livello planetario in particolare grazie sia alle migliaia orme di dinosauri scoperte nella cava di località Pontrelli, risalenti a 70 milioni di anni fa in un contesto tra i più impressionanti al mondo che attende di essere finalmente valorizzato, sia al cosiddetto ‘uomo di Altamura’, amichevolmente noto come ‘Ciccillo’, ritrovato nella grotta di Lamalunga, che gli studi più recenti attribuiscono a  un Neanderthal, risalente a un periodo compreso fra 187.000 e 128.000 anni fa, fruibile non sul posto ma, sia pure indirettamente, nell’importante Museo archeologico, che espone anche una ricostruzione effettuata sulla base di attenti studi archeo-antropologici. Nel museo e nella città si conservano anche notevoli testimonianze dell’abitato peucezio, tra cui le monumentali mura megalitiche, oltre ai magnifici monumenti medievali, in primis la cattedrale.

Oggi però vorrei proporre un viaggio nella storia più recente, quella del Novecento, che lasciato tracce significative nelle campagne meravigliosamente selvagge della Murgia, recentemente studiate con rigoroso metodo archeologico da un docente dell’Università di Foggia con gli allievi del corso di archeologia digitale dell’Università di Bari, Giuliano De Felice, che ha anche appena dato alle stampe un bel volume, la cui lettura raccomando vivamente (Archeologia di un paesaggio contemporaneo. Le guerre del Novecento nella Murgia pugliese, Edipuglia, Bari 2020).

Si tratta del grande campo 65, esteso su una superficie di circa 30 ettari (per intenderci la metà di Pompei!), situato a circa metà strada fra Altamura e Gravina, lungo il percorso della statale 96. Qui si conservano ancora oggi i resti di grandi baracche, torrette di guardia, alloggi delle guardie e uffici del comando e addirittura di un piccolo giardino di cui rimane, stranito testimone, il rudere di una fontana decorata da delfini.

Il campo è ben noto dalle fonti di archivio, che, insieme alle testimonianze orali e ai resti archeologici, permettono di ricostruire nel dettaglio le diverse vite di questo sito.

La storia inizia nei primi anni ’40 del Novecento, quando l’Europa e il mondo erano già precipitati in un nuovo conflitto dopo la tragedia della Grande Guerra. In Puglia furono edificati numerosi campi, di cui due ad Altamura: il n. 51 in località Villa Serena e, appunto, il grande “campo prigionieri di guerra n. 65”, progettato per contenere ben 12.000 prigionieri e in gran parte costruito dagli stessi prigionieri. Di questa fase resta anche la toccante e preziosa testimonianza di un soldato inglese, Denis Avey (1919-2015), fatto prigioniero in Africa e finito ad Auschwitz, che nel 1942 fu recluso per un breve periodo proprio nel campo 65, di cui fornisce una descrizione nella sua autobiografia (The Man who broke into Auschwitz, tradotto in italiano da Newton Compton con il titolo Auschwitz. Ero il numero 220543).

Dopo l’8 settembre 1943 fu trasformato in un campo di addestramento partigiani, cioè ex prigionieri, soldati provenienti da oltre Adriatico e volontari della resistenza serba per alimentare le formazioni partigiane (le Brigate d’Oltremare) operanti agli ordini del maresciallo Tito contro i tedeschi.

Finita la Seconda guerra mondiale iniziò un’altra storia. Fra il 1951 e il 1962 circa divenne infatti centro di raccolta dei profughi italiani rientrati da molte aree del Mediterraneo.

Una storia più frammentaria e meno documentata è quella successiva, poco nota dalle fonti d’archivio (tranne per alcune vicende amministrative fino alla dismissione all’Agenzia del Demanio nel 2008). Restano però molte tracce materiali che consentono di seguire la frequentazione di questo luogo. Condannato a un lento degrado per mancanza di manutenzione, il campo continuò a essere utilizzato per esercitazioni e manovre: ce lo dicono i numerosi graffiti lasciati da soldati di leva, che tappezzano i muri delle baracche superstiti. Fra il 1987 e il 1990 il campo fu definitivamente raso al suolo e le macerie furono riutilizzate per la realizzazione del terrapieno della SS96.

Il campo è stato oggetto di studi nel corso degli ultimi anni, soprattutto per la fase del campo profughi e del campo di addestramento partigiani. Solo recentemente l’attenzione si è spostata sul campo di prigionia, grazie al lavoro dell’associazione campo 65 che ha costruito intorno a questo luogo una grande ‘comunità di patrimonio’ (uso non a caso le parole della Convenzione europea di Faro sul valore del patrimonio culturale per la società) che raccoglie studenti, ricercatori, amministratori ma soprattutto i discendenti dei prigionieri, sparsi in tutto il mondo, dal Canada alla Nuova Zelanda, da Israele al Sudafrica.

Il risultato ad oggi più tangibile è la costituzione presso il Comune di Altamura del “Comitato Tecnico per la conservazione, recupero, valorizzazione e fruizione dell'area ex campo profughi, denominato campo 65”, che vede la partecipazione di molti soggetti (Comune, del Parco, consiglieri regionali e parlamentari, Soprintendenza, Università, Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo, Associazione Culturale Campo 65). Il campo è stato anche recentemente candidato tra "Luoghi e Archivi della Memoria della Puglia" nel programma della Regione “La Cultura si fa Strada”, ottenendo un primo finanziamento, con il quale si stanno mettendo in sicurezza le strutture superstiti, oltre a un sito web, una mostra e a pubblicazioni divulgative.

Sempre in anni recenti questo sito è diventato un laboratorio sperimentale di archeologia del contemporaneo, nel quale ripercorrere le varie pagine di storia stratificata e indagare le relazioni fra spazi e persone, fra archeologia e storia.

Alcune raccomandazioni sono infine necessarie: il campo 65 è facilmente raggiungibile e liberamente accessibile, ma non è attrezzato come luogo di visita. Pertanto si raccomanda prudenza, sia osservando i resti a distanza sia seguendo le tracce di viabilità senza inoltrarsi nelle aree interne e, soprattutto, senza entrare negli edifici superstiti, il cui precario stato di conservazione non consente la visita in sicurezza.

 

 Pubblicato in La Repubblica Bari, 23.7.2020, pp. 12-13

 

 

 

Didascalie:

1. Altamura, campo 65. Ingresso del campo

2.  Altamura, campo 65. La palazzina del comando

3. Altamura, campo 65. Veduta aerea di una delle baracche

4. Ricostruzione 3D del campo 65 (foto e ricostruzione di Giuliano De Felice)

5. Altamura, cava Pontrelli, veduta generale e dettagli delle impronte di dinosauro

6. L’uomo di Altamura nella grotta di Lamalunga e la ricostruzione al Museo Archeologico

 


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