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Ogni progresso, ogni mutamento, sia scientifico che organizzativo, appare immaturo ed eversivo sino a che non sia stato realizzato, a coloro che si attengono allo statu quo e al quieto vivere

Ogni progresso, ogni mutamento, sia scientifico che organizzativo, appare immaturo ed eversivo sino a che non sia stato realizzato, a coloro che si attengono allo statu quo e al quieto vivere.

Ranuccio Bianchi Bandinelli, AA.,BB.AA. e B.C. L'Italia storica e artistica allo sbaraglio, De Donato Editore, Bari 1974, 273.

 

Ho scelto questa frase, straordinariamente efficace, di Ranuccio Bianchi Bandinelli come epigrafe per il volume degli atti delle giornate di studi sui beni culturali tenute a Foggia nel 2013 (Edipuglia, Bari 2014). Mi è tornata a mente in questi giorni leggendo gli interventi di alcuni grandi studiosi e prestigiosi personaggi, che hanno governato il mondo dei beni culturali negli ultimi decenni, come Fausto Zevi, Andrea e Vittorio Emiliani o Licia Vlad Borrelli. Ho il massimo rispetto delle loro posizioni, ho una stima altissima di queste personalità, non condivido affatto la filosofia della rottamazione, pur non condividendo alcune loro posizioni (ad es. questa ossessione sulla presunta contrapposizione tutela-valorizzazione o una certa religiosa interpretazione, peraltro riduttiva - quasi che parli solo di tutela e non anche di promozione della cultura e di libera ricerca, entrambe finora ampiamente violate- dell’articolo 9 della Costituzione). Ma quello che più mi addolora è un certo atteggiamento, anche se non dichiarato, nei confronti dei più giovani considerati inadeguati, con curricula deboli (ma quale curriculum dovrebbe avere un trentenne o quarantenne magari in confronto ad un sessantenne? Non sarà questo uno dei problemi della oggettiva irriformabilità e della reale decadenza del nostro sistema Paese, ad esempio nell’Università?), con specializzazioni lontane dall’oggetto del museo (in difesa di una settorializzazione degli studi che anche in archeologia ha prodotto certamente avanzamenti delle conoscenze ma anche non pochi guai, per cui un medievista o un etruscologo non possono dirigere un museo della Magna Grecia, quasi che il direttore debba occuparsi solo dello studio e pubblicazione dei materiali delle collezioni e non del buon funzionamento di quella struttura compressa chiamata museo, coordinando il lavoro degli specialisti e magari favorendo lo studio e la pubblicazione da paret di altri studiosi dei materiali affidati alle sue cure. O si vuole riaffermare la centralità e la superiorità dell’archeologia classica?).

Lo ripeto per chiarezza: non entro nel merito delle scelte fatte dalla commissione Baratta e dal ministro Franceschini; scelte da me apprese, come tutti, dal comunicato del Mibact e dai giornali; anch’io penso che tra gli esclusi ci siano persone molto preparate che in qualche caso avrei preferito, anch’io conosco funzionari e soprintendenti competenti e preparati, con alcuni dei quali ho avuto e ho il piacere e l’onore di lavorare. Ma non è questo il punto.

Forse è inevitabile, forse è una legge di natura, pensare che prima andasse meglio, che l’università frequentata negli anni Sessanta o Settanta (senza andare ancora più indietro nel tempo) fosse più seria e migliore (ma qui inviterei a leggere le eccellenti considerazioni di Andrea Giardina in un libro sull’insegnamento della storia antica, curato da Mario Pani (Edipuglia, Bari 2015)), che il ministero dei BC fosse un modello di competenza ed efficienza nell’azione di tutela e che i nostri musei e parchi archeologici fossero luoghi eccellenti di comunicazione e comprensione da parte di tutti dei significati degli oggetti e dei ruderi esposti. Io non ho ricordi così felici e rimpianti di quei tempi passati, se non per il fatto che anch’io ero più giovane. Del resto questo Paese nel qualche anche chi scrive, con i suoi 57 anni, ordinario da un quindicennio e già rettore, viene spesso presentato come un giovane arrivista, sempre troppo agitato e con smanie di continui cambiamenti, un qualche problema con un sistema gerontocratico forse lo ha. E forse anch’io devo rassegnarmi all’idea che tra qualche decennio (se avrò la fortuna di esserci ancora) debba rimpiangere i miei bei vecchi tempi in cui le cose andavano veramente bene!

A proposito, una precisazione in chiusura: quella frase si riferisce allo scontro realizzatosi tra gli allora giovani archeologi (i Torelli, Coarelli, Carandini, Zevi e molti altri ancora) raccoltisi poi nei Dialoghi di Archeologia, che contestavano l’establishment degli anziani professori (i Pallottino, per intenderci), che aveva dato nel 1962 vita alla SAI-Società degli Archeologi Italiani, sciolta nel 1966, e che forse considerava quei giovani inadeguati, con curricula deboli.

 


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