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Passeggiate archeologiche e turismo di prossimità: parliamone con Giuliano Volpe

intervista di Marica Mastrangelo

A giugno è stato pubblicato il volume “Passeggiate archeologiche” in cui ampio spazio è stato dedicato a Fasano con due delle sue meraviglie storiche: Egnazia e Lama d’Antico

A giugno 2021 la casa editrice Edipuglia ha pubblicato il volumetto Passeggiate archeologiche scritto da Giuliano Volpe. Il volume è inserito nella collana “Le Vie Maestre – dibattiti, idee, racconti”. Giuliano Volpe è docente ordinario di archeologia presso l’Università “Aldo Moro” di Bari, già Rettore dell’Università di Foggia. Originario di Terlizzi, ha ricoperto ruoli istituzionali e accademici: è presidente della Consulta universitaria per le archeologie postclassiche, insegna alla Scuola Archeologica Italiana di Atene, è stato presidente del Consiglio Superiore “Beni culturali e paesaggistici” del Ministero della Cultura; ha diretto numerosi cantieri di scavo archeologico in Italia e all’estero; è stato Consigliere di Dario Franceschini, ministro della Cultura; è infine presidente della federazione delle consulte universitarie di archeologia che raccoglie la quasi totalità dei docenti di archeologia delle università italiane.

Il testo pubblicato a giugno di quest’anno è una sorta di vademecum per addetti ai lavori e non, per riscoprire luoghi conosciuti e meno noti della nostra regione. Nelle Passeggiate archeologiche sono descritte «Venti proposte per conoscere siti e storie della Puglia», come riporta il sottotitolo. Il formato tascabile (12 x 17 cm) rende il libro veramente fruibile e “tascabile”, un testo da tenere sempre nello zaino o in borsa per ogni pugliese o per ogni turista che si approccia a visitare la regione, perché racchiude, come in uno scrigno, informazioni di venti tesori del nostro territorio. Si tratta di venti siti dal Gargano al Capo di Leuca (e non, come comunemente si afferma, “dalle Alpi alle Piramidi” citando un verso de Il Cinque Maggio di Alessandro Manzoni), dove spicca la presenza di luoghi noti e soprattutto meno noti. Bisogna ammettere che il prof. Volpe è stato molto generoso con Fasano, dato che tra le venti proposte ben due riguardano il nostro variegato territorio: Egnazia e Lama d’Antico. Nelle oltre duecento pagine, ricche di immagini a colori dei siti, mappe e render di ricostruzione, si intraprende un viaggio tra i luoghi archeologici scelti, che raccoglie un vasto arco cronologico (dalla preistoria al secolo scorso), segno evidente della vastità storica della Puglia. Il testo è di facile lettura e si consiglia l’acquisto per i contenuti che rendono la pubblicazione quel “qualcosa in più” rispetto a una qualsiasi guida turistica cartacea regionale senza sfociare, però, nel mero tecnicismo che contraddistingue molte pubblicazioni archeologiche.

La lettura del libro Passeggiate archeologiche ha solleticato la scrivente a intervistare il professor Volpe, anche per approfondire la questione del “turismo sostenibile e di prossimità”, temi caldi nel complesso panorama turistico modificato a seguito della pandemia di Covid 19. Il professor Volpe ha accolto con piacere questa richiesta.

Nel giugno 2021 viene pubblicato il libro Passeggiate Archeologiche: come nasce questo progetto editoriale?

«Il libro, come sottolineo anche nelle prime pagine, nasce sulla spinta di una richiesta che mi era stata fatta nel corso del 2020 dalla testata “La Repubblica – Bari”: mi erano stati chiesti dei suggerimenti di luoghi e siti culturali per delle visite legate a un turismo “locale”. Lo scorso anno era quasi impossibile andare fuori dai confini nazionali e perciò c’è stata, a più livelli, l’esigenza di “riflettere sul turismo di prossimità”. Certo, è una riflessione nata in netto ritardo in Italia, perché si tratta di un turismo che era disdegnato: infatti, sono sempre state molto “gettonate” destinazioni lontane senza avere la minima conoscenza dei luoghi di interesse culturale e paesaggistico “sotto casa”. Sono nate così dieci passeggiate archeologiche pubblicate sull’edizione locale di “La Repubblica”, a cadenza settimanale nell’estate 2020. Si riscontrò un discreto successo, molte persone mi hanno scritto e lo stesso giornale è stato soddisfatto. Sulla scia di questo, mi sono detto: se dieci passeggiate sono state ben accolte, potrei arricchirle e aumentare anche il numero delle stesse e convogliarle in una pubblicazione più completa, anche perché pubblicarle su un quotidiano poteva risultare “poco pratico” per la consultazione. Ho compiuto un grande lavoro di selezione in maniera tale da coinvolgere l’intera regione nella sua estensione, in diversi ambiti cronologici, privilegiando i luoghi rispetto i musei perché volevo sollecitare il visitatore ad andare a conoscere i contesti storici e paesaggistici. Quindi, ho costruito questi venti itinerari che non si configurano come vere e proprie guide archeologiche (non era assolutamente l’obiettivo) ma come delle “suggestioni”, proponendo la mia visione di ciascun sito».

Il libro è, a pochi mesi dall’uscita, alla prima ristampa: si aspettava questo successo?

«Un autore è sempre contento quando un libro conquista certi traguardi, anche altri miei libri recentemente pubblicati con altre case editrici hanno riscontrato successi simili. Nello specifico di questo libro, con il quale ho anche un legame affettivo, il successo editoriale va riconosciuto anche all’impostazione data che trova interesse e consenso perché, al di là dei venti luoghi scelti, è il modello di turismo culturale che vorrei sviluppare. Ho verificato, nell’ambito di alcune presentazioni realizzate in questo periodo, un grande interesse a riguardo per cui non escludo un Passeggiate Archeologiche 2, anche perché quei venti siti ovviamente non esauriscono minimamente le proposte possibili in Puglia».

Tra i venti luoghi selezionati, grande spazio è stato riservato a Fasano con Egnazia e Lama d’Antico, come mai?

«Diciamo che ero quasi obbligato: sono due realtà diverse tra loro ma collegate e mi interessava, al di là della specificità archeologica (una città abbandonata e un insediamento rupestre), mettere in evidenza che Egnazia è un parco archeologico ben strutturato e mi auguro che possa essere sempre meglio gestito (vedi intervista al dott. Fabio Galeandro in altra pagina ndr); è una realtà con indagini archeologiche sistematiche (in totale 15 sui 20 siti descritti) e volevo far emergere l’importanza della ricerca, in particolare quella universitaria,  al fine di sviluppare il turismo culturale. Non si può fare turismo culturale se non c’è conoscenza e ricerca dei luoghi. In merito al caso di Lama d’Antico, oltre al fatto che il sito è straordinario, mi premeva sottolineare una nuova forma di gestione di un bene culturale, perché mi auguro che il “modello Lama d’Antico” possa diffondersi. Io sarei felicissimo che ci fossero dieci, venti esempi simili: ci sono tanti siti, ugualmente importanti, che versano in uno stato di totale abbandono, che nessuno conosce e non producono nulla nell’ambito dello sviluppo locale, men che meno lavoro. Quindi, se ci fossero più opportunità per una fondazione o altre tipologie di realtà imprenditoriali di prendere in gestione un bene culturale, si avrebbe una moltiplicazione di lavoro per giovani archeologi o comunque professionisti dei Beni culturali. Questo è un nodo assolutamente essenziale: a mio parere, il vero punto debole dell’intera filiera dei Beni culturali è quello della gestione. Si continuano a spendere ingenti somme per restaurare, allestire musei e non ci si occupa minimamente di chi li gestisce e di come li gestisce, della sostenibilità della gestione. Di Lama d’Antico mi interessa molto l’aspetto tecnologico e comunicativo che è un esempio di come le tecnologie utilizzate in maniera intelligente – con le tecnologie al servizio della ricerca e non il contrario –, si traducano in una opportunità di comunicazione estremamente efficace. Ho potuto vedere personalmente, visitando più volte il luogo, con diverse tipologie di utenze (dagli studiosi ai bambini a coloro che non hanno alcuna conoscenza a riguardo) che la strategia comunicativa suscita interesse. Per tutta questa serie di motivazioni erano dei luoghi che mi premeva mettere in risalto».

Lei crede che il Covid abbia riaperto gli occhi sui luoghi turistici “vicini”, data l’impossibilità di andare all’estero?

«Sì e no! Sì certamente, perché è chiaro che in questi due anni, anche forzatamente, molte persone abbiano avuto l’opportunità di fare turismo in Italia con un grande successo della Puglia (forse anche eccessivo). No, perché penso che siamo poco preparati a questo: ricordo il forte limite della gestione; perciò, anche questa opportunità rischiamo di sprecarla perché non mi sembra di vedere dei cambiamenti significativi in questo campo. Proprio in virtù di quello che si è verificato in questi due anni, mi sarei aspettato lo sviluppo rapido di alcune soluzioni alternative che oggi sono possibili: mi riferisco alle leggi che consentono il partenariato tra pubblico e privato (un articolo del Codice degli Appalti) che consente agli Enti pubblici (Ministero ed Enti locali) di affidare in formule semplificate queste tipologie di rapporti. Non si tratta di concessioni (abbiamo visto per bene che in Puglia il sistema delle concessioni non funziona), che sono meccanismi complessi (in Puglia forse solo Castel del Monte è un esempio positivo) e possono diventare concreti nel caso di grandi attrattori culturali, come Pompei e il Colosseo, ma che non sono funzionali nei piccoli siti. Formule alternative, già sperimentate con successo altrove (diversi siti in Campania), funzionano perché una cooperativa/associazione/singoli professionisti che si organizzano per tenere aperto il sito, organizzare eventi, visite guidate, laboratori per bambini e anche merchandising e vendita di libri e oggetti della cultura artigianale del luogo, consentono a piccole realtà di essere sostenibili. Questo avrebbe potuto realizzarsi alla luce del Covid. La Direzione Regionale Museale svolge un’azione molto presente ma a mio parere ancora insufficiente, perché continua a gestire direttamente i siti, pur non disponendo di personale e di mezzi adeguati, anziché trovare formule diverse. Senza dimenticare tutta la miriade di siti e musei gestiti da enti locali che sono lasciati in abbandono o gestiti in maniera approssimativa con qualche volontario».

Secondo lei, come può Fasano e i suoi luoghi culturali porsi in maniera più attrattiva sul mercato turistico e non solo per il turismo che frequenta le masserie cinque stelle?

«Intanto, questa realtà a cinque stelle o d’élite è un’offerta turistica che offre il territorio. Certo, bisognerebbe spingere ulteriormente i turisti a uscire da queste isole dorate e a riversare i vantaggi della loro presenza in un territorio più ampio. Questo tipo di turismo non è assolutamente in conflitto, in alternativa o in competizione con altre forme: il problema non riguarda esclusivamente il turismo in sé. Innanzitutto, bisogna analizzare il rapporto con le comunità locali: il vero problema è fare in modo che, attraverso una serie di azioni coordinate, i cittadini di Fasano colgano pienamente il valore del patrimonio culturale che hanno la fortuna di avere nel territorio. Questo richiede una serie di azioni di tipo educativo e comunicativo ma sono convinto, come accaduto già in altre realtà, che la stragrande maggioranza dei cittadini riesca a cogliere il valore del patrimonio culturale se noi riusciamo a far capire che esso non ha solo un valore estetico e culturale, ma può essere una leva per lo sviluppo territoriale. Senza retorica ma con azioni concrete. Attraverso un maggiore coinvolgimento della comunità locale nei confronti del bene culturale credo che si inneschi un meccanismo favorevole e positivo. Anche gli imprenditori, non solo quelli del settore culturale, dall’edilizia all’agricoltura alla ristorazione, devono comprendere che se un territorio è apprezzato dal punto di vista della valorizzazione della cultura e del paesaggio è vantaggioso per qualsiasi forma di imprenditoria: il valore edilizio cresce, come anche quello dei prodotti agricoli. La cultura non deve riguardare una piccola fetta della società o certi momenti (tempo libero, vacanze, estate): dovrebbe diventare un asse strategico delle politiche di ogni città e territorio».

Lei ha definito il Parco Rupestre di Lama d’Antico il cuore nascosto della Puglia rupestre. Qui recentemente è stato realizzato il restauro virtuale, una possibilità di rendere “più leggibili” gli affreschi deteriorati dal tempo…

«Ho apprezzato molto questo progetto e soprattutto lo studio preliminare, perché tutto ciò che è visibile nel restauro virtuale è stato possibile grazie a un’analisi molto attenta della realtà conservata. Tra l’altro, una delle persone coinvolte in questo studio è la dott.ssa Maria Potenza di Fasano, ora dottoranda dell’Università di Bari. Questo per sottolineare che serve conoscenza, c’è ancora un deficit di sapere; quindi, il restauro virtuale deve essere uno strumento per raccontare il restauro ma anche il sito. È una modalità molto efficace che mi auguro possa essere applicata anche in altri siti e musei, per creare nuove opportunità di lavoro per chi si occupa di archeologia e di Beni culturali».

Lei è stato anche Consigliere del Ministro: non considera un’ennesima svalutazione delle professionalità dei Beni culturali l’annuncio del ministro dell’impiego nei luoghi culturali di coloro che ricevono il Reddito di cittadinanza?

«No, io non penso questo. Attualmente, sono avviati dei progetti che coinvolgono coloro che percepiscono il reddito di inclusione e, attraverso un accordo con il Ministero della Giustizia, anche coloro che si trovano in carcere. Tutte queste forme non escludono affatto il ruolo dei professionisti, anche se so bene che ci sono ancora troppe poche opportunità per i professionisti, l’ho denunciato diverse volte. Mi auguro che presto venga indetto un nuovo concorso nel Ministero dei Beni Culturali, che ha un deficit di almeno seimila unità. Ho più volte proposto, nel corso di questi anni, che si passi a una forma di reclutamento (l’ultimo concorso è del 2016 ndr) diversa; il mio sogno è che ci sia un concorso annuale, come accade già in Francia. Ciò consente di avere un turnover progressivo e non a blocchi, come già accaduto in passato (e ora ci ritroviamo un numero alto di addetti che sono in fase di pensionamento); è un meccanismo perverso e ora rischiamo di fare lo stesso errore. Adesso è necessario fare delle grandi assunzioni, ma ho parlato più volte con il Ministro per oltrepassare questo problema legislativo e ottenere concorsi annuali. Sono dell’avviso che dobbiamo costruire condizioni di lavoro anche nel privato, non possiamo pensare che tutti i professionisti dei Beni culturali (che sono oltre 20.000) possano essere assunti tutti dagli enti pubblici. Un aspetto in cui continuiamo a essere in ritardo è proprio la gestione. I percettori di cittadinanza saranno coinvolti non nella gestione ma in piccoli interventi di manutenzione, di pulizia: abbiamo siti archeologici invasi dalle erbacce; è una forma di educazione al patrimonio. Si tratta di persone di ceti sociali svantaggiati alle quali bisogna far capire l’utilità del loro lavoro, far scoprire e apprezzare il patrimonio. Io credo che questo sia uno dei fondamenti della Convenzione di Faro, cioè mettere tutti in condizione di cogliere il valore del proprio patrimonio».

 

Pubblicato su Osservatorio,  novembre 2021, pp. 34-36


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