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Per un'archeologia che non guardi (solo) al passato

È periodo di documenti e di appelli al ministro Bonisoli. Prima uno di ex dirigenti del MiBAC, tra cui Luigi Malnati e Adriano La Regina, pubblicato sul sito web dell'INASA (Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell'Arte), sottoscritto da molte centinaia di archeologi, che chiede il ripristino delle soprintendenze archeologiche sulla base di una serie di problemi verificatisi in questi anni.

Poi uno proposto da chi scrive, insieme ad Andrea Carandini e Daniele Manacorda, che chiede la conservazione e il rafforzamento delle soprintendenze uniche introdotte nel 2016 con la riforma Franceschini, sottoscritto da un gruppo di archeologi, architetti, storici dell'arte. Poi si sono aggiunti documenti dell'API (Archeologi del Pubblico Impiego), della Funzione pubblica della CISL e altri ancora.

Leggo ora con sconcerto la richiesta degli archeologi soci dell'Accademia dei Lincei, che non solo chiedono il ripristino delle soprintendenze archeologiche (con una certa visione iper-classicista e sostanzialmente antiquaria dell'archeologia, alla faccia dell'approccio contestuale e territoriale, del paesaggio e delle archeologie postclassiche, che con le architetture, i centri storici, il restauro dei monumenti hanno legami indissolubili) ma addirittura l'eliminazione dei musei e parchi autonomi.

Insomma via l'autonomia del parco di Pompei o di Paestum e degli altri vari parchi archeologici, di cui finalmente il nostro Paese si è dotato, dei Musei Archeologici di Napoli, di Taranto, di Reggio Calabria, di Roma: li vorrebbero riportare a essere meri uffici delle soprintendenze.

Direttori non più a tempo determinato, con selezioni internazionali (certamente da migliorare, che dubbio c'è!), che quindi possano essere valutati alla fine del mandato (se hanno fatto bene, da confermare, altrimenti via), ma direttori a vita come nei bei vecchi tempi. O meglio: il Soprintendente archeologo direttore anche del grande Museo Nazionale; tanto che importa dei visitatori, dei servizi, del rapporto con le comunità locali.

Bentornati nell'Ottocento! Come se oggi sia pensabile un ritorno ai tempi e ai modi di gestire l'archeologia di un Giuseppe Fiorelli o un Paolo Orsi (grandi archeologi del passato, ma, appunto, del passato!). Ricordo, per i non addetti ai lavori, che prima delle recenti riforme, tutti i musei erano uffici delle Soprintendenze e che il Soprintendente, oltre a occuparsi della tutela dell'intero territorio, dirigeva anche i Musei e i parchi archeologici o li affidava (senza concorso ma esclusivamente sulla base della sua scelta personale) a suoi funzionari, privi di qualsiasi autonomia decisionale, ai quali poteva togliere l'incarico in qualsiasi momento.

Che ci siano tante cose da cambiare e migliorare nell'attuale sistema, che ha solo pochi anni di vita (a fronte del secolo e mezzo di vita delle soprintendenze settoriali), lo sappiamo bene. Io stesso nel 2014 proposi (avendo contro quasi tutti) Soprintendenze uniche regionali, dirette da dirigenti di prima fascia, con vari dipartimenti all'interno (archeologia, architettura, arti, paesaggio, demoetnoantrolpologia), compresi i poli museali (che devono essere integrati con l'azione di tutela ma mantenendo una loro specificità, con personale dedicato, se vogliamo creare un sistema museale nazionale), diretti da dirigenti di seconda fascia.

Soprintendenze dotate di autonomia amministrativa e gestionale, oltre che scientifica, al pari della Soprintendenza speciale di Roma, con CdA e Comitati scientifici. Resto convinto che sarebbe stata e sarebbe la soluzione migliore. Ma questa è una soluzione ben diversa da un mero nostalgico ritorno al passato, alla frammentazione disciplinare e settorializzazione del patrimonio.

Insomma andrebbero fatti passi in avanti nel terzo millennio e non passi indietro in un passato che sono nella mente di alcuni funzionava benissimo!

Si consideri inoltre un fatto incontestabile: non si possono fare riforme con ogni ministro, non si possono infliggere continui scossoni organizzativi su un organismo stanco e debilitato, che solo ora, con fatica, e anche grazie all'immissione recente di forze giovani, sta cominciando a funzionare con il modello introdotto negli anni scorsi. Modello da migliorare e perfezionare, non da smantellare.

Sia, però, ben chiara una cosa soprattutto: serve un profondo cambio di mentalità! Se continua a prevalere la visione proprietaria del patrimonio, la tendenza a considerare cosa propria un museo, un monumento o un territorio, a stendere filo spinato e a erigere muri, a rifiutare collaborazioni e integrazioni disciplinari, a decidere chi può lavorare e chi no (non sulla base di competenze e qualità certificata ma di amicizie e di subalternità), a chi 'concedere' di condurre uno scavo archeologico e a chi no, a preferire le diffide e i 'no' al confronto e alla concertazione, a considerare i cittadini nemici invece che alleati, a fraintendere la moderna gestione del patrimonio con 'mercificazione', nessuna riforma funzionerà, con soprintendenze uniche o settoriali.

Il Parlamento sta per ratificare finalmente, con molti anni di ritardo, la Convenzione di Faro sul valore del patrimonio culturale per la società: è lo spirito di quella convenzione che andrebbe attuato!

C'è una grande riforma culturale da fare nel nostro Paese. Con le energie e il coraggio di chi guarda al futuro e non con le paure e le nostalgie di chi si rifugia solo in un passato di privilegi e di chiusure.

https://www.huffingtonpost.it/giuliano-volpe/per-unarcheologia-che-non-guardi-al-passato_a_23640876/ 


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