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Soprintendenza, cosa cambia

A un anno e mezzo dall’avvio della profonda riforma del MiBACT-Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, voluta dal ministro Dario Franceschini, stiamo per entrare nella seconda fase di tale radicale processo di cambiamento della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nel nostro Paese. È possibile indicare alcuni punti fermi di questa riforma: innanzitutto la pari dignità tra tutela e valorizzazione, nel pieno rispetto dell’art. 9 della Costituzione, che affianca la “promozione della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” alla “tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione”; la creazione di un sistema museale nazionale; l’autonomia gestionale e scientifica dei grandi musei e parchi archeologici (ai primi 20 ora se ne vanno ad aggiungere altri 10); l’attenzione a ricerca e educazione.

Se la prima fase si è concentrata sulla valorizzazione, e in particolare sui musei, questa seconda fase interviene sulla tutela, completando il disegno avviato con la riforma dell’agosto 2014, grazie all’unificazione in uniche soprintendenze di archeologia, architettura, arti, beni immateriali, paesaggi. Nascono così le soprintendenze ‘Archeologia, Belle Arti e Paesaggio’, estendendo a tutta l’Italia il modello della soprintendenza unica, che tempo fa era stato sperimentato in alcune piccole regioni (come il Molise) e che è da anni adottato in Sicilia.

Personalmente considero questa la risposta migliore, più innovativa dal punto di vista metodologico e più efficace dal punto di vista operativo (come ho anche recentemente avuto modo di spiegare nel mio libro Patrimonio al futuro. Un manifesto per i beni culturali e il paesaggio Electa, Milano 2015), per realizzare il definitivo superamento dell’attuale frammentazione, esito di una concezione settoriale, accademica e anche corporativa, affermando una visione olistica del patrimonio culturale e considerando il paesaggio quale elemento comune.

Pensiamo, ad esempio, ai centri storici o ai paesaggi stratificati della Daunia: com’è possibile conoscerli, tutelarli, valorizzarli, se non con un approccio globale e integrato, realmente multi- e interdisciplinare? Basti pensare che nella Carta dei Beni Culturali della Puglia per la sola provincia di Foggia abbiamo censito oltre 5000 beni, senza considerare quelli mobili, che costituiscono non più del 10-20% di quelli realmente esistenti nel territorio ma non ancora noti.

Per affrontare la complessità del patrimonio culturale le nuove soprintendenze avranno al loro interno vari settori: archeologia, arte, architettura, paesaggio, beni immateriali, educazione e ricerca, ognuno con un proprio responsabile.

Ora che la Legge Madia ha introdotto il ‘silenzio-assenso’ in caso di mancata risposta da parte delle Soprintendenze entro 90 giorni, risulta ancor più necessario disporre di organismi di tutela, radicati sul territorio e multidisciplinari, in grado di fornire rapidamente e in maniera univoca risposte, pareri, autorizzazioni. Soprintendenze che non si soprappongano ma che parlino con una voce sola, chiara, autorevole, capaci di stabilire un migliore rapporto con i cittadini, gli enti locali, le associazioni, gli imprenditori, in grado di attuare una necessaria semplificazione burocratica e di superare una concezione poliziesca della tutela. In grado, cioè di svolgere efficacemente un servizio pubblico e di contribuire con le comunità locali a salvaguardare il patrimonio e progettare nuove forme di sviluppo sostenibile.

In questo contesto si è formata la possibilità di istituire una Soprintendenza per le province di Foggia e BAT, con sede a Foggia, una delle tre soprintendenze previste in Puglia (con sedi a Lecce e Bari). Taranto, che ha ospitato da oltre un secolo la Soprintendenza archeologica, perde questa sede (e mi dispiace moltissimo per quella città che nella cultura dovrebbe trovare il suo futuro), ma conserva l’importante Museo Nazionale, ora divenuto autonomo.

Si realizza, così, un obiettivo, un sogno, risalente a vari decenni fa, che anch’io ho vissuto da studente e neolaureato, quando negli anni Ottanta cominciavo i mei studi sulla Daunia: e il mio pensiero oggi non può non andare a Marina Mazzei, che quel sogno ha a lungo condiviso.  Non era affatto scontato che la scelta ricadesse su Foggia, che non è mai stata sede di soprintendenza (pur avendo due uffici decentrati) ed è priva di strutture adeguate e personale, tanto che si pensava di lasciare a Bari la sede con la competenza per la Puglia settentrionale. Non mancano, infatti, le opposizioni e proteste di chi contesta lo spostamento di personale da Bari. Mi auguro che le autorità locali siano in grado di supportare questa possibilità mettendo a disposizione un edificio in grado di ospitare una istituzione così importante. Alla fine, dopo lunga discussione, gli argomenti a favore della scelta sono stati vari: la consistenza del patrimonio, l’ampiezza e articolazione del territorio, che richiedono un presidio sul posto, la presenza, infine, dell’Università, con un attivo settore di archeologia e beni culturali (che evidentemente pare apprezzato più altrove che localmente).

Anche per questo mi auguro che l’Università di Foggia ripensi l’improvvida e autolesionistica scelta della marginalizzazione dell’archeologia e dell’intero comparto dei beni culturali realizzata negli ultimi due anni, e torni a rilanciare un ambito che fin dalla sua istituzione nel 1999 era stato considerato strategico per l’ateneo e per il territorio e che ora riceve un importante supporto da questa decisione del MiBACT.

Auspico e mi impegnerò, infatti, per un ulteriore obiettivo della riforma Franceschini: un nuovo rapporto tra MiBACT e Università, con l’istituzione dei cd. ‘policlinici dei beni culturali’, cioè strutture miste di ricerca, formazione, tutela e valorizzazione, con la collaborazione sistematica di docenti, ricercatori, tecnici e funzionari, la condivisione di laboratori, biblioteche, strumentazioni, l’integrazione di competenze e di professionalità, a tutto vantaggio sia della formazione di elevate figure professionali, sia della ricerca e della sperimentazione sia della stessa tutela del patrimonio. Le sedi delle nuove soprintendenze uniche coincidono in larga parte con sedi universitarie nelle quali sono attivi dipartimenti e corsi di Beni Culturali. Mi auguro, quindi, che si possa presto giungere a sperimentare un innovativo modello di cooperazione tra soprintendenze e università, a tutto vantaggio della formazione di figure alte professionali, di una tutela ancor più efficace e di una migliore valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale.

E Foggia ha tutte le carte in regola per realizzare al meglio anche questo ulteriore importante obiettivo.


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