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Una riflessione a proposito della lezione del 'silenzio-assenso'

Credo che la vicenda del silenzio-assenso sia emblematica per cogliere con estrema chiarezza e drammaticità quanta sfiducia ci sia nei confronti delle soprintendenze.  Purtroppo si configura come una chiara misura punitiva nei confronti delle 'odiate soprintendenze'. In realtà finirà per punire il patrimonio culturale e il paesaggio. E sarà, a mio parere, anche un incentivo alla corruzione con rischi concreti in particolare negli uffici degli enti locali e regionali (ambito nel quale la magistratura da anni segnala i pericoli maggiori della corruzione): infatti i corrotti non dovranno nemmeno assumersi la responsabilità di dare un parere positivo ad una demolizione di un bene culturale o ad nuova costruzione in un’area protetta: basterà tener ferma la pratica, portando a giustificazione il sovraccarico di lavoro, una malattia, un computer rotto, etc.

Cosa penso di questa misura l’ho già scritto e dichiarato e rinvio al documento approvato all’unanimità dal Consiglio Superiore BCP.

Torno invece al tema della misura punitiva. Alcuni parlamentari mi hanno riferito della difficoltà di contrastare l’introduzione del silenzio-assenso a causa della diffusissima ostilità verso le soprintendenze. Chiunque abbia una conoscenza della realtà e non viva in un modo separato sa bene che questa percezione è purtroppo assai diffusa. Ho parlato con professionisti, progettisti, amministratori: e la reazione è sempre la stessa. Non si possono attendere tempi infiniti. Hanno ragione, indubbiamente. Anche il misnistro Boschio oggi lo afferma in una lettera su Repubblica. E pensa che in questo modo gli uffici si responsabilizzeranno E’ difficile spiegare che mancano mezzi e personale, che servirebbero sistemi informativi,  banche dati consultabili da tutti (un progettista così saprebbe già a monte, al momento dell’elaborazione del progetto, quali sono i problemi, e non a valle, quando magari l’opera è già finanziata e si rischia di perdere il finanziamento).

Insomma c’è una netta separazione tra strutture della tutela, percepite come ostili, chiuse, autoreferenziali, pronte solo a dire no, e la società italiana. Questo è il tema! Chi non lo affronta in tutta la sua gravità, contribuisce solo ad accrescere tale distanza. Non è un problema che, per la verità, riguarda solo le strutture della tutela. Ha riguardato e riguarda anche, ad esempio, l’Università, e sappiamo bene che problemi vive.

La risposta a questa situazione non può tradursi nella chiusura e nella difesa del fortino. Serve invece un grande coraggio nell’apertura e nel cambiamento. Chi si limita alla difesa ‘senza se e senza ma’ rende un pessimo servizio alle istituzioni (e alle persone) che dice di voler difendere. Non basta dire che non ci sono risorse e personale: che è un problema reale e tragico!

Chi, come lo scrivente, intende difendere con forza il ministero e le soprintendenze (e soprattutto le tante persone serie, preparate, oneste, impegnate che vi lavorano), si batte per un suo radicale cambiamento, per una politica di innovazione, di apertura, di liberazione di energie. Ma spesso è attaccato da due fronti opposti e convergenti: è considerato un nemico da chi, colpito da miopia totale, non vuole rendersi conto di cosa sta succedendo e si chiude in una mera difesa corporativa, accrescendo anzi gli atteggiamenti negativi (la risposa peggiore ad un problema reale); è, d’altra parte, ritenuto un ostacolo da chi vorrebbe far piazza pulita di ogni forma di tutela e avere le mani libere per distruggere, cementificare, consumare.

Solo un’analisi coraggiosa e franca degli errori commessi, dei vizi e dei difetti, solo una reale volontà di cambiamento, a partire dai comportamenti, può consentirci di difendere realmente e rinnovare la nostra gloriosa tradizione (nella quale troppo a lungo ci siamo cullati, pensando che fosse sufficiente per giustificare anche gli errori che si andavano facendo; una tradizione, se non è vivificata, avvizzisce, si sclerotizza, si trasforma in tradizionalismo) e di chiedere, anzi pretendere, quelle risorse e quel personale che certamente servono, anche per dare risposte affidabili  (e non soggettive o addirittura arbitrarie), in tempi certi e veloci.

Una battaglia che possiamo vincere solo con il sostegno sociale.

La lezione del silenzio-assenso è anche questa.

Serve dunque un gran lavoro per riconquistare fiducia e credibilità.

 


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