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Una riorganizzazione, non una riforma dei beni culturali

Circolano da alcuni giorni le slides utilizzate dal ministro Alberto Bonisoli per illustrare la sua proposta di riorganizzazione del MiBAC, elaborata da una commissione istituita nello scorso mese di gennaio (DM 31.1.2019) a associazioni e a varie realtà rappresentative del mondo dei beni culturali. È doveroso preliminarmente sottolineare positivamente il metodo di ascolto e confronto adottato dal ministro. Sempre, però, nell'ambito delle considerazioni preliminari, è altrettanto doveroso sottolineare che questo intervento non si qualifica come una vera riforma ma come una riorganizzazione ministeriale (chiara nella stessa denominazione della Commissione di studio per lo sviluppo e l'assestamento organizzativo del MIBAC). Un'ennesima riorganizzazione, verrebbe da dire, con cambi di nomi, sigle e uffici come se ne sono conosciute a decine nella quarantennale storia del Ministero: una sequenza che ha sfibrato un corpo ormai debilitato dai continui cambiamenti, spesso più formali che sostanziali. Insomma un intervento tutto interno al ministero più che una vera riforma con una visione del ruolo del ministero nella società contemporanea, come – piaccia o non piaccia – è stato nel caso delle riforme realizzate negli scorsi anni dal precedente ministro Dario Franceschini. Tale scelta non è un male, anzi personalmente considero molto positivo che l'attuale ministro non abbia voluto scardinare l'impianto delle precedenti riforme, smentendo la consueta prassi del ministro che cambia tutto quanto fatto dal suo predecessore, comprese le cose positive. È assolutamente condivisibile che servisse una manutenzione, con una serie di aggiustamenti per risolvere i numerosi problemi posti dalle riforme (e denunciati da più parti), soprattutto a causa di una loro non adeguata applicazione. Cerchiamo di capire se le misure annunciate vanno in tal senso.

Numerose sono le conferme che inevitabilmente deludono coloro che auspicavano e attendevano un ritorno al passato, con una radicale demolizione delle riforme degli ultimi anni, il ripristino delle soprintendenze disciplinari e addirittura la fine dell'autonomia dei grandi musei. La riorganizzazione firmata Bonisoli conferma, infatti, sia la storica novità della 'soprintendenza unica territoriale' (la cd. 'soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio', che sarebbe tanto più semplice chiamare, se non si trattasse dell'ennesimo cambio di denominazione, 'soprintendenza al patrimonio culturale'), con l'approccio multidisciplinare, la centralità del paesaggio e la maggiore vicinanza ai territori: anzi si annuncia un incremento del "numero delle attuali SABAP territoriali per offrire una maggiore vicinanza dell'Amministrazione alle esigenze locali", "interlocutrici uniche dei cittadini in materia di tutela, autorizzazioni e concessioni (centralità cittadino)" e anche un giusto e opportuno rafforzamento dei "responsabili delle aree tematiche", cioè una maggior peso delle competenze tecnico-scientifiche. Restano confermate sia l'autonomia dei trenta grandi musei e parchi archeologici, sia la prosecuzione della costruzione del Sistema Museale Nazionale, sia pure con una diversa configurazione dei Poli museali regionali che ora cambieranno denominazione in 'Reti museali' e avranno una dimensione in molti casi interregionale (non priva di perplessità, segnalate anche da ICOM Italia).

Non mancano però motivi di grande perplessità, che pongono varie domande: i problemi che molti hanno indicato (ad esempio i 'difficili' rapporti tra soprintendenze e poli museali) saranno risolti? È una riorganizzazione che semplifica o che, al contrario, complica e crea ulteriore confusione? Cerchiamo di sintetizzare alcuni temi.

La riorganizzazione ha un impianto fortemente centralista, accresce il numero delle Direzioni Generali (che invece sarebbe stato decisamente meglio ridurre), moltiplica gli istituti e gli incarichi, attribuisce maggiori poteri al Segretariato Generale, accumula gli incarichi dirigenziali romani (secondo un vecchissimo vizio della politica), producendo una struttura sempre più macrocefala e burocratica, mentre sarebbe di gran lunga preferibile avere un centro snello, forte e autorevole, con reali capacità di indirizzo, coordinamento e monitoraggio, e potenziare il territorio, sempre più in difficoltà. Cosa resta ormai del cosiddetto 'ministero anomalo' voluto da Giovanni Spadolini, con una netta prevalenza tecnico-scientifica, ora che si darà il definitivo colpo di grazia burocratico? Peraltro questo neocentralismo pare in schizofrenico contrasto con il progetto autonomistico delle regioni Veneto, Lombardia e Emilia Romagna(una questione gravissima che rischia di passare sotto silenzio), anche nel campo dei beni culturali, sul quale il ministro Bonisoli non ha ancora chiarito la sua posizione: dopo aver perso il Turismo, il MiBAC perderà anche la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale di tre grandi e importanti regioni?

La parte più problematica e anche incomprensibile della riorganizzazione riguarda però i 7/8 Segretariati interregionali, in sostituzione degli attuali Segretariati regionali, che rappresentano una delle parti più deboli della riforma Franceschini. A cosa servono, visto che raggruppano mega territori interregionali di difficile gestione come Piemonte-Liguria-Lombardia o Toscana-Umbria-Marche o Lazio-Abruzzo? Sembra poi difficile da comprendere il senso della traballante geografia istituzionale nell'annessione al Segretariato di Veneto-Friuli V.G.-Emilia Romagna anche del Trentino e a quello della Calabria anche della Sicilia, notoriamente dotate di autonomia nei beni culturali (la Sicilia addirittura sin dal 1946!). È evidente che tali Segretariati interregionali si configurino come un'emanazione territoriale del Segretariato Generale, una sorta di organismo di controllo degli istituti periferici. Meglio sarebbe eliminare del tutto questi inutili Segretariati, peraltro privati di molte delle funzioni attuali, trasferendo il personale alle Soprintendenze, in endemica carenza di mezzi e persone.

Anche sulle 11 'Reti museali' non mancano i dubbi: come potranno occuparsi dei sistemi museali di territori enormi come ad esempio Piemonte, Liguria e Lombardia? Ma soprattutto cosa si intende per "attribuzione alle SABAP dei parchi e delle aree archeologiche attualmente presenti nei Poli"? Significa che i musei (anche quelli archeologici?) restano alle 'Reti museali' e i parchi e le aree archeologiche tornano alle Soprintendenze? E se i Musei sono in area archeologica, come in tanti casi, ad es. a Cosa, a Cerveteri, a Egnazia, si divideranno Museo e Parco o restano alle Reti o tornano alle Soprintendenze? Sembra sinceramente più un contentino dato agli archeologi (che hanno fortemente protestato) che una soluzione organica. Ma staremo a vedere e valuteremo la proposta nella sua articolazione meno provvisoria di quella attuale.

Un autorevole gruppo di rappresentanze archeologiche, tra consulte universitarie e associazioni di professionisti e di funzionari del Mibac, in un documento unitario, insieme a una puntuale disamina critica dei problemi e delle disfunzioni, ha avanzato proposte molte equilibrate, nel senso di una reale miglioramento delle riforme, ad esempio con l'evoluzione verso forti soprintendenze regionali, dotate anche di autonomia amministrativa, al cui interno includere anche gli attuali poli museali, come uno dei settori, con una sua specificità ma integrato in un organismo unitario territoriale. Ecco una vera semplificazione, un reale decentramento e un forte rafforzamento degli istituti territoriali, della tutela e della valorizzazione, integrate con pari dignità.

Interessante è, invece, il punto in cui si prevede per le Reti museali di "ridurre il peso della diretta gestione dei siti": sarà un bel progresso se significherà che le Reti non si occuperanno solo di gestire direttamente i musei e i siti (cosa che fanno attualmente i Poli con grande fatica) ma di coordinare e di creare 'reti' appunto, con i musei civici, diocesani e privati, e soprattutto di favorire la sperimentazione di nuove forme di gestione coinvolgendo le forze più vive e attive, le competenze e le professionalità presenti in ogni realtà italiana, secondo quanto è emerso ad esempio in occasione degli 'Stati generali della gestione dal basso del patrimonio culturale'.

Al momento, in conclusione, è ancora impossibile dare un giudizio complessivo su questo progetto, che però si spera non si trasformi in un ennesimo intervento di complicazione invece che di semplificazione. Ma ciò che emerge, ancora una volta, è, nonostante un richiamo un po' retorico a una 'centralità del cittadino', la distanza che separa un intervento sostanzialmente burocratico dai principi della Convenzione di Faro, che il Parlamento continua a non ratificare.

Pubblicato in https://www.huffingtonpost.it/giuliano-volpe/una-riorganizzazione-non-una-riforma-dei-beni-culturali_a_23702953/?fbclid=IwAR1a66f4OOd4OuE91P-0MQmOF8EtIXxZsfNDWwdYGEgG1yMIHuvNEOiQg2U
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