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Una sola domanda: il patrimonio culturale fa ancora parte delle strategie di Unifg?

Il comunicato stampa con il quale il Rettore dell'Università di Foggia risponde alle critiche e alle sollecitazioni ricevute da varie parti in merito alla mancata approvazione, per il terzo anno consecutivo, di una laurea magistrale nel settore dei beni culturali, evidenzia, ancora una volta, l’impostazione esclusivamente burocratica con la quale si affrontano questioni significative per il futuro (e anche il passato) della nostra Università. Non una parola nel merito, non un giudizio circa l’utilità o meno di un settore di archeologia e beni culturali nell’Università e in Capitanata, non una prospettiva o una strategia.

Si ricorda la decisione di chiudere il corso di Laurea Magistrale in Archeologia, all’indomani del suo insediamento a causa del basso numero di iscritti (9, in realtà 10, perché si continua a non includere uno studente trasferito da altra università, in modo da sottolineare che si era al di sotto del minimo previsto per questa classe di laurea). Si dice anche che gli studenti si laureavano un po’ in ritardo: lo sapete perché? Perché molti di loro, oltre a studiare, lavoravano, sia pur occasionalmente, con scavi, ricognizioni, schedature, anche grazie alla società di spin off nata proprio in seno al nostro settore di archeologia. Non si precisa, inoltre, che quella riduzione di iscritti si riferiva ad una fase di difficoltà dell’intero settore dei beni culturali: erano ancora gli anni in cui un ministro diceva che con la ‘cultura non si mangia’ (ma forse pensa ancora oggi la stessa cosa il Rettore). Un calo nelle iscrizioni si registrò in tutte le università italiane, comprese sedi storiche e prestigiose come Siena, dove, pur con numeri minimi di immatricolati (10-12, fino ad un minino di 9, ma poi i numeri sono aumentati e sono in crescita), certamente non si mai pensato per un solo istante a chiudere il corso. Casi simili possono essere citati in quantità. Nessun corso fu chiuso: solo Unifg lo fece! E, non dimentichiamo, che prima ancora della chiusura della laurea magistrale si era inferto il primo colpo con la chiusura del Dottorato di Ricerca in Storia e Archeologia dei Paesaggi. Da allora le cose sono andate progressivamente cambiando, e in meglio, e da due anni il mondo dei beni culturali, sia pure tra mille difficoltà a causa di decenni di politiche di tagli e marginalizzazione della cultura nelle strategie dei vari governi, si è rimesso in moto. Il MiBACT ha conosciuto una riforma radicale, sono stati resi autonomi 30 grandi musei, sono state istituite le nuove soprintendenze uniche (una anche a Foggia – un vero fatto storico per la città e il territorio) si sta dando vita ad un sistema museale nazionale, con poli museali regionali, si è avviata una collaborazione sistematica tra MIUR e MiBACT. Si è ricominciato a finanziare il settore. Il fondo destinato al MiBACT, giunto nel 2013 a circa 1 miliardo e mezzo, ha superato i 2 miliardi lo scorso anno, e di recente è stato stanziato un altro miliardo per il patrimonio culturale. E solo per le regioni meridionali, tra cui la Puglia, è in arrivo una nuova dotazione di circa 400 milioni per il patrimonio con il PON Cultura. È ancora poco, ma la rotta è stata finalmente invertita. È stato bandito un concorso per 500 tecnici-scientifici (archeologi, storici dell’arte, architetti, ecc.) e con la prossima legge di stabilità si punta ad aumentare significativamente questo numero, forse a raddoppiarlo. Ma è l’intero settore che si sta risvegliando, anche per le iniziative di privati, fondazioni, società, singoli professionisti. Suggerirei al Rettore anche la lettura del mio ultimo libro, nel quale parlo anche di questi temi, illustrando tanti casi virtuosi e innovativi di gestione del patrimonio culturale in Italia. Troverà anche un intero capitolo dedicato alla formazione universitaria nel campo dei beni culturali in Italia.  Ma se – come temo – non ha fiducia nelle mie competenze, veda allora studi come quelli dell’ISTAT (Patrimonio culturale: identità del Paese e inestimabile opportunità di crescitahttps://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1436885781634_patrimonioculturale.pdf) , che evidenziano le enormi potenzialità inespresse proprio al Sud. Inespresse, non inesistenti: e forse una Università dovrebbe assumersi il compito di aiutare ad esprimersi! Suggerisco l’analisi di questi dati (e i tanti studi di validi economisti della cultura) a lui e ai suoi collaboratori che dispongono evidentemente di altri studi di settore (quali? Non ne sono a conoscenza), sulla cui base si sono bocciate in tre anni consecutivi le proposte di nuova istituzione di una Laurea Magistrale sempre con la solita tiritera della mancanza di sbocchi occupazionali (ma sarebbe interessante conoscere i dati sugli sbocchi occupazionali anche per altri corsi di studi, che non mi risultano così entusiasmanti). Gli suggerisco, infine, di consultare la rassegna stampa dell’Unifg (dalla quale pure ha deciso di estromettere giornali considerati fastidiosi come L’Attacco). Per quegli strani giochi delle combinazioni imprevedibili, nella rassegna del 21 ottobre, oltre ad un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno dedicato alla bocciatura della laurea magistrale, è stato inserito un articolo de La Stampa (noto giornale sovversivo), dal titolo ‘Dagli archeologi ai magistrati riparte la stagione dei concorsi’: che ci siano delle falle nella censura?

Altrove non va così, altrimenti non si spiegherebbe perché – senza andare fuori regione – in Unisalento il settore dei beni culturali ha conosciuto quest’anno uno straordinario incremento di iscritti, tanto da essere uno di quelli maggiormente in espansione. E infatti anche nella comunicazione di Unisalento il patrimonio culturale assume un ruolo di primo piano.

Non credo che tutto possa ridursi ad una mera questione contingente di numeri senza un esame complessivo e di più ampio respiro strategico. Se così non fosse, alcune università, pur disponendo di docenti di provata qualità, dovrebbero chiudere corsi di fisica o di filosofia, o altri ambiti ‘di nicchia’, considerati, però, preziosi per le strategie di un Ateneo e del territorio nel quale opera. Sarebbe come se un Sindaco decidesse di chiudere i rubinetti per le attività culturali perché coinvolgono un numero più ridotto rispetto ad altri ambiti, dallo sport ai servizi sociali. O una casa automobilistica sospendesse la produzione di auto elettriche perché hanno numeri di vendita più piccoli rispetto a quelle tradizionali a benzina. Insomma, i numeri sono importanti, ma non si governa solo con i numeri.

Vorrei sottolineare, infine, un dato incontrovertibile: le nostre proposte sono state bocciate per tre anni consecutivi. Con una novità quest’anno: la proposta, a lungo frutto di elaborazione e confronto, è stata stroncata sul nascere, con un perentorio giudizio ‘tecnico’ della Commissione paritetica del Dipartimento di Studi Umanistici. Insomma quest’anno non ci si è preso nemmeno il fastidio di bocciarla in Senato, come avvenne quando il corso fu disattivato. E mi preme precisare anche che quest’anno la proposta non riguardava la sola archeologia, ma un ambito molto più ampio. Con una laurea in ‘Archeologia e comunicazione per la valorizzazione del patrimonio culturale’.

Ma al di là delle burocratiche spiegazioni fornite in notarili comunicati stampa, credo che la comunità accademica, la città, il territorio abbiano il diritto di sapere, definitivamente una cosa assai semplice: il patrimonio culturale, il paesaggio, i musei, i siti archeologici rientrano tra gli interessi dell’Università di Foggia? Fanno parte delle sue strategie? E chi decide le strategie? Una commissione paritetica composta da quattro giovani docenti e quattro studenti (peraltro astenutisi). Io pensavo che fosse un compito del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione e, innanzitutto, del Rettore, se non attribuiamo – come credo nessuno voglia, nemmeno l’attuale Rettore – a questa figura fondamentale, soprattutto grazie ai poteri attualmente conferiti, un ruolo da notaio, da grigio burocrate o da amministratore di condominio.

Se la risposta fosse sì, allora i fatti tecnici, i parametri, i problemi si risolvono con le scelte politiche, con la volontà, con le strategie di comunicazione, di orientamento, di investimento, di alleanze con altri Atenei e con la collaborazione con altre Istituzioni, con gli Enti Locali, la Regione, i Ministeri.

Ma temo che ormai, pur mai dichiarata, la risposta sia no. Sembra dimostrarlo, da ultimo, la mancata adesione, almeno finora – da quel che mi risulta – di Unifg ad un Cluster dei beni culturali, al quale hanno aderito una sessantina di Università italiane. Quasi tutte, quindi, tranne Unifg. E dire che chi scrive è stato invitato fin dagli inizi del progetto a dare una mano per costruire questo Cluster. Non come Unifg, ma come esperto del settore. Così vanno ora le cose in Unifg!

 


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