Blog

Xi'an tra patrimonio dell'umanità e turismo di massa


Torno a Xi’an dopo circa 20 anni. Approfitto di un soggiorno a Chengdu per lavoro e ci vado in treno con mio figlio Alessandro per un paio di giorni. Voglio mostrargli una delle più grandi scoperte dell’archeologia mondiale. I famosi guerrieri di terracotta del mausoleo dell’imperatore Qin Shi Huang, il primo imperatore della Cina unificata tra il 221 e il 210 a.C. 
Il viaggio in treno è comodissimo, le nuove enormi stazioni dell’alta velocità realizzate in Cina negli ultimi anni sono strutture modernissime, pari a grandi aeroporti, con sistemi efficienti per l’emissione dei biglietti, i controlli di sicurezza, i servizi. Inutile dire: pulitissime, senza una minima traccia di minimo degrado. Migliaia di persone nella stazione di partenza di Chengdu e in quella di arrivo a Xi’an. Il treno è il mezzo più utilizzato in Cina per gli spostamenti. Difficile trovare un posto se non si prenota per tempo. 4 ore di viaggio per 650 chilometri (nonostante le molte fermate durante il percorso), con un costo di andata e ritorno di circa 60 euro a testa in seconda classe: prezzi popolari, sociali. 
Queste stazioni sono sempre molto distanti dal centro cittadino, ma raggiungerle è semplice in metropolitana o in taxi, che in Cina non costano praticamente nulla (circa 10 euro per andare in stazione, con un viaggio di non meno di mezzora per 30-40 chilometri!).
L’albergo prenotato dall’Italia è molto centrale, all’interno delle mura, nei pressi della porta nord. La città di Xi’an, che non avevo avuto modo di visitare nel mio viaggio precedente, è molto interessante e come tutte le città cinesi in grande continua trasformazione. Nella prima sera una passeggiata ci porta alla pagoda nel cuore della città, invasa da turisti, fino al grande e movimentato quartiere islamico, sviluppato intorno alla grande moschea e al bazar con centinaia di negozi e di bancarelle di cianfrusaglie e cibo, in un misto di rumori, voci, musiche, motorini e tricicli, rumori e confusione.
Per la visita al sito archeologico scegliamo la formula più semplice, per evitare di doverci organizzare autonomamente: aderiamo a una delle proposte dell’albergo, con un tour con guida, pulmino, biglietto e pranzo, tutto compreso, dalle 9 alle 17. Una scelta da tipico turista occidentale, ma certamente la più comoda e quella che, a conti fatti, funziona maggiormente. Certo ci sono gli svantaggi, soprattutto la sosta non breve in una azienda che comprende un laboratorio per la produzione di copie dei guerrieri, in tutte le scale possibili, non senza la spiegazione sulla tecnica di costruzione delle statue e un’artigiana impegnata nella rifinitura di statuine (per confermare al turista che i pezzi in vendita sono effettivamente prodotti sul posto con procedure artigianali), un enorme negozio in cui si vende di tutto, un ristorante con molto cibo occidentale molto gradito dai turisti (non da noi che preferiamo cibo cinese pagato a parte!).
Ma ci sono anche i vantaggi: una puntata al sito neolitico del villaggio di Banpo, molto interessante, con numerose tracce di capanne, luoghi di produzione, sepolture. Lo scavo risale agli anni 50 e anche la musealizzazione risente degli anni (troppo pesante e invasiva la struttura, poche le informazioni, superatissimi i sistemi multimediali con le ricostruzioni tridimensionali delle capanne) ma la visita merita certamente il tempo dedicato. Non dover pensare ai biglietti e all’organizzazione dei tempi. E soprattutto l’occasione di incontrare persone simpatiche e interessanti nel gruppo improvvisato per la gita giornaliera, una loquace, simpatica e colta giovanissima ragazza inglese con ascendenze pachistane e cinesi e sua madre, grandi viaggiatrici, due signore russe, alcuni americani e canadesi, un ragazzo italiano in compagnia di un russo e di un canadese con studi in università internazionali: c’è una generazione di giovani fortemente internazionalizzati che lascia molto ben sperare. Alessandro familiarizza facilmente e scambia con loro impressioni, racconti di studi e di viaggi.
Finalmente siamo al sito archeologico. Immediatamente mi fanno impressione le code, con la quantità di gente che si riversa nel sito: non ricordavo affatto questi numeri vent’anni fa. E mi fa anche impressione la sempre maggiore monumentalizzazione delle strutture ricettive, dei negozi, dei bookshop, di servizi che caratterizza il luogo. Immancabile la visita al presunto contadino scopritore del sito che forma copie della guida e si fa fotografare a pagamento.
L’ingresso al Pit n. 1, il più grande, con la grande copertura che lo fa somigliare a un enorme hangar, è invaso dalla gente. Una calca enorme che rende difficile raggiungere la ringhiera che delimita il percorso che si snoda tutt’intorno, per osservare le statue e scattare delle foto. Migliaia di scatti con migliaia di telefonini sollevati. Tentativi di selfie e di foto con i guerrieri sullo sfondo. Un caldo umido da foresta tropicale. L’emozione che – lo confesso – mi prese in occasione della mia precedente visita, forse la prima e una delle maggiori provate visitando un sito archeologico, è per me un ricordo. Per fortuna c’è l’entusiasmo di mio figlio. E nonostante tutto il disagio, il luogo resta magico, quelle schiere di statue, le parti non ancora scavate, i pezzi in corso di restauro conservano un interesse enorme, unico. La visita procede con i pit 2 e 3, ugualmente affollati e ugualmente interessanti. Un complesso straordinario, un progetto ‘faraonico’, la dimostrazione forte di un potere enorme e della volontà di affermare l’unità dell’impero cinese grazie alla potenza militare. Un complesso che conosciamo ancora solo in parte pur avendo impegnato schiere di archeologi e restauratori.
Il disagio massimo si registra quando si va al museo dove sono esposti i due carri in bronzo: qui la calca, il caldo, l’umidità, il contatto forzato con una quantità indescrivibile di persone sono insopportabili. Le teche che contengono i carri sono quasi opache per l’umidità e le impronte di migliaia di mani, quasi da rendere impossibile anche una foto. L’insopportabile buio che caratterizza quasi tutti i musei cinesi (un modello importato dall’Occidente, e spesso opera di architetti occidentali operanti in Cina), con le luci soffuse e puntate sugli oggetti, con quell’odioso effetto gioielleria che dovrebbe dare al visitatore una sensazione di estraniazione e di meraviglia in un contesto misterioso, verosimilmente pensato per poche persone che si muovono nel buio silenzioso, qui si trasforma in un girone infernale dal quale il più rapidamente possibile si cerca di fuggire (compatibilmente con la pressione che impedisce di decidere la ‘velocità di fuga’ e delle uscite che di sicuro non hanno nulla, stretti corridoi e scale. Mi chiedo cosa succederebbe in caso di incidente o anche solo di panico per un falso allarme).
Eppure è martedì, una giornata considerata non di punta, come tra venerdì e domenica, quando si raggiungono numeri non inferiori a 50.000; certo è luglio avanzato, ma non è né il Capodanno cinese né uno di quei momenti clou delle feste e del corrispondente turismo cinese. In Cina i numeri di persone che orami si muovono per turismo e che hanno interesse per i luoghi della cultura crescono a dismisura, con una progressione di decine di milioni di persone all’anno. Questo spiega anche il grande interesse e le enormi risorse ormai riservati per l’allestimento di musei e parchi.
Questa esperienza (insieme ad altre fatte in questi giorni in Cina, e ovviamente altrove in altri momenti) mi ripropone il tema attualissimo del turismo di massa e del suo rapporto sia con la conservazione dei beni culturali sia con la opportunità di garantire una fruizione adeguata. È facile cadere nella tentazione di rimpiangere i momenti in cui a viaggiare e a visitare i luoghi della cultura era una piccola, limitata, élite, colta e benestante. La democratizzazione del turismo e anche del turismo culturale è una grande conquista recente che va difesa. In Cina è un piacere vedere nei musei tante persone, e in particolare tanti giovani e tanti bambini. In questi stessi giorni ho provato piacere nel vedere tantissimi bambini e ragazzi che in una giornata di vacanza scolastica affollavano uno dei musei archeologici di Chengdu. Come conciliare questo diritto con la necessità di salvaguardare il patrimonio e di offrire a tutti le condizioni per una visita soddisfacente, arricchente, piacevole? Difficile fornire soluzioni, che però vanno cercate. Il numero chiuso? Certo non è facile dire a un turista che viene dall’altra parte del mondo e che ha riservato un giorno a Xi’an che proprio quel giorno le prenotazioni sono ormai esaurite e che non può visitare i guerrieri! Lo stesso varrebbe per il Colosseo, Pompei o gli Uffizi in Italia. Diversificare l’offerta (in Italia le possibilità non mancano vista la ricchezza e la diffusione di siti culturali)? Ma bisogna tener conto che chi viene in Cina non rinuncia ai guerrieri, come chi viene in Italia non rinuncia a Roma e al Colosseo, né a Pompei, Firenze e Venezia, pur essendoci mille altre località da visitare. Ma certo la strada da percorrere richiede sempre maggiore programmazione e controllo dei flussi, anche nell’arco della giornata (prevedendo anche visite serali e notturne, ecc.) e nel movimento dei visitatori all’interno del sito, riservando una grande attenzione alla puntuale informazione già al momento della pianificazione delle visite, oltre a diversificazione dell’offerta e promozione di destinazioni alternative.
Non vorrei aver dato un’impressione sbagliata: la visita dei guerrieri di terracotta resta una esperienza straordinaria, che andrebbe fatta almeno una volta nella vita.
La seconda giornata è dedicata alla visita delle mura di epoca Ming che circondano il nucleo storico di Xi’an e il bel museo di Beilin, con una straordinaria collezione di stele iscritte e di sculture che vanno dall’epoca Han (più o meno corrispondente alla nostra età romana) fino ad età moderna, di calligrafie e di arte. Non è mancata una puntata al mercatino che si sviluppa nelle stradine di questa parte della città.
Insomma, una bella, piacevole e interessante due giorni, anche grazie al sempre ottimo cibo cinese (comprese incursioni in ristoranti assai popolari e modesti), anche se non del livello della cucina del Sichuan.


<< Indietro

Ultimi post

La zone d'interesse

Visto “La zona d’interesse”, film di Jonathan Glazer, duro e doloroso come un pugno nello stomaco ripetuto continuamente con colpi ritmici,...

Killers of the Flower Moon

Visto, giorni fa (e purtroppo non al cinema, dove lo avevo perso) Killers of the Flower Moon, film epico (anche per la durata) di Martin Scorsese, grande...

La società della neve

Visto su Netflix la Società della neve, film drammatico, duro, a tratti sconvolgente, che racconta la nota vicenda del gruppo di ragazzi di una squadra...

L'educazione delle farfalle

Letto L'educazione delle Farfalle di Donato Carrisi, regalatomi da una amica che conosce la mia passione per i Thriller. Non avevo mai letto nulla di Carrisi...