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IL MINISTERO E GLI SCAVI MA... I DIRITTI COSTITUZIONALI?
La Costituzione italiana garantisce la libertà della ricerca ma secondo le norme ministeriali questo principio non sembra valere per l’archeologia
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento (con esclusione dell’archeologia)”. Il mio primo intervento in questo nuovo spazio della rivista si apre con la richiesta di una modifica costituzionale: questa appena riportata dovrebbe essere la formulazione dell’art. 33 della Costituzione, visto che in Italia la ricerca è sì libera, ma non quella archeologica. Forse andrebbe modificato anche l’art. 9 che assegna alla Repubblica (non allo Stato né a un singolo Ministero) il dovere di promuovere «lo sviluppo della cultura e la ricerca». Oppure, finalmente, si cambino gli articoli 88 e 89 del Codice dei Beni culturali e paesaggistici – visibilmente anticostituzionali – che riservano la ricerca archeologica esclusivamente al Ministero della Cultura (già dei Beni e delle Attività culturali). Ma procediamo con ordine...
Anacronismi per un moderno stato europeo. Bisogna risalire alle leggi di tutela del 1902 (Nasi) e 1909 (Rosadi) e poi del 1939 (Bottai): secondo quest’ultima «il Ministro per l’educazione nazionale ha facoltà di eseguire ricerche archeologiche o, in genere, opere per il ritrovamento di cose..., in qualunque parte del territorio del Regno»; il «Ministro..., sentito il Consiglio nazionale dell’educazione, delle scienze e delle arti, può fare concessione a enti o privati di eseguire ricerche archeologiche o, in genere, opere per il ritrova- mento di cose...». Norme di un’altra era geologica! Più recentemente, mentre il Testo Unico del 1999 riservava la ricerca allo Stato, il Codice del 2004 è tornato alla legge fasci- sta del 1939: «Le ricerche archeologiche e, in genere, le opere per il ritrovamento delle cose... in qualunque parte del territo- rio nazionale sono riservate al Ministero (per i Beni e le Attività culturali)»; «il Ministero può dare in concessione a soggetti pubblici e privati l’esecuzione delle ricerche e delle opere...»; infine «la concessione può es- sere revocata anche quando il Ministero intenda sostituirsi nell’esecuzione o prosecuzione delle opere...». Tralasciando il riferimento alle «opere per il ritrovamento delle cose» con l’anacronistica concezione da “caccia al tesoro”, bisogna sottolineare che dal 1974 il Mini- stero dei Beni culturali si è staccato dal Ministero dell’Istruzione e dell’Università. Per cui un docente universitario, come Pippo Genuardi, protagonista vessato dalla burocrazia ne La concessione del telefono di Andrea Cammilleri, deve affrontare procedure farraginose per chiedere e ottenere la “concessione”, la cui stessa denominazione è propria più di uno Stato “borbonico” che di un moderno paese europeo.
Contano solo formalismi e “carte bollate”. Negli ultimi anni una serie di circolari (ben dieci in un decennio e cresciute da due a tredici pagine: bizzarra semplificazione!) ha accentuato prescrizioni e incombenze, tra elenchi, dichiarazioni, assicurazioni, fidejussioni, accettazioni di divieti, come l’impossibilità di coinvolge- re, oltre agli studenti, anche i volontari (pur sotto la guida di docenti e archeologi esperti). Il limite della decenza è stato superato quando si è previsto che uno scavo universitario possa essere con- dotto solo se coerente con i progetti della soprintendenza e che anche le indagini dia- gnostiche non distruttive (ricognizioni, prospezioni geofisiche, rilievi, foto aeree, droni) debbano essere autorizzate. Addirittura si sono intro- dotti limiti per pubblicazioni, uso dei social, interviste, conferenze e lezioni. Invece di spingere a collaborare, si alimentano assurde contrapposizioni, dimenticando che l’Università svolge un servizio pubblico con il compito istituzionale di ricerca e didattica e che le attività sul campo, parte integrante dei corsi, hanno un’imprescindibile funzione formativa degli archeologi e degli stessi futuri funzionari e soprintendenti. Le proteste del mondo universitario non si sono fatte attendere e non si escludono forme clamorose di disobbedienza civile.
Poca importanza rivestono la qualità e il rigore metodologico, i risultati scientifici, e meno che mai il coinvolgi- mento delle comunità locali o il contributo allo sviluppo dei territori. Contano solo formalismi e “carte bollate”, per un Ministero che così di- mostra di smarrire il suo carattere tecnico-scientifico a vantaggio di atteggiamenti burocratici e interdittivi.
Pubblicato in Archeologia Viva, XL, 208, luglio-agosto 2021.Ultimi post
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