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Il ministro Sangiuliano ci farà pagare anche le fotocopie. Ecco perché e come

Tanto tuonò che piovve! Nelle previsioni del loquace ministro della cultura Gennaro Sangiuliano piogge di euro nelle casse del Ministero della Cultura, trasformato, oltre che in organo di propaganda per affermare un’agognata egemonia di una cultura di destra, in una sorta di agenzia delle entrate a danno di studiosi, editoria e impresa culturale e creativa. Nella realtà piogge di prevedibili proteste da parte delle società scientifiche e consulte universitarie di archeologia, storia dell’arte, storia, nonché di contenzioni, che inevitabilmente si scateneranno e che rischiano di trasformare dirigenti e funzionari, già sovraccarichi di onerosi impegni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, in occhiuti controllori di canoni e gabelle.

Ma andiamo in ordine. Nel suo atto di indirizzo politico il ministro Sangiuliano aveva annunziato la volontà di fare cassa, prevedendo canoni ancor più alti di quelli già previsti per l’uso delle immagini dei beni culturali, l’uso di spazi e il prestito delle opere. Da pochi giorni ha così mantenuto fede a questa sua strategia iperstatalista con il decreto 161 dell’11 aprile (Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali), accompagnato da un allegato con un dettagliato elenco di stampe, immagini digitali, videoclip, diapositive, microfilm, riprese video, scansioni, riprese da drone e anche fotocopie, infarcito da un astruso calcolo di coefficienti che dovrà regolare l’imposizione della gabella, a seconda delle dimensioni di una stampa, della tiratura di un libro, del prezzo di copertina (il discrimine è fissato a 50 euro, che per volumi d’arte e archeologia è alquanto bassino), del pregio dell’opera.

Ora se per l’uso degli spazi di musei e altri luoghi della cultura o per il prestito di opere nessuno credo metta in discussione una possibile e doverosa imposizione di canoni (anche se rischia di fatto di mettere in crisi gli scambi internazionali e soprattutto la possibilità di allestire mostre da parte di soggetti, anche pubblici, che non siano il Ministero della Cultura), il vero nodo riguarda l’uso delle immagini, cioè di un bene immateriale, di cui il ministero si considera unico proprietario. Ora, infatti, la scure si abbatterà anche sulle pubblicazioni scientifiche: i ricercatori dovranno pagare canoni salati per pubblicare in un proprio articolo in una rivista scientifica o in un libro, con prevedibili ripercussioni soprattutto sui giovani ricercatori meno provvisti o del tutto sprovvisti di propri fondi di ricerca (ma non volevano investire sui giovani ricercatori? Si destinano migliaia di borse di dottorato con il PNRR anche in ambito umanistico e poi costringiamo i dottorandi che desiderano giustamente pubblicare loro ricerche a decurtare le loro borse per pagare i canoni per le immagini di opere d’arte?). È facilmente immaginabile infatti che gli editori, già in non poche difficoltà, per evitare salassi e per evitare di aumentare i costi di copertina e cercando di tenere contenuta la tiratura (che poi, in un infernale circolo vizioso, farebbero aumentare ulteriormente il costo dei canoni per l’uso delle immagini) scaricheranno sugli autori tali costi, chiedendo loro di certificare il possesso di autorizzazioni e disponibilità delle immagini.

L’allegato per rendere più chiaro agli spaventati utenti i costi da sostenere regala anche esempi. Così precisa che uno storico dell’arte la chiesta a un museo di foto da pubblicare deve sapere che per «due stampe fotografiche 24 x 30 in bianco e nero per riviste scientifiche di settore fino a 1000 copie e con prezzo di copertina ˂ 50 euro. Tariffa applicata: (2 x 4,00) x 2,80 x 2,50 = 56 euro».

Non mancano i paradossi, determinati da chi evidentemente al Collegio Romano ignora il mondo dell’Open Access (òps: accesso aperto, vorrei evitare reprimende dell’on. Rampelli), che ormai riguarda il mondo della ricerca, sempre più anche in ambito umanistico: il decreto precisa per gli ebook (effettivamente non si parla di pubblicazioni ad accesso aperto) che «la nozione di “tiratura” si intende quale numero di download stimati. Qualora il numero di download effettivo superi quello stimato, il concessionario informa tempestivamente il concedente per consentire a quest’ultimo di determinare un corrispettivo integrativo». Già vedo gli studiosi controllare quotidianamente quanti consultano on line un proprio articolo, non per rallegrarsi del suo impatto nella comunità scientifica internazionale ma preoccupandosi di dover accendere un mutuo per pagare canoni aggiuntivi man mano che saranno più numerosi i lettori!

Così come immagino dirigenti e funzionari aggirarsi tra le bancarelle in Piazza dei Miracoli a Pisa o nei pressi del Colosseo a Roma per calcolare i proventi per le riproduzioni della torre e dell’anfiteatro flavio visto che nel caso di «merchandising (immagini di beni su prodotti commerciali di qualsiasi genere)» si prevede «dal 5% al 25% del prezzo finale di vendita in relazione alla singola categoria merceologica».

Ovviamente nessun canone è previsto nel caso di pubblicazioni da parte del personale del Ministero della Cultura, il solo che d’ora in poi potrà liberamente utilizzare le immagini del “patrimonio storico e artistico della Nazione” (come recita il maltrattato articolo 9 della Costituzione, che peraltro affida alla Repubblica e non a un singolo Ministero la tutela e la “promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca” e non precisa: tranne la ricerca nel campo dei beni culturali!). Siamo infatti in presenza di norme dall’evidente carattere incostituzionale, visto che si colpisce fortemente la libertà della ricerca sancita dall’articolo 33. Inoltre, si corre il rischio di trasformare tutti i ricercatori in fuorilegge, perché prevedo facilmente che molti ignoreranno queste norme continuando a pubblicare liberamente, per disobbedienza civile o semplicemente fregandosene, non senza possibili sanzioni da parte di solerti funzionari e dirigenti che magari non abbiano in simpatia questo o quel ricercatore.

Il ministro Sangiuliano non perde occasione, oltre all’ormai insopportabile retorica della bellezza e all’elogio della identità nazionale, di citare Croce, padre del pensiero liberale, ma con atti di questo tipo si trasforma in uno statalista gabelliere, illudendosi peraltro di portare vantaggi economici al Ministero. È dimostrato che finora le entrate dall’uso delle immagini hanno prodotto risultati miseri, che non hanno mai coperto nemmeno il costo degli stipendi del personale addetto a seguire queste pratiche (invece di essere più utilmente impiegato in azioni di tutela del patrimonio), tanto che anche la Corte dei Conti (terrore della pubblica amministrazione per il famigerato “danno erariale”) ha recentemente invitato il ministero ad adottare misure di liberalizzazione dell’uso delle immagini, addirittura anche per uso commerciale.

Come ho avuto più volte di precisare, anche in questa sede, sono pienamente convinto che il patrimonio culturale possa contribuire allo sviluppo anche economico del nostro Paese, con la creazione di nuova occupazione qualificata, la crescita dell’impresa culturale. Ma può farlo in altre forme, ad esempio con il turismo culturale, ma non solo, e non certo grazie a dazi e canoni. La liberalizzazione avrebbe in tal senso enormi potenzialità nel promuovere energie e creatività, oltre a favorire la ricerca scientifica.

Infine, non posso nascondere un altro timore: il decreto include un riferimento all'art. 20 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Si tratta in realtà di un articolo riferito ai beni materiali (non alle immagini), che qui è ripreso per imporre un controllo da parte del Ministero della Cultura dell'uso sociale delle immagini del patrimonio. L’articolo del Codice prevede che i beni culturali non possano essere «distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione». Ora si estende la norma alle immagini. Vorrà istituire il ministro Sangiuliano nel suo ministero una sorta di “polizia etica” (sul modello di quella iraniana) che controlli il “corretto” uso delle immagini per evitarne usi impropri?

Bene allora cominci a denunciare la sua collega di governo Santanché che per promuovere il turismo in Italia usa la Venere di Botticelli che mangia la pizza, oppure completi l’opera e le consigli di farle suonare anche il mandolino, cosicché i luoghi comuni nazionali ci siano tutti!

 

Pubblicato in https://www.huffingtonpost.it/blog/2023/04/21/news/pagamento_immagini-11888153/ 


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