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L'antica Faragola, dallo splendore dell'età romana al giallo negli USA

Un viaggiatore ‘immaginario’ che avesse attraversato in età romana l’Apulia, superato l’Appennino, avrebbe incontrato un’ampia pianura dominata dal grano e dal pascolo, solcata da esigui torrenti e d'estate infuocata dall’Atabulus, il vento caldo ricordato da Orazio e da altri autori romani. Percorrendo la fertile valle del Carapelle lungo la via Aurelia Aeclanensis o Herdonitana, che collegava Aeclanum e la via Appia alla via Traiana, intercettata a Herdonia, il viaggiatore sarebbe stato colpito dalle sontuose residenze di campagna delle aristocrazie del tempo. Una di queste lussuose ville è stata indagata negli anni passati a Faragola, nel territorio di Ascoli Satriano, l’antica Ausculum, città nota agli storici antichi soprattutto per la celebre battaglia del 279 a.C. tra i Romani e Pirro, venuto dall’Epiro in soccorso di Taranto.

Il sito di Faragola racconta una storia lunga oltre un millennio, iniziata in età preromana (VI-III a.C.) con un villaggio daunio e proseguita in età romana, con il suo apice in età tardoantica (IV-VI d.C.), quando era attiva una grande villa, appartenuta verosimilmente a una facoltosa famiglia dell’aristocrazia senatoria, dotata di terme con mosaici policromi, vasche, piscina, sale fredde, tiepide e calde, ambienti residenziali, magazzini e, in particolare, una spettacolare sala da pranzo estiva, con pavimenti e pannelli in opus sectile marmorei e vitrei, giochi d’acqua e un tipo di divano per banchetto (stibadium), allora assai di moda, che rappresenta a tutt’oggi il migliore esempio al mondo di questo particolare apprestamento conviviale. Il lusso, gli agi e la ricchezza non durarono per sempre (e non è stata l’unica volta nella storia dell’umanità!): nel corso del VI secolo, dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente e la tragica guerra tra Goti e Bizantini, il sito conobbe una nuova, e non meno importante, vita, ospitando una grande azienda agricola longobarda (curtis), con magazzini, impianti per la produzione di ceramiche e metalli, residenze realizzate sfruttando spazi, materiali e strutture della villa romana. Faragola illumina anche i meno noti secoli dell’Alto Medioevo. È un sito di straordinaria importanza, che quasi tre anni fa subì un drammatico incendio, di natura forse dolosa, che distrusse le coperture realizzate per la musealizzazione e danneggiò murature, marmi e mosaici. In autunno, finalmente, avrà avvio il cantiere di restauro con la nuova sistemazione museale: sarà un cantiere visitabile, dotato anche di un innovativo sistema di comunicazione multimediale. Al momento della villa è possibile ammirare solo i pannelli in opus sectile (V d.C.) della cenatio e una scultura di bambino cacciatore (II d.C.) nel locale museo civico, che espone anche una splendida collezione di ceramiche e oreficerie dalle tombe daunie di Ascoli e del territorio.

Il visitatore può cogliere l’importanza di questa fase storica al Parco dei Dauni, dove può ammirare anche un santuario con pavimentazioni a ciottoli, anni fa indagato da Marina Mazzei. L’abitato daunio era costituito da vari nuclei di case e sepolture, diffusi anche nel territorio e in particolare nella valle del Carapelle. È proprio da uno di questi siti che proviene il complesso archeologico più spettacolare: i celebri grifoni e i marmi policromi.

La storia di questi magnifici reperti è duplice. C’è la storia relativa al passato, più precisamente al IV secolo a.C. (per intenderci il periodo della grandezza della Macedonia e di Alessandro Magno) e quella, più recente, della loro misteriosa scoperta, dello scavo clandestino, dei percorsi oscuri che li portarono fin negli USA.

Il complesso di marmi è costituito da un sostegno per mensa (trapezophoros) con due grifi che azzannano un cervo, da un bacino rituale (podanipter) e da otto contenitori di marmo, oltre ad altri materiali recentemente recuperati ma non ancora esposti. Elemento comune è la vivace decorazione policroma. Il trapezophoros è unico nel suo genere: un vero capolavoro!. La vasca del bacino rituale presenta all’interno la scena del trasporto delle armi forgiate da Efesto per Achille su richiesta della madre Teti, aiutata dalle sorelle: un episodio descritto nel XVIII canto dell’Iliade e reso celebre da Eschilo nelle Nereidi.

In mancanza di informazioni precise sul rinvenimento (da tempo si programma uno scavo nel sito da cui verosimilmente provengono i marmi) è molto probabile l’appartenenza al corredo di una ricca tomba a camera, anche se alcuni studiosi non escludono il loro uso in una sorta di palazzo principesco.

A questi oggetti di età daunia si aggiunge una pregevole statua raffigurante Apollo di età romana (II d.C.), anch’essa trafugata da una villa romana del territorio di Ascoli Satriano.

Ripercorriamo questo vero e proprio ‘giallo’, per molti aspetti ancora avvolto nel mistero. Negli anni ‘70 furono effettuati scavi clandestini da tombaroli locali. I reperti furono subito smembrati. Alcuni di essi, frammentari, furono sequestrati dalla Guardia di Finanza e conservati in casse nei magazzini della Soprintendenza a Foggia, dove se ne persero le tracce. Altri pezzi, i più pregiati, il trapezophoros e il podanipter, furono venduti a un famoso mercante d’arte, Giacomo Medici, e per il tramite di un noto trafficante internazionale, R. Symes, passarono nella collezione di M. Tempelsman, magnate di miniere e mercante di diamanti. Successivamente i due straordinari oggetti del IV a.C., pagati rispettivamente 5,5 e 2,2 milioni di dollari, furono venduti, insieme alla statua di Apollo (2,5 milioni di dollari) al J. Paul Getty Museum di Malibu (USA).

Intanto uno dei tombaroli, Savino Berardi, gravemente ammalato, poco prima di morire, nel 2002, indicò ai marescialli dei Carabinieri Salvatore Morando e Roberto Lai il sito di provenienza e aggiunse: «Ma è possibile che siano spariti gli altri pezzi che mi avevano sequestrato? Non ho più saputo nulla». I carabinieri avviarono una complessa indagine negli archivi della Pretura. Tra faldoni destinati al macero trovarono i documenti risalenti al 1978 e, mediante uno ‘scavo’ nei magazzini della Soprintendenza a Foggia, riscoprirono una cassa di materiali sequestrati, a nome Berardi, con 19 pezzi di marmo. Era il 5 maggio 2006.

A quel punto la vicenda si intrecciò con un processo in corso per commercio illegale di reperti archeologici. Angelo Bottini (allora Soprintendente di Roma) riconobbe l’alta qualità dei reperti ritrovati dai Carabinieri e stabilì un collegamento con gli oggetti acquistati dal Getty Museum. Dopo lunghe trattative condotte dal MiBACT e dal Nucleo Tutela PC dei Carabinieri, a 22 anni dall’acquisto effettuato nel 1985, i reperti sono stati restituiti all’Italia il 1° agosto del 2007. Per poi tornare finalmente a casa.

 Pubblicato in La repubblica Bari, 13.8.2020, pp. 10-11.

 

 

Didascalie

Fig. 1. Sostegno per mensa (trapezophoros) con due grifi che azzannano un cervo (IV secolo a.C.).

Fig. 2. Bacino rituale (podanipter) (IV secolo a.C.).

Fig. 3. La sala in cui sono esposti i marmi policrono nel Museo di Ascoli Satriano

Fig. 4. Area archeologica di Faragola. La musealizzazione della sala da pranzo estiva della villa tardoantica (V secolo d.C.), prima dell’incendio del 2017.

Fig. 5. Parco dei Dauni: resti di un santuario (III secolo a.C.)

 

Le foto 1-3 sono di Saverio Simone, Ascoli Satriano.


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