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La Società Parchi Val di Cornia, un modello che deve continuare a essere tale

Seguo con grande preoccupazione la vicenda della Società Parchi Val di Cornia, che spero vivamente possa trovare una soluzione adeguata. Non si può smantellare quello che è stato considerato un vero modello di gestione. Ne ho parlato in alcuni miei libri, tra cui l'ultimo sull'Archeologia pubblica (Carocci 2020), perché anche in tal senso la Parchi Val di Cornia si è precocemente e pionieristicamente segnalata come un modello.
Richiamo questa parte del mio libro:
"A venti anni dalla nascita, la Parchi Val di Cornia S.p.A. (Luzzati, Sbrilli, 2009) rappresenta ancora oggi un modello di gestione integrata del patrimonio culturale e ambientale di un territorio. Si tratta di un caso molto studiato e ormai ben noto, per cui non è il caso qui di soffermarci, se non per qualche considerazione sull’attuale situazione di questo progetto, che conosce da alcuni anni segni di difficoltà. La Parchi Val di Cornia è una società a capitale interamente pubblico costituita dai cinque comuni della Val di Cornia (Campiglia Marittima, Piombino, San Vincenzo, Sassetta e Suvereto). A seguito della crisi dell’acciaio e delle gravi conseguenze in termini occupazionali, si è resa necessaria una profonda riconversione economica. In tale contesto, si è fatta la scelta di puntare sulla valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico e sul turismo, dando vita a un vero sistema di parchi e musei: il Parco archeologico di Baratti e Populonia (Piombino), il Parco archeominerario di San Silvestro con annesso museo archeologico e mineralogico (Campiglia Marittima), il Parco costiero della Sterpaia (Piombino), il Parco costiero di Rimigliano (San Vincenzo), il Parco naturale di Montioni (Suvereto, Piombino, Campiglia Marittima), il Parco forestale di Poggio Neri (Sassetta) e il Museo archeologico del territorio di Populonia (Piombino), oltre al museo del castello e delle ceramiche medievali di Piombino e il piccolo museo della Rocca di Campiglia (fig. 7.13.1-3). Per dar vita a un sistema coerente e robusto, con interventi di ricerca, restauri e consolidamenti, allestimenti innovativi con la realizzazione di supporti didattico-informativi e servizi e infrastrutture per la fruizione, sono state investite ingenti risorse, pari a oltre 26 milioni di euro, tra contributi europei, statali e locali, oltre a capitali privati. La Società cura sia la realizzazione e gestione di servizi per l’accoglienza e la fruizione (centri visita, centri per l’archeologia sperimentale e la didattica ambientale, percorsi naturalistici e archeologici, musei e visite guidate), sia la realizzazione e gestione di servizi accessori (bookshop, centri ristoro, ostelli, parcheggi ecc.).
In un primo momento si diede vita a una società mista pubblico-privato, che prese in concessione una serie di siti culturali, pagando un canone assai oneroso al MiBAC. Successivamente si è passati dal sistema della concessione a quello dell’accordo di valorizzazione, che, però, ha richiesto la trasformazione in una società interamente a capitale pubblico, con la fuoriuscita dei privati. Cosa che ha, a mio parere, privato la Società dell’apporto di imprenditori e realtà interessate allo sviluppo locale e ha eccessivamente sottoposto la Società alla pressione della politica (Manacorda, 2001; 2015).
Un altro motivo di difficoltà è derivato dalla decisione di privare la Società dei proventi dei parcheggi che garantivano significativi introiti in grado di raggiungere quasi il pareggio di bilancio (Luzzati, Sbrilli, 2009) . Ancora, oggi, la Società non solo dà lavoro a 29 persone a tempo indeterminato, oltre a una quarantina di stagionali, ma produce in maniera rilevante un indotto di grande impatto. Le modalità con cui si sviluppa la gestione tengono in gran conto i principi dell’Archeologia Pubblica, con una comunicazione efficace, numerose iniziative che favoriscono la partecipazione attiva e l’impegno per uno sviluppo sostenibile del territorio.
C’è da sperare che questa straordinaria esperienza di gestione non solo possa essere rilanciata, magari con la costituzione di un Consorzio o di una Fondazione, che preveda la partecipazione di privati, di Università e di altri enti pubblici, ma che possa anche essere esportata altrove in Italia."
 
 
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