Blog

Oltre un decennio fa un gruppo di rettori tentò di creare l’Università del Sud Est d’Italia, ma naufragò tra ministero e campanili

La proposta del rettore dell’Università di Bari Stefano Bronzini è non solo pienamente condivisibile ma anche non nuova. Fu già formulata, ampiamente discussa e anche concretamente tentata oltre un decennio fa per iniziativa di un gruppo assai coeso e coraggioso di rettori: Corrado Petrocelli  (Bari), Nicola Costantino del Politecnico, Nico La Forgia (Lecce), Giovanni Cannata (Molise), Mauro Fiorentino (Basilicata) e chi scrive (Foggia). Si costituirono gruppi di lavoro, si tennero ben due presentazioni pubbliche a Bari e a Matera, si predispose una bozza di Protocollo d’Intesa per la costituzione della “Federazione del Sistema Universitario pugliese-molisano-lucano”. Soprattutto si elaborò un corposo documento progettuale, presentato al Ministero, allora nelle mani di Mariastella Gelmini, autrice della riforma universitaria del 2010, che tra le altre cose introduceva la possibilità di federazioni e/o fusioni. Si escogitò anche un bel nome significativo: UniSEI Università del Sud Est d’Italia.  Sei università che insieme raggiungevano un numero di iscritti (complessivamente 112.905 nell’AA 2010-11), docenti (3.648) e personale tecnico-amministrativo (3668) che poteva competere da pari a pari con la Sapienza di Roma, con una offerta formativa completa, laboratori e biblioteche importanti, gruppi di ricerca di alto profilo: insomma, una potenza di fuoco e una forza contrattuale che nessuna delle singole università, neanche la più grande, quella di Bari, poteva avere da sola. Erano quelli gli anni della drammatica crisi economica esplosa nel 2008, dei progressivi e sempre maggiori tagli al finanziamento pubblico alle università, che colpiva in particolare gli atenei del Sud, già ampiamente sottofinanziati sulla base di un finanziamento storico che premiava le università settentrionali, tanto che conducemmo una battaglia durissima per introdurre finalmente il costo standard per studente, con l’obiettivo di ridurre progressivamente tale ingiusta sperequazione. Erano soprattutto gli anni dell’attacco alle università meridionali e del progetto (poi nei fatti andato avanti in questo ultimo decennio) di distinguere nel sistema italiano le Università di insegnamento da quelle di ricerca.

Partendo dalla considerazione, come si precisava nel protocollo, che “la frammentazione rappresenta un oggettivo ostacolo, tanto alla competizione internazionale quanto alla valorizzazione della presenza universitaria in ambito locale” e “che il processo che s’intende avviare condurrà anche a un’ottimizzazione dell’impiego delle risorse umane e finanziarie”, si pensava di integrare ricerca, didattica, formazione continua e formazione di eccellenza, internazionalizzazione, governance, gestione e servizi.

Perché il progetto non andò in porto, nonostante la sostanziale intesa tra i rettori di allora? Per il combinato disposto del mancato sostegno del Ministero, quasi spaventato dall’idea che il primo grande esperimento di federazione universitaria nascesse al Sud, e delle mille opposizioni locali, nella difesa delle tante piccole rendite di posizione.

Cosa è cambiato in questi anni tanto da indurre il rettore Bronzini a rilanciare la proposta? I cambiamenti sono numerosi e mi limito a citarne solo alcuni. Il processo di divaricazione si è andato accentuando tra Nord e Sud (e se dovesse realizzarsi il perfido progetto di Autonomia differenziata la divaricazione diventerebbe irreparabile): i numeri delle iscrizioni sono andate calando per vari fenomeni, tra cui anche la crisi demografica ma soprattutto per effetto della sempre più drammatica emigrazione giovanile verso le Università settentrionali al primo anno o anche dopo il triennio con la scelta di frequentare le magistrali al Nord, per i più facili sbocchi lavorativi. Si è poi aggiunta la crisi sanitaria con lo sviluppo tumultuoso della didattica a distanza e l’incremento progressivo delle università telematiche. Basti pensare che la Pegaso, diretta dall’ex rettore di Foggia Pierpaolo Limone e ora parte di un network internazionale e del fondo Cvc Capital Partners, un colosso con interessi miliardari in molti campi, ha raggiunto in pochi anni circa 100.000 iscritti e oltre 70 sedi in Italia. A livello internazionale anche le più grandi e blasonate Università hanno avviato corsi telematici con centinaia di migliaia di iscritti in tutto il mondo. Al Nord si vanno concentrando investimenti pubblici e privati (si pensi solo al sostegno dato dalle grandi Fondazioni), centri di eccellenza, grandi infrastrutture di ricerca. A fronte di tali situazioni cosa possono fare concretamente le singole università pugliesi? Innanzitutto, abbandonare definitivamente la pratica del piccolo cabotaggio, un certo provincialismo, l’autoreferenzialità, la chiusura in piccole patrie locali. Non è rubando qualche frutto dal campo del vicino ma seminando insieme che si può sperare in grandi raccolti. Gli innesti producono frutti migliori. Fuor di metafora, non è rubando lo studente (abbassando l’asticella della qualità) o strappando un progetto o ottenendo un contributo regionale a danno dell’università vicina, che si andrà lontano.

Un solo esempio vissuto in prima persona. Tre anni fa sono nati alcuni corsi di dottorato inter-ateneo tra Uniba e Poliba. Uno di questi, coordinato da chi scrive, ha per tema il patrimonio culturale. Al progetto subito si aggiunse il CNR. Più recentemente si sono aggregate le Università di Foggia, Basilicata, Napoli, Palermo e Venezia-IUAV. A breve si prevede un ulteriore ampliamento con la possibile adesione di varie altre università anche del Centro-Nord. Quando il progetto è di qualità ed è condiviso, l’aggregazione si realizza con ampia soddisfazione di tutti i partecipanti. Solo così si possono attrarre studenti da altre parti d’Italia e soprattutto dall’estero.

Ecco allora cosa davvero servirebbe: coraggio, apertura, generosità, progettualità, capacità di rimettersi continuamente in discussione e di guardare lontano, volontà di lavorare insieme: che, poi sono alcune delle caratteristiche proprie dell’Università. Un’ultima considerazione: l’opportunità straordinaria e irripetibile dei fondi del PNRR o ci consente di fare scelte davvero innovative e coraggiose oppure sarà sprecata. E ne pagheremo le conseguenze dal 2026 in poi.

 

In La Gazzetta del Mezzogiorno 10.3.2023 

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/focus/1387155/oltre-un-decennio-fa-un-gruppo-di-rettori-tento-di-creare-luniversita-del-sud-est-ditalia-ma-naufrago-tra-ministero-e-campanili.html?fbclid=IwAR3B2z1SwZhY_zpbvI7F5cqhmT0ej77Jdup1Z1OsxYWjPEp7riBSAGmeS2A
<< Indietro

Ultimi post

La zone d'interesse

Visto “La zona d’interesse”, film di Jonathan Glazer, duro e doloroso come un pugno nello stomaco ripetuto continuamente con colpi ritmici,...

Killers of the Flower Moon

Visto, giorni fa (e purtroppo non al cinema, dove lo avevo perso) Killers of the Flower Moon, film epico (anche per la durata) di Martin Scorsese, grande...

La società della neve

Visto su Netflix la Società della neve, film drammatico, duro, a tratti sconvolgente, che racconta la nota vicenda del gruppo di ragazzi di una squadra...

L'educazione delle farfalle

Letto L'educazione delle Farfalle di Donato Carrisi, regalatomi da una amica che conosce la mia passione per i Thriller. Non avevo mai letto nulla di Carrisi...