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A proposito della Convenzione di Faro
Segnalo un volume importante, appena pubblicato on line nella forma dell’open access (da noi purtroppo ancora poco diffuso). Si tratta di La valorizzazione dell’eredità culturale in Italia, Atti del convegno di studi in occasione del 5º anno della rivista (Macerata, 5-6 novembre 2015), a cura di Pierluigi Feliciati, pubblicato nel quinto supplemento della rivista Il Capitale Culturale (http://riviste.unimc.it/index.php/cap-cult).
È un bel volume, che vede la partecipazione di numerosi specialisti, impegnati in vari campi, organizzato sotto forma di quattro tavole rotonde su alcuni dei temi più attuali nel dibattito sul patrimonio culturale: “La Convenzione di Faro e la tradizione culturale italiana”, “La cultura della valorizzazione in Italia: altri punti di vista”, “Abilità professionali e percorsi formativi” e infine “I professionisti dei beni culturali: competenze, forme associative e mercato del lavoro”. Oltre una ventina di relazioni e soprattutto numerosi interventi in dibattiti sempre vivaci, liberi, laici, per nulla “accademici”. Si potranno trovare, dunque, tanti stimoli, tante idee, tante critiche, tante posizioni diverse, tutte rispettose delle idee altrui e accomunate dalla volontà di contribuire all’attribuzione di senso e di nuovo valore al patrimonio culturale.
Tra i vari temi affrontati mi sembra particolarmente importante e attuale insistere sui principi ispiratori della ‘Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società’ presentata il 27 ottobre 2005 nella città portoghese di Faro, sottoscritta dall’Italia nel 2013 ma non ancora ratificata dal nostro Parlamento. Si tratta di un testo veramente rivoluzionario, che rinnova profondamente il concetto stesso di patrimonio culturale. Un testo di cui si parla pochissimo nel nostro Paese, anche e soprattutto da parte dei tanti oppositori delle riforme in corso, animati da uno spirito oggettivamente conservatore e più interessati ad un rifiuto, quasi di tipo ideologico, di ogni cambiamento che ad alternative che non siano il rimpianto del passato, pure a suo tempo tanto contestato. Le proteste sono però sempre da rispettare e le critiche, se costruttive e propositive, sono utili.
Ma torniamo alla Convenzione di Faro. Essa introduce un concetto molto più ampio e innovativo di ‘eredità-patrimonio culturale’, considerato «un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione» (art. 2) e di ‘comunità di eredità-patrimonio’, cioè, «un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future» (art. 2).
Chiarissimi sono gli obiettivi della Convenzione, finalizzata (art. 1) a: «a. riconoscere che il diritto al patrimonio culturale è inerente al diritto a partecipare alla vita culturale, così come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; b. riconoscere una responsabilità individuale e collettiva nei confronti del patrimonio culturale; c. sottolineare che la conservazione del patrimonio culturale, e il suo uso sostenibile, hanno come obiettivo lo sviluppo umano e la qualità della vita; d. prendere le misure necessarie per applicare le disposizioni di questa Convenzione riguardo: – al ruolo del patrimonio culturale nella costruzione di una società pacifica e democratica, nei processi di sviluppo sostenibile e nella promozione della diversità culturale; – a una maggiore sinergia di competenze fra tutti gli attori pubblici, istituzionali e privati coinvolti».
Si sottolinea non solo che «chiunque da solo o collettivamente ha diritto di contribuire all'arricchimento del patrimonio culturale» (art. 5), ma si ribadisce anche la necessità della partecipazione democratica dei cittadini «al processo di identificazione, studio, interpretazione, protezione, conservazione e presentazione del patrimonio culturale» nonché «alla riflessione e al dibattito pubblico sulle opportunità e sulle sfide che il patrimonio culturale rappresenta» (art. 12). Protagonisti sono dunque i cittadini, per cui bisogna «promuovere azioni per migliorare l’accesso al patrimonio culturale, in particolare per i giovani e le persone svantaggiate, al fine di aumentare la consapevolezza sul suo valore, sulla necessità di conservarlo e preservarlo e sui benefici che ne possono derivare» (art. 12).
La Convenzione di Faro considera anche il diritto, individuale e collettivo, «a trarre beneficio dal patrimonio culturale e a contribuire al suo arricchimento» (art. 4) ed evidenzia la necessità che il patrimonio culturale sia finalizzato all’arricchimento dei «processi di sviluppo economico, politico, sociale e culturale e di pianificazione dell’uso del territorio, ...» (art. 8).
È un testo rivoluzionario, come si desume anche da questi brevi cenni. Un testo perfettamente coerente con lo spirito e la lettera dell’articolo 9 della nostra Costituzione, con la sua innovativa e ampia concezione di paesaggio e patrimonio storico e artistico della Nazione e lo stretto legame tra tutela e promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica’. È anche la dimostrazione che l’Europa può essere non solo burocrazia e finanza, ma principi e valori. Proprio il patrimonio culturale, inteso come l’insieme complesso delle diverse eredità culturali, può peraltro costituire l’ambito privilegiato per affermare «gli ideali, i principi e i valori, derivati dall’esperienza ottenuta grazie al progresso e facendo tesoro dei conflitti passati, che promuovono lo sviluppo di una società pacifica e stabile, fondata sul rispetto per i diritti dell’uomo, la democrazia e lo Stato di diritto» (art. 3).
Come ha ben precisato Massimo Montella, direttore de Il Capitale Culturale, siamo di fronte ad un
«profondo rovesciamento complessivo: dell’autorità, spostata dal vertice alla base; dell’oggetto, dall’eccezionale al tutto; del valore, dal valore in sé al valore d’uso e, dunque, dei fini: dalla museificazione alla valorizzazione». Si passa cioè – ha osservato Daniele Manacorda – «dal valore in sé dei beni al valore che debbono poterne conseguire le persone, … dal “diritto del patrimonio culturale” al “diritto al patrimonio culturale” ovvero al diritto, individuale o collettivo, di trarre beneficio dal patrimonio».
Riuscirà il Parlamento a ratificare in tempi brevi questa importante Convenzione? E soprattutto eviteremo il rischio che accada quanto già verificatosi con altre convenzioni europee, come quella Paesaggio, e cioè che i principi affermati vengano considerati alla stregua di semplici slogan buoni per accontentare minoranze sensibili ai temi della cultura e del paesaggio, senza alcuna reale ricaduta nella legislazione nazionale e nell’organizzazione della tutela?
Questo articolo è tratto da: http://www.huffingtonpost.it/giuliano-volpe/la-convenzione-di-faro-introduce-il-concetto-di-eredita-patrimonio-culturale_b_12616906.html
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