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Alcune riflessioni dopo oltre cento incontri
Con quella di giovedì scorso ad Aquileia, con oltre mille persone ad ascoltare, attente e interessate, segnando con vari applausi alcuni passaggi del colloquio che ho avuto con Piero Pruneti, sono stati ben 55 gli incontri avuti in tutta Italia per presentare il mio libro ‘Un Patrimonio Italiano’ (UTET, 2016), a partire dallo scorso mese di ottobre. Incontri che aggiunti a quelli avuti per il mio libro precedente (Patrimonio al futuro, Electa, 2015), portano a oltre cento i dibattiti avuti in questi due anni. Da Torino a Enna, da Treviso a Lecce, da Roma a Oristano, da Ravenna a Latronico. Grandi città e piccoli borghi, Università e associazioni, Festival e piccole iniziative di paese. Un’esperienza indubbiamente faticosa, ma anche molto interessante, entusiasmante e istruttiva per una riflessione sull’attuale situazione del patrimonio culturale e sulle riforme in atto. Un’esperienza che dà molta fiducia e speranza: c’è un’Italia molto migliore di quanto si creda.
Non è facile proporre una sintesi (servirebbe più tempo e spazio, e magari la farò in un’altra occasione, ‘a bocce ferme’, ho interi quaderni di appunti). Ma alcuni punti principali possono esser individuati in maniera schematica e sintetica, annotati al volo, tra un aereo e un’attesa in aeroporto:
1. C’è un grande interesse per il patrimonio culturale e c’è una grande voglia di confronto. Forse mai come in passato. Questo è un dato assolutamente importante, che andrebbe salutato con piacere da tutti, sia da chi è favorevole sia da chi è contrario alle riforme. In generale ho potuto verificare che il mondo delle associazioni, dei professionisti dei BC, dei volontari, delle persone interessate alla cultura, insomma dei ‘semplici cittadini’, è bendisposto e sostanzialmente condivide i cambiamenti in atto, mostra fiducia nelle riforme, pur esprimendo a volte perplessità o indicando alcuni esempi di cattiva gestione. Invece tra gli ‘addetti ai lavori’ prevalgono opposizioni e riserve: fortissime tra il personale del MiBACT (ovviamente anche con eccezioni significative) e tra i colleghi universitari ma anche tra i professionisti. È interessante, ed è motivo di riflessione, questa distanza tra il 99% delle persone l’1% degli specialisti. Non si tratta di rincorrere il populismo ma di evitare l’isolamento autoreferenziale. Chi tra gli ‘addetti ai lavori’ si dichiara favorevole (non sono pochissimi, ma ancora una minoranza) condivide lo spirito e la filosofia delle riforme ma apprezza molto meno la loro applicazione. C’è, dunque, un problema serio di distanza tra il progetto e (ancora) la realtà, da tenere in grande considerazione. Bisogna, però, tener conto anche del poco tempo ancora trascorso: due-tre anni sono nulla rispetto a oltre un secolo in cui si è costruito il modello di tutela che si sta cercando di cambiare.
2. In molti, tra il personale del MiBACT, soprintendenti, funzionari, direttori musei, mi hanno fatto notare che sono tra i pochi, se non l’unico, con cui hanno avuto un confronto. Un’occasione di dialogo, in modo da poter spiegare le ragioni, ma anche soprattutto ascoltare, è preziosa. Se si escludono gli incorreggibili oppositori, quelli contrari per partito preso, i detentori iper-ideologici di certezze granitiche, con i quali è purtroppo quasi inutile discutere, la gran parte dei colleghi ha interesse a far funzionare le strutture nelle quali lavorano ed è bendisposta a collaborare. Partendo anche da posizioni distanti, attraverso il confronto e l’ascolto, le distanze si riducono, si stabilisce un rapporto di maggiore fiducia. Io ho imparato moltissimo durante questi incontri, con tanti colleghi che chiedono solo di essere ascoltati e di ricevere indicazioni chiare e univoche. Percepiscono il centro del Ministero come lontano e assente. Mancano direttive e linee guida, serve un supporto operativo. E così ognuno cerca soluzioni autonome ai tanti problemi concreti, con un ‘fai da te’ che certamente non aiuta. Molti mi hanno detto di aver inviato decine di email, tentato molte telefonate, senza ricevere una sola risposta! Insomma sembra mancare un coordinamento generale e non si coglie nessuna forma di reale collaborazione-integrazione tra le varie Direzioni Generali, cosa che produce in periferia (o, perlomeno, contribuisce ad accrescere) i conflitti tra le varie componenti dello stesso Ministero, ad es. tra le soprintendenze e i poli e di entrambi con i musei autonomi. La promozione del lavoro di squadra rappresenta uno dei temi principali, finora non affrontati adeguatamente.
3. In alcuni casi ho avuto scontri impegnativi, ma sempre positivi. Con i veri oppositori delle riforme non sono mai riuscito a confrontarmi. Semplicemente perché rifiutano il confronto. Preferisco attaccare in TV, sui giornali, sul web (dove la violenza raggiunge livelli altissimi). Sono da anni sotto attacco da parte di vari, alcuni anche autorevoli, colleghi, messo alla berlina sui social media e soprattutto oggetto di vere manifestazioni di odio, di ritorsione anche di tipo scientifico e accademico, che purtroppo si riversano anche nei confronti di miei allievi e collaboratori. Questo solo per averci messo – come si dice – la faccia, per aver sostenuto apertamente le mie posizioni, peraltro senza aver mai rinunciato al confronto, all’ascolto, al dialogo anche e soprattutto con chi la pensa diversamente. È molto triste, direi doloroso, per me, archeologo, essere indicato come uno dei colpevoli (secondo alcuni ‘il colpevole’) della presunta distruzione della tutela del patrimonio archeologico (qualcuno mi indica casi in cui i beni archeologici siano oggi più danneggiati che in passato?), per aver voluto fortemente adottare, con la soprintendenza unica a base territoriale, un principio fortemente ‘archeologico’, quello della visione contestuale, organica, olistica, di un territorio.
4. Alcuni colleghi mi hanno fatto notare che colgono un abisso tra quello che scrivo e dico, cioè tra le motivazioni e le spiegazioni delle riforme, e la realtà, le applicazioni, gli atteggiamenti prevalenti del Ministero, tanto al centro quanto in periferia, ancora legato ad un vecchio modo di essere, burocratico, autoreferenziale, ‘poliziesco’.
5. I trentadue musei autonomi hanno moltissimi problemi (soprattutto quelli della seconda tornata: alcuni di questi sono ancora privi di mezzi, di personale o anche di una vera sede). Alcuni direttori utilizzano poco e male i CdA e Comitati Scientifici. Ma in generale al momento, tra alti e bassi, tra chi sta facendo bene o benissimo e chi fa meno bene, i musei autonomi sono la cosa che sta funzionando meglio della riforma. Anche in questo caso, però, si lamentano uno scarso indirizzo centrale e pochi sostegni concreti.
6. Le soprintendenze uniche, tra mille difficoltà e problemi, cominciano lentamente a funzionare. In alcuni casi abbastanza bene, in altri in maniera decisamente problematica (in particolare le sedi di nuova istituzione, ancora quasi prive di tutto). Hanno vari problemi di gestione, per archivi, laboratori, magazzini. Il personale delle precedenti soprintendenze comincia a poco a poco a lavorare maggiormente insieme (in alcun i casi, la mancanza ancora di sedi fisiche uniche costituisce una seria difficoltà per far lavorare insieme i vari funzionari). Tutte attendono con ansia l’arrivo dei nuovi funzionari. I settori in cui si articolano le soprintendenze uniche funzionano ancora poco quasi dappertutto. In generale stenta ad affermarsi una capacità-volontà di lavoro d’équipe e solo pochi soprintendenti sanno svolgere la nuova funzione di coordinamento. Servirebbero quindi una formazione specifica e soprattutto un forte indirizzo dal centro. I conflitti principali sono con i Poli, soprattutto da parte degli archeologi, per le questioni relative ai materiali di scavo, ai magazzini, alle autorizzazioni. Questa situazione sta producendo anche conseguenze negative per i permessi di studio, per l’accesso ai dati e ai materiali per gli studiosi, frastornati tra Poli e Soprintendenze.
7. L’aspetto più debole della riforma è al momento costituito dai Poli Museali Regionali per più ragioni, a partire dalla mancanza di personale per finire ai conflitti con le soprintendenze. In generale, finora, non si sta attuando la reale funzione dei Poli, cioè la creazione di sistemi museali regionali con i musei civici, diocesani, ecc., mentre, a mio parere, dovrebbero preoccuparsi di cercare, a seconda dei casi, le migliori forme di gestione con il coinvolgimento delle forze e delle energie presenti in ogni territorio (professionisti, associazioni, fondazioni, consorzi, ecc.). I Poli sono invece presi dalla gestione diretta dei musei e delle aree archeologiche loro assegnati, con mille difficoltà. Penso che in futuro i grandi musei autonomi, appena si saranno consolidati, possano svolgere anche una funzione di aggregazioni di alcune realtà museali statali e di altra natura presenti nei vari territori.
8. Le attese di maggiori aperture alla società e di un maggiore coinvolgimento degli Enti Locali, delle fondazioni, delle associazioni, ecc., pur essendoci vari segnali positivi in tal senso, non sono ancora state soddisfatte.
9. Il progetto dei cd. ‘policlinici del patrimonio culturale’ trova in generale un grande e diffuso consenso. Una sperimentazione sarebbe opportuna, per creare un modello da applicare nel corso del tempo dappertutto.
In sintesi, è evidente che si debba curare maggiormente l’applicazione delle riforme, correggendo errori (inevitabili quando si realizza un progetto cosi ampio e ambizioso) e trovando soluzione per i vari problemi. Un apporto significativo verrà – si spera – dall’immissione prossima di forze e energie nuove e fresche. Una cosa è certa: una riforma ha bisogno di tempi adeguati e soprattutto di persone nuove, con una visione coerente, per garantirne l’applicazione, altrimenti il rischio che anche una buona riforma fallisca è fortissimo. Serve sempre di più, anche per questo, un’alleanza forte con i cittadini, con il mondo dei professionisti, con l’associazionismo, con le università, con gli enti territoriali, perché sostengano il processo riformatore. Serve un lavoro di base, un lavoro militante, a contatto con le persone. Per questo sono molto felice del lavoro finora svolto in giro per l’Italia, parlando con migliaia di persone. Un lavoro che mi ha arricchito molto e che conto di continuare.
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