Blog
Il mio intervento alla seduta CS_BCP-CUN del 12 luglio
Poiché sul web sono apparsi sia un resoconto della seduta, predisposto da un componente del CUN, sia alcuni documenti, e ho anche raccolto alcune osservazioni da parte di colleghi che rischiano di fraintendere il significato e gli obiettivi della riunione congiunta CS_BCP e CUN e del lavoro comune che con tale seduta si intende fare, ritengo utile pubblicare il mio intervento introduttivo, sperando che possa essere utile sia per chiarire alcuni aspetti sia per avviare un confronto aperto con tutte le componenti. Un rapporto più stretto, sistematico, collaborativo tra MiBACT e MIUR è fondamentale, direi decisivo, per fare un salto di qualità nelle politiche di tutela e valorizzazione del patrimonio cultuale ma anche di formazione e ricerca.
Sono molto grato ai ministri Fedeli e Franceschini per aver subito accolto favorevolmente la proposta di tenere una riunione congiunta del CS e del CUN, la prima nella storia dei due ministeri. Ringrazio l’amica e collega Carla Barbati per aver voluto in maniera convinta organizzare insieme questo incontro e, più in generale, condividere la necessità di attivare forme di collaborazione tra i nostri consigli. Ovviamente ringrazio anche il Segretario Generale Antonia Pasqua Recchia e il Direttore di Dipartimento Marco Mancini per il loro supporto, tutti i consiglieri, i direttori generali e gli invitati per la loro partecipazione.
Poco più di 40 anni fa, prima che Giovanni Spadolini non ottenesse l’importante risultato di istituire uno specifico ministero per il patrimonio culturale, eravamo tutti parte della stessa realtà. La separazione fu una scelta lungimirante, non solo opportuna ma anche necessaria, per poter attribuire un peso strategico specifico al patrimonio culturale nelle politiche del Paese. Ma quella connessione originaria tra mondo della ricerca e della formazione e mondo della tutela e valorizzazione del patrimonio resta un riferimento indispensabile, da recuperare oggi in forme nuove. Insomma, con una piccola battuta potremmo dire che se è difficile o impossibile pensare ad un nuovo matrimonio, dopo la separazione consensuale, sarebbe opportuna almeno una ‘unione civile’! Molti dei presenti peraltro hanno operato e operano a cavallo tra i due, come ex soprintendenti e ora docenti, e viceversa, perché componenti di commissioni e gruppi di lavoro comuni, ecc. (io stesso sono docente universitario e ex rettore e sono ora impegnato in questo importante organismo del MiBACT).
Dobbiamo essere consapevoli, infatti, che in questi 40 anni, tranne casi singoli di ottima e proficua collaborazione, spesso legati solo ai buoni rapporti personali tra un docente universitario e un soprintendente o un funzionario, i due mondi si sono troppo spesso ignorati, quando non si sono anche contrapposti. Eppure l’attuale visione organica e complessa del patrimonio culturale rappresenta oggi più che mai il campo per una reale inter- e multidisciplinarità con un ventaglio di discipline estremamente ampio, accanto alle tradizionali archeologia storia dell’arte, architettura, archivistica, biblioteconomia, dalle scienze biologiche, geologiche, chimiche e fisiche a quelle giuridiche, economiche, informatiche, ingegneristiche, eccetera. Nessuno può operare da solo. E quanto più gli specialismi sono raffinati tanto più sono necessarie forme di integrazione. Dovremmo insieme saper riflettere sul ruolo del patrimonio culturale e delle nostre discipline nella società contemporanea e partecipare da protagonisti ai profondi cambiamenti in corso, aprirsi, abbandonare i corporativismi, uscire dai nostri specialismi settoriali e dialogare con gli altri saperi, solo apparentemente lontani, comunicare in maniera chiara e appassionata, rimetterci in gioco, sviluppare la partecipazione attiva, stabilire un contatto diretto con la cittadinanza.
Bisogna dare atto al ministro Franceschini con le sue radicali riforme e ai ministri Giannini prima e Fedeli ora di aver voluto avviare una fase nuova nei rapporti tra i due ministeri. Il MiBACT si è dotato di una specifica DG Educazione e Ricerca, con il compito di svolgere una funzione di interfaccia tra i due mondi, favorendone l’integrazione e la collaborazione sistematica: una delle novità più significative della riforma Franceschini, che finora ha potuto solo in parte manifestare le sue enormi potenzialità. In tutte le nuove Soprintendenze territoriali uniche, che rappresentano uno dei capisaldi più innovativi della riforma, operano specifici settori ER che potranno svolgere questa stessa funzione a livello territoriale. È necessario però che sia la DG_ER che i settori ER delle soprintendenze siano maggiormente sostenuti e rinforzati.
L’affermazione di una visione organica, olistica, del patrimonio culturale e al tempo stesso l’individuazione, all’interno di una filiera unitaria e integrata, di specificità di funzioni e competenze, con la distinzione tra strutture che si occupano di tutela e ricerca - le soprintendenze - e luoghi cui è demandata la valorizzazione – musei e parchi autonomi e poli museali regionali -, la centralità del paesaggio e delle comunità di patrimonio (uso volutamente una definizione della convenzione di Faro in via di ratifica dal Parlamento), insieme all’allargamento a ambiti tematici e cronologici, a specializzazioni e a discipline prima escluse da una visione tradizionale, settoriale e anche elitaria del patrimonio culturale rappresentano alcune delle basi culturali su cui poggia l’impianto delle riforme, che certamente incontrano molte difficoltà e prevedibili resistenze e non sono nemmeno esenti da qualche errore da correggere, ma che rappresentano il tentativo più coraggioso, direi rivoluzionario, innovativo e organico tentato da quando il MiBACT è nato.
Negli anni passati sono stati sottoscritti due importanti protocolli, uno in riferimento all’educazione al patrimonio rivolto principalmente al mondo della scuola, l’altro, ancor più importante (19.3.2015) per i temi che oggi affrontiamo, relativo alla collaborazione tra università e strutture del MiBACT. Protocolli però - dobbiamo essere consapevoli – che hanno prodotto solo parzialmente i risultati sperati.
I 9 punti fissati in quel protocollo, dalla revisione e migliore qualificazione dei percorsi formativi nel campo del BC, di I e II livello, scuole di specializzazione, master e dottorati, e anche degli Istituti centrali dei due ministeri, all’elaborazione di progetti di ricerca congiunti, dagli scambi, stages, interships alla cooperazione tra le biblioteche e nel campo della promozione della lettura, dall’internazionalizzazione all’innovazione tecnologica e ai risvolti di tali attività in campo occupazionale, sono ancora in gran parte da realizzare e dovranno vederci impegnati nei prossimi anni.
Come il ministro Franceschini sa bene, anche perché ha in più occasioni manifestato un sostegno a questa proposta, sono convinto che sia necessario sperimentare nuove formule e dar vita a luoghi di reale cooperazione e di forte integrazione tra formazione, ricerca, tutela, valorizzazione: sono quelli che abbiamo chiamato con una formula volutamente ‘provocatoria’ “policlinici del patrimonio culturale” (ma andranno adottate altre denominazioni, se li si vorrà realizzare: es. Laboratori o Centri interdisciplinari del Patrimonio Culturale; ma la denominazione è l’ultimo dei problemi). Insomma strutture interministeriali per certi versi simili, in campo sanitario, alle Aziende Ospedaliere Universitarie. Una collaborazione tra docenti, ricercatori, tecnici, funzionari, la condivisione di laboratori, biblioteche, strumentazioni, l’integrazione di competenze e di professionalità potrebbero, infatti, garantire risultati positivi nella ricerca, nella tutela, nella comunicazione, nella valorizzazione, a tutto vantaggio in particolare degli studenti, cioè i futuri funzionari o i liberi professionisti, che svolgerebbero la propria attività formativa collaborando concretamente alle attività delle istituzioni. Sarebbe un modo anche per accentuare la funzione nella ricerca delle soprintendenze. Mi auguro che questa possa essere la terza fase delle riforme dei beni culturali. Si potrebbe elaborare un modello e partire con una sperimentazione in alcune realtà, magari coinvolgendo anche le Regioni. Perno di queste strutture interministeriali potrebbero essere proprio le Scuole di Specializzazione, una importante peculiarità italiana, il cui assetto andrebbe però a mio parere rivisto, riducendone il numero, qualificandole maggiormente, stabilendo standard nazionali e sistemi di accreditamento e valutazione, riportando la loro durata a tre anni anche per rilasciare un titolo spendibile a livello internazionale, e soprattutto prevedendo per gli specializzandi una significativa quota di lavoro (auspicabilmente retribuito) nelle soprintendenze, nei musei e parchi, nelle biblioteche e archivi. In tal modo a regime ci sarebbero non meno di 1000 giovani specializzandi con una grande professionalità e anche con l’entusiasmo, la passione, la sensibilità e la voglia di innovazione, attivi annualmente nelle attività di tutela e valorizzazione del patrimonio e si fornirebbe una formazione certamente più aderente alle reali esigenze del settore.
Dobbiamo essere consapevoli che nell’ultimo ventennio la formazione nel campo dei beni culturali ha certamente prodotto risultati positivi con la nascita di corsi di studio specifici, l’adozione di un percorso finalmente quinquennale, l’inserimento di discipline di ambito scientifico e tecnologico e di attività professionalizzanti, ma ha avuto anche risvolti negativi, come l’istituzione di corsi dai titoli e dai percorsi più fantasiosi, l’eccesso di frammentazione, la moltiplicazione eccessiva e non programmata delle sedi e una certa autoreferenzialità del mondo accademico, spesso disinteressato ai profili in uscita. Insomma è proprio la separazione tra mondo della formazione e mondo del lavoro e delle professioni dei BC a rappresentare il limite principale. Spesso i nostri laureati, specializzati, dottori di ricerca si sono dovuti inventare nuove professioni, e ancora oggi alcuni ambiti appaiano sacrificati: si pensi, solo per un esempio, alle professioni museologiche in una fase di vera e propria rivoluzione nel mondo dei musei italiani.
Restando in questo ambito, mi limito ad un esempio di un rapporto più efficace tra formazione e mondo del lavoro: la figura tradizionale, silente, solitario, isolata e muta, oggi inattuale, quella del ‘custode’. È evidente che servano oggi figure professionali completamente diverse: il personale nelle sale di un museo o in un’area archeologica svolge una funzione preziosa, importante, perché rappresenta il primo e spesso unico contatto tra il visitatore e il monumento o il sito visitato. Dovrebbe essere quindi una di quelle figure cui dedicare la maggiore attenzione, in quanto interfaccia tra i visitatori e la struttura museale. Dovrebbe essere, cioè, in grado di dare informazioni adeguate, di parlare un'altra lingua, di possedere soprattutto ottime qualità relazionali. Non mi sembra peraltro giusto che si assumano come personale di custodia dottori di ricerca! Mi chiedo perché se visitiamo un museo privato troviamo spesso giovani molto preparati, in eleganti divise, pronti a fornire informazioni? Vorrei essere chiaro: non sto parlando di volontariato (che è una risorsa preziosa, ma che non deve mai essere sostitutiva del lavoro, bensì integrativa), né si può e si deve risolvere tutto solo con stage e tirocini. Potrebbe trattarsi di una forma di lavoro svolto nel corso della formazione universitaria, un’esperienza preziosa anche per il futuro, prescindendo dalla professione che ognuno svolgerà in maniera più stabile: si imparerebbe ad avere rapporti col pubblico, a dare delle informazioni, a parlare ai bambini o agli anziani, a capire meglio il punto di vista, le esigenze e le sensibilità dei fruitori di un luogo della cultura. Sarebbe un'esperienza da svolgere durante il periodo degli studi anche per mantenersi agli studi, quindi garantendo un ricambio continuo.
Sarebbero tanti i temi da affrontare e non posso toccarli tutti. Ne faccio qualche cenno: 1) un impegno comune nelle strategie di Educazione al Patrimonio e dall’auspicabile inserimento nei percorsi scolastici di un insegnamento specifico sul patrimonio culturale (che è cosa diversa dall’insegnamento della storia dell’arte); 2) una maggiore collaborazione nell’elaborazione di progetti comuni di ricerca nazionali e europei; 3) il ruolo delle biblioteche e dei musei universitari; 4) la situazione dei corsi di laurea in restauro; 5) il tema dell’accesso ai dati, della libertà della ricerca e della ‘promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica” in particolare nel campo dell’archeologia con il superamento del regime delle cd. ‘concessioni di scavo’ (un sistema che anche nella denominazione ‘borbonica’ conserva il sapore di uno Stato autoritario, in contrasto con gli artt. 9 e 33 della Costituzione) e il passaggio a accordi convenzionali pluriennali.
Serviranno approfondimenti e altri momenti di confronto.
Per tale motivo propongo che si possa dare vita ad un gruppo di lavoro tra i nostri due consigli e che soprattutto si dia un ruolo più incisivo e sistematico alla commissione paritetica MIUR-MIBACT prevista dal Protocollo del 19 marzo 2015, che si è occupata di un importante bando ma che potrebbe in realtà rappresentare il vero raccordo tar i nostri due ministeri.
Ultimi post
L'infinita cialtronaggine con il dottorato in Italia
La vicenda del Dottorato di ricerca, cioè del livello più alto della formazione universitaria, inteso come avvio alla ricerca in vari ambiti, in...
Le assaggiatrici
Ho visto “le assaggiatrici” di Silvio Soldini, che ha aperto il Bifest di Bari che proprio oggi si chiude. Un film interessante, piano, senza picchi...
Fratelli di culla di Alessandro Piva
Ho visto stasera al Galleria, dove è stato presentato dopo il Bifest, Fratelli di Culla, docufilm di Alessandro Piva, che racconta la storia del...
Come mi piacerebbe che sia il nuovo rettore Uniba
Finalmente è stato pubblicato il bando per le candidature per il rettorato di Uniba. Si può, quindi, uscire dalla situazione dei...