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Il referendum e il patrimonio culturale: perché Sì

Il referendum del 4 dicembre ha anche implicazioni nel campo del patrimonio culturale. Vorrei evitare del tutto la polemica politica. Mi interessa solo riflettere sui possibili cambiamenti in questo ambito. Com'è noto, uno degli articoli di cui si propone la modifica è il 117, l'articolo, cioè, che tratta delle competenze di Stato e Regioni, oggetto - anche questo è ampiamente noto - nel 2001 della riforma del titolo V della Costituzione italiana (l. Cost. 3/2001).

In sostanza si elimina la cosiddetta "legislazione concorrente" prevista in vati ambiti: una concorrenza che nel corso degli anni ha dato vita - a detta praticamente di tutti, anche di tanti ora contrari alle modifiche - a contenzioni infiniti, a confusioni oltre che ad una frammentazione di trattamento e a non pochi sprechi. 

Per quel che riguarda il patrimonio culturale nel testo vigente si prevede una netta divisione tra tutela (competenza dello Stato) e valorizzazione (competenza delle Regioni). La proposta di modifica prevede invece che allo Stato sia attribuito in via esclusiva la «tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo» [in grassetto le parti modificate]. Si aggiungono anche, opportunamente, i beni paesaggistici a quelli culturali: si includono nel dettato costituzionale le due componenti del "patrimonio culturale", così come definito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004.

Alle Regioni non sono più riservate genericamente tutte le competenze legislative non espressamente attribuite allo Stato, come recita l'attuale testo costituzionale («Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato»), ma sono ben delimitati gli ambiti. Tra questi anche la competenza «per quanto di interesse regionale, delle attività culturali, della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo, ...».

Insomma la tutela e la valorizzazione, le classiche due facce della stessa medaglia, sono nuovamente unificate. Negli anni passati la loro separazione ha dato origine a non pochi problemi. Com'è possibile, infatti, avere quindici modalità diverse di valorizzazione (e in realtà la questione andrebbe affrontata anche per le regioni a statuto speciale)? Pochissimi sono stati i casi di positivo coordinamento, con specifici accordi di valorizzazione ai sensi del Codice BCP, più spesso però per singoli monumenti e quasi mai per il patrimonio di un'intera Regione. 

È questo ad esempio il caso della Puglia, regione nella quale si è fatta una buona azione di valorizzazione, d'intesa con il MiBACT. Ma si tratta quasi di un'eccezione - così come sono eccezioni la Carta dei Beni Culturali della Puglia, l'unica ad essere interoperabile con l'Istituto Centrale del Catalogo del MiBACT, e il Piano Paesaggistico Territoriale (oltre alla Puglia solo la Toscana si è dotata di un Piano). Altrove le cose sono andate molto peggio. 

L'articolo 9 della Costituzione, spesso chiamato in causa e sbandierato da chi afferma che sarebbe stato tradito dalle recenti riforme, affidando alla Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico e la promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca si riferisce all'intera Nazione. Con una più chiara definizione di compiti e doveri tra Stato e Regioni si potrà quindi meglio rispettare lo spirito e la lettera di questo straordinario articolo. 

Le Regioni non sono però esautorate, perché resta loro il compito della promozione del patrimonio culturale regionale. È un compito importante, ma diverso dalla valorizzazione. Gli indirizzi in materia di tutela e valorizzazione è bene che siano univoci a livello nazionale. 

Questa modifica è, peraltro, coerente con la nuova organizzazione del MIBACT, articolata nelle Soprintendenze uniche a base territoriale, cui spetta il compito della tutela, nei grandi musei autonomi e nei Poli museali regionali, che si occupano di valorizzazione e che dovranno anche occuparsi di creare e coordinare i vari sistemi museali regionali, nei quali accanto ai musei e ai parchi statali dovranno operare i tanti musei civici, diocesani, privati. È auspicabile, a tal proposito, che si stipulino presto specifici accordi di valorizzazione tra MiBACT e Regioni.

Non si tratta, quindi, di una forma di neocentralismo: lo Stato dovrà sempre più svolgere un compito irrinunciabile di indirizzo, coordinamento, monitoraggio e valutazione, dando sempre più prova di coinvolgimento e inclusione di tutte le articolazioni della Repubblica (Regioni, Città metropolitane, Comuni) e delle tante energie presenti nel Paese (professionisti, imprese culturali, associazioni, fondazioni, onlus, ecc.). Lo dimostra, ad esempio, il recente bando con il quale si prevede di affidare in gestione a onlus una serie di monumenti e luoghi della cultura, attualmente poco valorizzati, quando non del tutto chiusi o in stato di abbandono. 

Inoltre è bene ricordare che l'art. 118 non viene modificato. Anzi mi auguro che con questa nuova e più chiara definizione di ruoli e di responsabilità possa essere attuato, anche nel campo del patrimonio culturale, molto più di quanto si sia fatto finora (cioè quasi nulla!), quando afferma che «Stato, Regioni, Città metropolitane e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà».

Tratto da; http://www.huffingtonpost.it/giuliano-volpe/il-referendum-e-il-patrimonio-culturale-perche-si_b_12827928.html?utm_hp_ref=italy
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