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L'enigna della stanza 662

Finito di leggere il romanzo del (non più giovanissimo) Joel Dicker. Avevo amato (e divorato in pochi giorni), come tanti altri, il suo fortunatissimo "La verità sul caso Harry Quebert" (2013), ho letto con piacere "La scomparsa di Stephanie Mailer" (2018), non ho letto gli altri suoi libri, ho letto con più fatica questo "L'enigna della stanza 662", con le sue 640 pagine. Sia ben chiaro, Dicker si conferma autore abile, il libro si legge bene, ma questa volta mi ha preso molto meno. Anche il meccanismo dei continui andirivieni nel tempo, nel corso dei 15 anni delle intricate vicende narrate e del presente dello scrittore-protagonista del romanzo che racconta in prima persona l'indagine condotta per risolvere il caso scrivendo il romanzo, insieme ai ricordi del suo editore, mi è apparso più artificioso. Il suo stile è brillante e veloce, ma la storia è molto meno avvincente e 'credibile' (ovviamente per come può essere credibile un romanzo) e a tratti un po' troppo melensamente romantica e francamente alquanto banale. A Dicker piace scrivere, quando è preso non si stacca dalla tastiera del computer per giorni e giorni come lui stesso dichiara, ma qualcuno dei suoi editor dovrebbe spiegargli che non è sempre necessario scrivere 6-700 pagine, non sempre tutte proprio necessarie.
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