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Massimo Montella, Le soprintendenze uniche

La decisione annunciata è di accorpare le soprintendenze, prima divise per ambiti disciplinari.

Molti sono insorti (i soliti). Ma nessuno di loro ha spiegato perché fosse da preferire la situazione precedente. Ė ovvio che questo provvedimento non può risolvere il problema della salvaguardia e della valorizzazione di un patrimonio culturale micrometricamente diffuso sull’intero territorio del Paese, la cui sorte per gran parte non dipende dai poteri ministeriali. Ed è ovvio che il problema della qualità dell’azione delle soprintendenze supera la questione della loro organizzazione e investe anzitutto la omogenea formazione degli addetti, anche per evitare, come è avvenuto finora, che l’esercizio della tutela venga diversamente interpretato di luogo in luogo a seconda della discrezionale opinione di ciascun soprintendente.

Il punto, però, è, molto semplicemente, se questo provvedimento migliori o peggiori la situazione.

Sotto il profilo culturale e scientifico, soprintendenze uniche sono state ripetutamente invocate già dagli ultimi decenni del secolo scorso dai tanti che hanno denunciato la insensatezza di una ottocentesca scomposizione metodologico-disciplinare del carattere unitario del patrimonio, che dunque necessita di una azione unitaria di tutela, e che hanno ad esempio sottolineato l’assurdità di un modo di operare per cui il muro di un edificio è affare della soprintendenza architettonica, mentre l’affresco che lo copre spetta a quella storico-artistica e alla archeologica le indagini al di sotto del pavimento.

Per quanto attiene poi al rapporto fra istituzioni e cittadini, l’accorpamento ha l’indubbio vantaggio della semplificazione, dello snellimento burocratico e, soprattutto, di favorire la possibilità che le soprintendenze prendano a concepirsi non come rigide autorità di polizia, come poteri assoluti e insindacabili, ma come pubblici servizi impegnati a costruire con le comunità, nell’insieme delle loro componenti pubbliche e private, un’azione di tutela che apporti benefici sociali ed economici e così accresca la diffusa consapevolezza del valore del patrimonio.

Per contro, ma senza spiegare perché, gli oppositori e per primi i sindacati lamentano lo svilimento degli specialismi disciplinari, che dovrebbero essere però salvaguardati e al tempo stesso emendati dal rischio degli steccati, per il fatto che le soprintendenze uniche saranno articolate in aree funzionali, fra cui archeologia, storia dell’arte, architettura, ecc., sicché ciascuna concorrerebbe  con tutte le altre ad una opera di tutela unitaria, interdisciplinare, diacronica.

Semmai va detto che a questa riforma dovrebbero accompagnarsi, nell’immediato, il potenziamento degli organici e delle risorse finanziarie e tecniche e, in prospettiva, soprattutto una revisione dei percorsi formativi universitari, perché ne emergano figure che abbiano una visione unitaria del patrimonio e delle complementari e coincidenti funzioni di tutela e di valorizzazione, nonché una chiara consapevolezza della natura di pubblico servizio degli uffici preposti alla tutela.

Se, poi, l’obiezione, come ha scritto qualcuno, consiste unicamente nel fatto che le soprintendenze uniche “dovevano essere un obiettivo fin dall'inizio”, rallegriamoci che siano venute almeno con un aggiustamento in corso d’opera.

Ma la questione culturale di fondo è, anche, che non è più il tempo di credere che i tecnici possano sostituirsi utilmente alla politica nel governo della cosa pubblica, per quanto grande sia l’idea che hanno di se stessi.


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