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ARCHEOLOGIA E MIGRANTI TUTTA UN’ALTRA “STORIA”
Cosa può fare oggi il Patrimonio per favorire il dialogo fra culture differenti e ridefinirsi nella società contemporanea?
Il dibattito è aperto e un caso-scuola in Puglia fa luce su nuove possibili prospettive
L a “Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società” (Faro 2005) introduce finalmente un nuovo protagonista: la comunità, ovvero «un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazionifuture». Genti e paesi in continuo movimento. Le comunità è evidente non sono statiche, ma, al contrario, sono dinamiche, caleidoscopiche, composite.
Le persone si spostano per tanti motivi: necessità, scelte, opportunità, modelli culturali… e l’omogeneità culturale diminuisce. I residenti hanno, ormai, caratteristiche culturali molto diverse fra loro e stanno conoscendo processi profondi e sempre più rapidi di trasformazione, da un lato a causa di fenomeni di spopolamento delle aree interne, di emigrazione, in particolare della componente giovanile e altamente scolarizzata, soprattutto dal Sud e, dall’altro, di immigrazione di consistenti gruppi provenienti da paesi e culture lontane e diversissime.
Domande in cerca di risposte (condivise). Possono archeologia e patrimonio culturale connettere comunità diverse diventando facilitatori sociali? Che senso hanno per persone che si spostano verso l’Europa e altri paesi ricchi dell’Occidente alla ricerca di migliori di condizioni di vita? Quale può essere la percezione di un territorio del tutto sconosciuto da parte di un giovane africano, di un profugo siriano, afghano o ucraino? In che modo chi arriva affronterà le profonde differenze dal proprio luogo di origine: rimarrà arroccato nella propria cultura? Si aprirà a quella di accoglienza abbandonando la propria? Farà una sintesi? Quale ruolo possono rivestire oggi i musei e in genere i luoghi della cultura in riferimento a questi nuovi pubblici? Sono solo alcune delle domande che oggi, in un nuovo contestodi guerra, di crisi economica, di dramma ambientale e demografico, è necessario porsi per dare nuovo senso alla conoscenza, alla tutela, alla valorizzazione e alla gestione dei beni archeologici e allo stesso ruolo degli archeologi nel terzo millennio.
Comunità e relazioni in divenire. Parlare di “tolleranza”, “inclusione”, “integrazione”, anche con le migliori intenzioni, significa adottare comportamenti di tipo paternalistico tesi a tollerare (dal latino tolerare, nel senso proprio di “sopportare”), da una posizione di presunta e autoattribuita superiorità, qualcosa che è diverso da noi. Il patrimonio archeologico, e più in generale quello culturale, materiale e immateriale, può e deve diventare un terreno di incontro tra diversi, di conoscenza reciproca, di dialogo fra culture, di pace, assumendo un valore di risorsa strategica nell’affrontare il mondo contemporaneo.
Il caso di Siponto e le sfide del futuro. Per questo, nell’ambito delle nostre ricerche archeologiche in corso in Puglia, a Siponto (AV n. 228), ritenendo necessario stabilire una relazione con la comunità locale, abbiamo voluto includere anche le nuove componenti di quella comunità dinamica, costituita da profughi e immigrati. Lo stiamo facendo, come archeologi insieme a molte altre figure professionali, con rispetto, delicatezza, senza certezze in tasca. Convinti che si tratti di un’attività difficilissima, ma necessaria oltreché coinvolgente ed entusiasmante. Con l’intento non solo di favorire l’incontro, tra persone provenienti da civiltà diverse, con il patrimonio archeologico della città e del territorio nel quale si trovano (quasi del tutto casualmente) a vivere, ma anche di imparare, ascoltare,conoscere le loro storie.
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