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A proposito della proposta di legge sulle professioni nei BC

A proposito della proposta di legge Madia, Ghizzoni, Orfini sulle professioni dei beni culturali attualmente in discussione alla Camera dei Deputati vorrei esprimere alcune considerazioni. 

Innanzitutto sottolineando che si tratta di una iniziativa assai importante perché per la prima volta comincia a porre il grave problema dei liberi professionisti dei beni culturali, una categoria non riconosciuta, costretta in una posizione di oggettiva subalternità, se non di vero e proprio ricatto.

Bisognerebbe finalmente puntare al riconoscimento della figura professionale dell’archeologo e di tutte le professioni dei beni culturali, introducendo norme di garanzia per i liberi professionisti, al momento privi di regole e forme di riconoscimento professionale, costretti non solo al precariato, a condizioni lavorative proibitive e a compensi indegni ma anche a forme di sudditanza, di ricatto, di frustrazione, di scippo sistematico della proprietà intellettuale del lavoro. Ma anche evitando la creazione di nuove sacche di potere che la nuova legge sulle professioni potrebbe rischiare di favorire.

Temo infatti che questa legge rischi di contribuire ad accentuare le distanze tra mondi - MIBACT, MIUR, professionisti - che invece dovrebbero maggiormente collaborare. 

Peraltro è al lavoro una commissione presieduta da Salvatore Settis che sta rivedendo il Codice dei BC: forse sarebbe stato più opportuno operare in questo contesto più ampi, invece di produrre l’ennesima leggina, forse ispirata più da motivazioni elettoralistiche.

Ma una cosa in particolare è grave: non c'è volutamente alcun ruolo del MIUR e delle Università in questo processo, se si esclude un parere richiesto dal MIBACT al MIUR (come alla Conferenza delle Regioni) al momento dell'istituzione del registro, che poi sarà gestito dal MIBACT stesso in collaborazione con le associazioni professionali. 

Indico alcuni possibili rischi di questa esclusione delle università: 

a) che non si prevedano titoli universitari adeguati per accedere all'iscrizione (le associazioni puntano a considerare soprattutto l'esperienza e le attività sul campo svolte)

b) che siano le associazioni a curare la formazione permanente dei professionisti, con corsi, master, etc., escludendo le università da un ambito importante, anche se finora sottovalutato.

A proposito del MIUR nella legge si usa il verbo sentire, inteso nel senso di chiedere un parere consultivo; mentre si usa l’espressione d'intesa – cioè si prevede un rapporto diretto e operativo – per le Associazioni professionali.

Strana questa differenza di trattamento, soprattutto se si considera che la stessa legge precisa che i registri sono istituiti “in conformità con il riordino delle classi di laurea e con la definizione dei livelli minimi di qualificazione”.

Questo registro rischia di trasformarsi in una sanatoria tipicamente italiana a favore di associazioni individuate come rappresentative, nonostante la proposta di legge dichiari esplicitamente di non volere costituire una “misura neocorporativa”. Infatti si precisa che potrà operare anche chi non è iscritto nel registro: ovviamente per non incorrere nelle norme europee sulle professioni che impediscono l’istituzione di nuovi albi e di forme analoghe di limitazione delle.

Ora, se consideriamo che la legge del 14 gennaio 2013 n. 4, alla quale questa proposta di legge fa esplicito riferimento, prevede all’art. 3 che “le associazioni professionali promuovono, anche attraverso specifiche iniziative, la formazione permanente dei propri iscritti”, emerge con chiarezza il disegno. Le associazioni, in collaborazione con il MIBACT, potrebbero candidarsi a curare la formazione permanente degli iscritti al registro. Un rischio, a mio parere molto probabile, che porterebbe ad una ulteriore confusione nell’offerta formativa con una proliferazione di corsi, master e centri di formazione professionale, nella peggiore delle tradizioni italiane, mentre in tutto il mondo sono le Università (ovviamente in collaborazione con le categorie professionali e con altri ministeri – in questo caso il MIBACT -) ad occuparsi della formazione permanente.

In ogni caso è assurdo che il luogo nel quale i professionisti si formano sia di fatto escluso dalla definizione delle procedure per l'accesso alle professioni.

E' certamente necessario garantire i professionisti, ora privi di diritti, ma bisogna evitare il rischio di creare nuovi 'centri di potere corporativo'.

Una animata discussione avuta da me con l’on. Matteo Orfini, tra i proponenti della proposta di legge, su twitter è significativa dell’atteggiamento di diffidenza e anche di ostilità che ancora regna nei confronti dell’Università.

Certo questo atteggiamento ostile all’Università è anche l’esito di errori dell’Università stessa. Dovremmo ammettere, infatti, il fallimento della formazione universitaria nel campo dei beni culturali, ponendo fine alla formazione di professionalità improbabili, rendendo più omogenei a livello nazionale i percorsi formativi, eliminando l’eccesso di frammentazione e di duplicazione di corsi di studio di primo e secondo livello e delle Scuole di Specializzazione, dando vita a corsi interateneo di maggiore qualità, sviluppando una collaborazione organica con il MIBACT, le Soprintendenze e le associazioni professionali.

Ma sarebbe ora di superare queste rotture e queste contrapposizioni per dare vita ad un sistema integrato dei beni culturali e paesaggistici, tra Università, MIBACT, professionisti (insieme a Regioni ed enti locali ed anche con un coinvolgimento – ben definito nei ruoli - delle associazioni della cittadinanza attiva).

Erano stati proposti alcuni possibili suggerimenti/emendamenti per introdurre un coinvolgimento dell'Università nella definizione e gestione di questo elenco, ma nel testo finale non c’è nessuna traccia.

Mi auguro che nel corso della discussione alla Camera e al Senato possano essere introdotti alcuni indispensabili miglioramenti al testo (almeno trasformare quel 'sentito' riferito al MIUR in 'd'intesa', in modo da non limitarsi solo ad un parere non vincolante), per evitare di proseguire sulla strada del conflitto tra pezzi dello Stato e tra servizio pubblico e lavoratori, imboccando finalmente la strada della collaborazione, di cessioni di potere, del coraggio della politica e della capacità e creatività dei tecnici.

Bisognerebbe finalmente porre fine alla difesa di sempre più piccole rendite di posizione, all’isolamento in piccoli recinti con muri sempre più alti.

 

PS: Allego le note da me predisposte al momento della prima presentazione della proposta di legge.


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