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Altro che Indiana Jones: vi insegniamo il mestiere dell’archeologo dal vero
L’archeologo, chi è costui? L’immagine più popolare è forse ancora quella di Indiana Jones. Insomma un mix tra ‘caccia al tesoro’, avventura e mistero. O, al contrario, quella di un erudito, un topo di biblioteca, un personaggio eccentrico. Niente di tutto questo nella realtà. Oggi quella dell’archeologo è sempre più una professione complessa, multiforme, fortemente orientata all’uso di tecnologie, metodi e strumenti innovativi. Non si limita più solo allo scavo archeologico (che pure resta centrale tra le attività più sperimentali) o alla classificazione e allo studio dei reperti o dei monumenti, ma comprende una pluralità di campi, dalla pianificazione urbana e territoriale alla comunicazione, dalla didattica al turismo culturale.
L’ampliamento è tanto spaziale (dall’Europa all’intero globo) che temporale, non più solo l’antichità ma dalla preistoria più remota all’età contemporanea. Non più solo opere d’arte ma tutti i prodotti del lavoro umano, anche gli oggetti ordinari, con l’inclusione di fonti impensabili fino a qualche tempo fa: non solo i manufatti, cioè i prodotti dell’uomo, ma anche gli ecofatti, i prodotti della natura, le ossa animali o gli elementi vegetali. Se è difficile che si accrescano le fonti letterarie (tranne la fortunata scoperta di un papiro), la documentazione archeologica è sempre più ricca. Insomma siamo noi archeologi a produrre in maniera significativa nuove fonti per la conoscenza del passato.
Ma la cosa ancora più interessante del nostro mestiere è che mentre un’opera letteraria, musicale, teatrale o artistica è stata realizzata per quello scopo, un oggetto archeologico non esiste in quanto tale quando è stato prodotto, ma lo diventa nel momento in cui noi lo analizziamo col metodo archeologico.
Allo studente che mi chiede quale sia la dote principale per un archeologo rispondo sempre: la curiosità. È una dote, comune ad altri ricercatori, assolutamente necessaria per chi opera tramite l’individuazione, l’analisi e l’interpretazione di indizi e tracce, un po’ come un investigatore. È la curiosità che ci spinge a occuparci di persone vissute anni, secoli o millenni fa, cioè delle tante storie ricostruibili attraverso i dati materiali.
Ci sono poi altre caratteristiche che rendono unico questo mestiere, come l’unione di lavoro intellettuale e attività fisica, l’alternanza tra biblioteca, laboratorio e lavoro sul campo, la forte multidisciplinarità e il lavoro di équipe. Bisogna, dunque, saper provare non solo il piacere della scoperta, ma soprattutto quello della conoscenza. Partendo dal singolo elemento bisogna saper costruire una rete sempre più ampia di relazioni per rispondere alle domande storiche che ci poniamo (come si viveva, si produceva, si pregava, si mangiava, si moriva?): il tutto partendo da dati acquisiti e analizzati in maniera rigorosa e passando poi anche alla parte più creativa del nostro mestiere che è l’interpretazione, la spiegazione dei fatti, il racconto.
Per queste e altre ragioni le due università pugliesi di Bari e Foggia hanno deciso di mettere comune e integrare competenze, esperienze, sensibilità, strutture, laboratori, biblioteche per dare vita a una nuova Laurea magistrale in Archeologia: la volontà di lavorare insieme (in tal senso va anche il dottorato di ricerca sui patrimoni culturali istituito da Uniba, Poliba e CNR) rappresenta un segnale importante. Ampio è il ventaglio di discipline, dalle storie e archeologie pre-protostorica, classica e medievale alle archeologie urbana, subacquea, funeraria, digitale, pubblica, dei paesaggi, della produzione, ecc. E poi le archeometrie, il diritto dei beni culturali, l’economia e il management, le attività di laboratorio e infine un numero impressionante di scavi terrestri e subacquei, in Puglia, in Italia e in vari altri siti dalla Grecia all’Azerbaigian. Sempre però con i piedi ben piantati nel presente, interpretando l’archeologia come un impegno culturale e civile nella società contemporanea.
Le parole di Vere Gordon Childe, archeologo australiano vissuto quasi un secolo fa, esplicitano meglio di tutte il senso di un corso universitario pensato per formare gli archeologi del terzo millennio: «Io sono un archeologo e dedico il mio tempo a cercare di raccogliere notizie sul comportamento di uomini morti da lungo tempo. [...] Tuttavia, mi piace pensare che anche la conoscenza archeologica possa dimostrarsi utile alla società [...], utile nell’aiutare a pensare in maniera più chiara e quindi ad agire in maniera più umana».
Pubblicato in La Repubblica Bari, domenica 20.6.2021, p. 13.
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