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Come mi piacerebbe che sia il nuovo rettore Uniba

Finalmente è stato pubblicato il bando per le candidature per il rettorato di Uniba. Si può, quindi, uscire dalla situazione dei “forse” e dei “pare che” ed entrare in quello delle candidature vere e dei programmi per l’università. La prima cosa che mi auguro è che queste settimane che ci separano dal voto siano un vero momento di confronto libero, laico, al di là degli schieramenti e delle appartenenze ai vari dipartimenti che esprimono un candidato. Abbiamo ormai così poche occasioni di confronto che perdere anche questa significherebbe ridurre l’elezione del rettore solo ad accordi e a più o meno fondate promesse a singoli e a gruppi. Ricordo che con la legge Gelmini del 2010 si è introdotto il mandato unico di sei anni e se la comunità sceglie la persona sbagliata o anche solo quella meno adeguata, sono problemi per sei anni (come si è sperimentato in alcune università!).

I prossimi sei anni non saranno irrilevanti, se solo si pensa al calo degli iscritti, al taglio delle risorse del post PNRR che ha un po’ “drogato” anche le università, alle profonde trasformazioni del sistema universitario nazionale e internazionale, alla concorrenza sempre più agguerrita delle università telematiche, solo per citare alcuni dei tanti problemi che il prossimo rettore si troverà ad affrontare.

Ognuno avrà le sue preferenze tra i sei candidati (tutti maschietti: anche in queto si dimostra un ritardo culturale, e lo dico non per un’aderenza al politicamente corretto, che mi dà l’orticaria, ma perché segna una distanza con quanto accade nel resto del Paese; basti pensare che a Milano quasi tutte le grandi università hanno rettrici, una delle quali, di origini pugliesi, presiede anche la conferenza dei rettori; del resto se in Uniba sono ancora poche le direttrici di Dipartimento è quasi inevitabile che non si siano candidate al rettorato).

Essendo chi scrive tra i docenti più anziani accademicamente, ormai prossimo alla pensione, e avendo anche svolto tale funzione sia pure in un’altra sede, molto più piccola, si indicano solo alcune qualità che si auspica di poter vedere incarnate nel prossimo rettore di Bari, formulando una sorta di decalogo a disposizione del dibattito e di chi eventualmente vorrà tenerne conto. Piacerebbe avere un Rettore:

1)    Che sia persona colta, curiosa, capace di ascolto e abbia un alto e riconosciuto profilo scientifico, di livello nazionale e internazionale, e al tempo stesso una solida esperienza e una accertata capacità gestionale; uno dei due aspetti da solo è condizione necessaria ma non sufficiente per dirigere una realtà complessa come un’università generalista, che prevede ambiti fortemente diversi (umanistici, scientifici, tecnologici, medici, ecc.), con regole e sistemi diversi, ma tutti con pari dignità.

2)    Che sappia scegliere una prorettrice vicaria, non solo per aderire al politicamente corretto, e senza ridurla al ruolo esornativo di valletta, e una squadra di prorettori e di delegati, con un vero equilibrio anche di genere, scelti solo sulla base delle competenze accertate e non della mera fedeltà, dando vita a un vero governo dell’Università, con un Consiglio dei prorettori e dei delegati da prevedere nello Statuto e da far funzionare nella realtà.

3)    Che abbia rapporti solidi con la città, la regione, il tessuto imprenditoriale, socio-economico e culturale del territorio ma che abbandoni l’insopportabile retorica del territorio (lo dice un archeologo che il territorio lo studia e che è tra i fondatori della società dei territorialisti) e che soprattutto salvaguardi l’autonomia e l’indipendenza dell’Università (forse il suo bene più prezioso) da ingerenze, pressioni e interessi personali o di gruppi.

4)    Che voglia riprendere su basi nuove il progetto della federazione delle università pugliesi, lanciato oltre dieci anni fa da un gruppo di rettori desiderosi di costruire un sistema, ma che non poté realizzarsi per il combinato disposto della freddezza dell’allora ministra e dell’opposizione interna alle varie università da parte di gruppi che preferirono (e preferiscono) la confort zone delle loro piccole enclave. Oggi quel progetto appare ancor più urgente per svolgere un ruolo da protagonista in un contesto nazionale e internazionale che vede gli atenei meridionali in oggettiva difficoltà; solo insieme, abbandonando logiche campanilistiche e localistiche, le università pugliesi potranno evitare il declino e costruire un futuro.

5)    Che eviti, pur di contrastare il calo degli iscritti, l’attivazione di corsi di studio dai contenuti approssimativi re improbabili, spesso dai titoli fantasiosi, destinati a sfornare laureati privi sia di una solida formazione di base, sia di conoscenze specifiche, sia di aperture multidisciplinari. Anche l’incremento degli studenti si ottiene solo ed esclusivamente con la qualità, altrimenti sempre più studenti pugliesi e meridionali si sposteranno verso le università settentrionali o straniere, già al momento dell’immatricolazione o dopo il triennio per iscriversi alle magistrali e non attrarremo nessuno (o pochissimi) da altre regioni o da altri paesi; si moltiplichino i corsi in lingua inglese, si curi e si verifichi la qualità reale della didattica, non solo con verbali, rapporti e riunioni più o meno formali che tanto piacciono all’ANVUR ma che con la qualità vera di un corso di studio hanno spesso poco a che fare.

6)    Che doti finalmente Uniba di una Scuola Superiore (al momento nemmeno prevista nello Statuto) che attragga i migliori diplomati e sia riservata ai migliori studenti di ogni ambito disciplinare, ovviamente con una struttura residenziale, un collegio, e una didattica integrativa inter-multi-disciplinare; se poi si riuscisse a realizzare anche una struttura specifica per i dottorati di ricerca (un collegio dottorale) con aule, spazi studio, foresteria per dottorandi di altre sedi e stranieri e per docenti impegnati nella didattica, allora sì che il terzo livello universitario potrebbe cominciare ad attrare giovani dal mondo intero.

7)    Che dia impulso ai servizi per gli studenti (residenze, alloggi diffusi, mense, spazi di socializzazione in collaborazione con Regione, Adisu e Comuni) e per il personale docente e tecnico-amministrativo, compresa l’apertura fino a tarda sera e nei giorni festivi delle biblioteche, l’organizzazione del sistema museale d’ateneo, la disponibilità in tutte le sedi di spazi studio, sale per la pausa pranzo; bisogna essere consapevoli che il vero grande servizio che possiamo dare ai nostri studenti è una formazione di qualità, seria, solida, profonda, l’unica che può consentire anche a una ragazza e a un ragazzo privo di mezzi di emergere.

8)    Che si liberi del peso di veti solo ideologici e che comprenda che oggi le modalità della didattica possono e devono essere varie, in risposta a esigenze diverse di giovani e meno giovani studenti, per cui accanto alla tradizionale didattica in presenza (che anche chi scrive ama) si possono affiancare altre modalità, on line, sincrone e asincrone, miste, come fanno le più grandi università del mondo, ponendo fine all’anomalia tutta italiana che vede le università telematiche solo private, spesso di infimo livello; ovviamente andrebbe attrezzata una sezione ad hoc, con studi di progettazione, registrazione e di postproduzione di livello professionale.

9)    Che dia forte impulso alla ricerca di qualità, soprattutto garantendo un supporto per la progettazione europea, ormai necessaria per ottenere fondi di ricerca significativi, premiando quei ricercatori e quei gruppi che ottengono risultati rilevanti (che a volte pare quasi debbano scusarsi del loro successo!) e anche sostenendo le aree più deboli, magari con innesti dall’esterno di ricercatori forti.

10) Che ci faccia sentire orgogliosi della nostra Università, che sappia rappresentare tutti in ogni sede e in ogni occasione, che ci faccia fare sempre bella figura, che sappia sviluppare un senso di appartenenza a una comunità accademica composita e plurale.

 


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