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Elogio della 'coesione'
La comunità accademica ha scelto il prossimo Rettore nella persona del prof. Maurizio Ricci, unico candidato al secondo turno, dopo il ritiro degli altri tre candidati, con un risultato certamente importante, per il quale ho il massimo rispetto, com’è giusto e corretto in una comunità democratica. È stato eletto Rettore dalla comunità e dall’1 novembre prossimo sarà anche il mio Rettore, con assoluta lealtà e spirito di collaborazione.
Ha vinto chi si è impegnato per più tempo, dimostrando anche una straordinaria caparbietà, presentandosi per la terza volta consecutiva, in alternativa prima ad Antonio Muscio, poi a chi scrive, effettuando una campagna elettorale sistematica durata molti anni. Rinnovo al nuovo Rettore i miei personali auguri di buon lavoro, non solo per bon ton istituzionale ma anche e soprattutto per il grande amore che ho nei confronti della nostra Università. Poco importa che cinque anni fa non ricevetti un gesto analogo da parte sua.
La nuova parola d’ordine, più volte ripetuta anche negli ultimi messaggi elettorali e nelle dichiarazioni alla stampa, è coesione. Immagino che tale insistenza intenda mettere in evidenza la mancanza di uno spirito di coesione in questi ultimi anni. Qualcuno vorrebbe attribuire a me questo deficit, e sono pronto ad assumere anche la mia parte di responsabilità. Ma la coesione è il risultato di una volontà condivisa, e mi piacerebbe che anche altri siano disponibili ad ammettere le loro responsabilità. La coesione (vedo che opportunamente si evita la parola ‘concordia’, ormai irrimediabilmente connessa alla malasorte) richiede unità di obiettivi e di metodi e dovrebbe rappresentare quasi un’esigenza comune nei momenti difficili, tanto in quelli trascorsi in questi ultimi anni quanto in quelli che continueremo a vivere prossimamente. In caso contrario, sembrerebbe affermarsi uno strano principio, secondo cui la coesione non vale quando si è all’opposizione mentre la si invoca quando si è al governo. E quando si governa, dopo aver sentito le ragioni di tutti, bisogna decidere e fare delle scelte, che possono essere nell’interesse generale (anche se impopolari) o in quello di una sola parte o addirittura di una sola persona. Coesione è, infatti, una bella parola, solo se coniugata all’interesse generale, al cambiamento e alla responsabilità. Per questo motivo credo sia necessario un doveroso chiarimento a questo proposito, ora che la campagna elettorale si è conclusa, soprattutto nei confronti della comunità accademica, proprio per l’ampio consenso tributato al nuovo Rettore.
Mi fa piacere, infatti, che ora la coesione venga proposta e sostenuta anche da chi per anni l’ha di fatto impedita, cavalcando malcontenti (ovvii in momenti di difficoltà economiche), sostenendo ogni forma di opposizione, favorendo rotture, non senza anche il ricorso a qualche sgambetto.
Lo dico con serenità, senza alcun rancore, quasi con l’approccio ormai distaccato dello storico che intende raccontare alcuni fatti, in un paese dalla memoria cortissima.
È noto a tutti che Maurizio Ricci, dopo le precedenti sconfitte elettorali, abbia interpretato il suo ruolo, del tutto legittimamente, come quello dell’oppositore. L’ho sostenuto apertamente nella sua prima competizione contro Muscio (poiché non condividevo la decisione di tenere un terzo mandato, dopo aver modificato lo statuto), ma non ho poi condiviso questa sua impostazione, a mio parere impropria nel mondo universitario, quasi che un Senato Accademico o un Consiglio di Amministrazione siano equiparabili al Parlamento o ad un Consiglio Comunale. Per questo le nostre strade si sono separate. Poi ci siamo confrontati e sono stato eletto.
In questi anni ci siamo spesso divisi ed anche scontrati su decisioni importanti. Mettendo da parte gli atti quasi quotidiani, mi limito a ricordare solo pochi casi emblematici che hanno visto accese contrapposizioni in momenti difficili e decisivi per l’Università. Proprio agli esordi del mio mandato, dopo l’adozione del Codice Etico, per certi aspetti più imposto a parte della comunità che condiviso (non a caso da anni si discuteva una bozza senza mai giungere ad un esito) e la decisione impopolare di chiudere tutte le sedi decentrate nel territorio, vissi anche l’esperienza della bocciatura del bilancio di previsione e dell’esercizio provvisorio. Non mancarono in quei giorni tentativi occulti di forzare la mano per provocare le mie dimissioni. I nodi erano costituiti dai primi tagli ministeriali al Fondo di Funzionamento Ordinario, ai quali volli far fronte immediatamente avviando una politica di assoluto rigore dei conti e di lotta agli sprechi e ai privilegi che ci ha garantito in questi anni di evitare il dissesto, che ha colpito non poche università (cosa che avrebbe rappresentato un trauma difficilmente superabile per un’Università giovanissima come la nostra, non ancora consolidata): si trattava di ridurre dolorosamente il numero dei precari per ridimensionare un eccessivo costo del personale, divenuto insostenibile per il nostro bilancio (la nostra università aveva il più alto rapporto d’Italia tra amministrativi e docenti), e al tempo stesso di effettuare i notevoli investimenti, anche con il ricorso ad un mutuo e ad una procedura di autofinanziamento, per la costruzione della nuova sede di Medicina, secondo un progetto avviato già dal precedente Rettore. Se non avessimo affrontato il peso di questo investimento, la nuova sede di Medicina, ormai quasi pronta e di prossima inaugurazione, non sarebbe stata costruita e di conseguenza, grazie ai ribassi d’asta, non avremmo potuto disporre delle risorse necessarie per ristrutturare anche le due strutture nel frattempo ottenute gratuitamente dalla Regione e destinate ad Economia; una soluzione, questa, che, finalmente, consentirà anche alla stessa Giurisprudenza di disporre dell’intera sede dell’ex Tribunale. Dunque un investimento che sta per garantire finalmente la soluzione dei problemi degli spazi per ben quattro Dipartimenti. Se a questo si aggiunge l’ulteriore straordinario risultato di poter rendicontare tali spese sia per un PON sia per i fondi FAS, con il recupero al bilancio di oltre 8 milioni di euro (5 dei quali lascio in eredità al prossimo Rettore), si comprende bene il rilievo di tali iniziative condotte a buon fine, ma sempre con la ferrea opposizione di alcuni.
Quel bilancio non passò, infatti, con il voto contrario dei docenti di Giurisprudenza e dei rappresentati degli studenti e degli amministrativi, un blocco di opposizione che si è rinnovato anche in altre occasioni. Ad esempio quando si è trattato di affrontare la difficile e ancora una volta impopolare revisione della tassazione studentesca, chiedendo un sacrifico agli studenti e alle loro famiglie, che ha previsto, però, anche l’introduzione di innovativi criteri di perequazione per merito e reddito e di serrati controlli antievasione della Guardia di Finanza. La media delle tasse a Foggia era di appena € 373 mentre ora è di € 560, ancora decisamente più bassa non solo rispetto alla media italiana di circa € 1000, ma anche a quella di € 650 delle Università del Sud. È stata una decisione che ha consentito di recuperare risorse assolutamente necessarie, addirittura per pagare gli stipendi del personale (portando da 3,2 a oltre 7 milioni queste entrate), pur conservando una delle tassazioni più basse d’Italia, com’è giusto in un difficile contesto socio-economico. Oppure, in occasione della recente riorganizzazione dell’Ateneo e, in particolare, nel caso del tentativo di dar vita ad un anomalo dipartimento che sarebbe stato costituito da parti di Agraria e di Economia, in conflitto con i rispettivi dipartimenti, senza un reale credibile progetto scientifico-culturale: una iniziativa assurda che avrebbe avuto come unico esito la rottura e, forse, la crisi di due importanti realtà didattiche e scientifiche, con gravi danni anche per gli studenti. O, ancora, più recentemente, quando si è trattato di procedere all’assunzione di un gruppo di docenti risultati idonei in concorsi banditi dalla nostra Università fin dal 2008 e svolti nel 2010: i limiti normativi introdotti successivamente hanno impedito queste assunzioni, che stiamo effettuando progressivamente. Finora siamo riusciti ad assumere undici su sedici idonei tra professori ordinari ed associati e a programmare nei prossimi mesi – anche grazie ad uno specifico contributo regionale – l’assunzione di altri quattro ordinari. Ad essi si aggiungono altri sei professori associati della nostra Università vincitori in concorsi per professore ordinario banditi da altre università, la cui assunzione risulta ancor più problematica. Se, al contrario, come proponeva anche il prof. Ricci, avessimo effettuato l’assunzione di tutti, in contrasto con le norme vigenti (ricordo che la nostra Università è ben al di sopra del limite dell’80% fissato per legge tra entrate e spese per il personale ed ha anzi rapporto peggiore per questo parametro tra tutte le università italiane), avremmo subito pesanti penalizzazioni che avrebbero forse messo a repentaglio la stessa sopravvivenza dell’Università.
Cosa succederà ora? Ci dovremo attendere riduzione delle tasse, l’immediata presa di servizio di tutti gli idonei, nuove assunzioni e promozioni di carriera, incentivi al personale, consistenti fondi per la ricerca e la didattica? Io non credo proprio, se non altro perché le difficoltà persistono ed anzi si vanno accentuando. I tagli finanziari continuano, le norme di controllo della spesa sono ancor più stringenti (non a caso ho voluto un magistrato della Procura contabile come Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti), i sistemi ministeriali di valutazione e di accreditamento sono sempre più rigorosi (per questo da quattro anni il nostro Nucleo di Valutazione è composto da specialisti ed è presieduto da uno dei massimi esperti, ora nominato coordinatore dei nuclei di tutte le università italiane). Ma attendo con curiosità di vedere quali soluzioni saranno proposte e con quali risorse e con quali strumenti normativi si farà fronte agli impegni assunti. Ma è facile prevedere che le tante, troppe, promesse fatte non potranno essere rispettate. E chissà se la tanto invocata coesione sarà sufficiente a placare le inevitabili delusioni e i malcontenti che potrebbero manifestarsi. Con una differenza: non ci sarà nessuno (e certamente non sarà chi scrive) a sollecitarli.
Vedo che ora c’è anche chi inneggia addirittura alla ‘liberazione’! Non mi meravigliano la gioia e le speranze soprattutto di chi in questi anni ha perso privilegi e rendite di posizione e si illude di un ritorno a certe pratiche di un passato che credo pochissimi rimpiangano. Ma ritengo – o almeno spero - che anche costoro restino presto delusi.
Certo, per molti aspetti si colgono i segni di un ritorno al passato, della fine di quella che alcuni hanno considerato, forse a ragione, ‘un’anomalia’.
Lascio un’Università non solo in buona salute nei conti ma anche con patrimonio strutturale decisamente più consistente, un’Università che non solo ha resistito alle difficoltà ma è anche cresciuta, ma soprattutto un’Università dotata di una grande credibilità (avvertita forse più all’esterno ed anche a livello nazionale e internazionale, che al suo interno): una credibilità che non è stata mai scalfita, nemmeno minimamente, né da un’indagine della magistratura o anche solo da controlli per presunti illeciti o da denunce per vantaggi personali o favoritismi, né da un solo articolo di stampa con dati oggettivi negativi. Chi legge i giornali sa bene, invece, quanto discredito abbia colpito in questi anni molte altre realtà, anche universitarie, con denunce di cattiva gestione amministrativa, di buchi di bilancio o rischi di dissesto, di clientelismo e nepotismo.
È un patrimonio importante di credibilità che mi auguro possa essere conservato ed accresciuto, per il bene della nostra Università, spero finalmente con una reale coesione, ora da tutti invocata, alla quale continuerò a dare serenamente e fattivamente il mio contributo.
Articolo pubblicato in L'Attacco, 28.4.2013, pp. 1, 22.
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