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I Monument men per l'Ucraina

Giù le mani dal patrimonio culturale ucraino. Fanno tenerezza le immagini che giungono da Leopoli, con funzionari e volontari impegnati nel coprire statue e altri beni culturali con spugna, cellophane, nastro adesivo. Le strade si sono riempite di statue impacchettate e ci si chiede come possano questi fragili protezioni difenderle da bombe, proiettili e schegge. Si teme per la cattedrale di Santa Sofia a Kiev e per centinaia di monumenti, musei e siti archeologici da Odessa a Poltava, da Chernnihiv a Kamyanets-Podilskyi e in molte altre località a rischio di bombardamenti. Sono i nuovi “Monument Men” impegnati nella difesa del patrimonio culturale ucraino. Sono immagini che fanno male, veri pugni nello stomaco, simili a quelli che riceviamo vedendo donne, bambini e anziani in fuga. Immagini che richiamano alla mente scene che pensavamo ormai archiviate. Quelle del ponte di Mostar bombardato, delle opere d’arte sfregiate in azioni di pulizia etnica e culturale. Ogni guerra porta distruzione del patrimonio culturale. Inevitabilmente. Durante la seconda guerra mondiale a Londra sotto i bombardamenti le opere dei vari musei furono portate fuori città, nascosti in bunker, miniere, cave e altri luoghi protetti. Eppure alla National Gallery si tenevano i famosi concerti dell’ora di pranzo della pianista Myra Hess e si allestirono mostre temporanee, anche di una singola opera, che ottennero un grande successo con migliaia di londinesi in coda. Parlando di patrimonio culturale sarebbe sbagliato riferirsi solo alle grandi opere d’arte. Il patrimonio culturale, materiale e immateriale, è molto più complesso, articolato, diffuso. È fatto di documenti, monumenti piccoli e grandi, opere uniche e oggetti ordinari della vita quotidiana e del lavoro, tradizioni, tracce a volte labili del passato, elementi di una identità collettiva stratificata nelle città, nelle campagne, nella vita delle persone: “un insieme di risorse ereditate dal passato che alcune persone identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni costantemente in evoluzione. Esso comprende tutti gli aspetti dell'ambiente derivati dall'interazione nel tempo fra le persone e i luoghi”, come recita l’articolo 2 della Convenzione di Faro, cioè la ‘Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società’, presentata il 27 ottobre 2005 nella città portoghese di Faro. La Convenzione di Faro ha finalmente introdotto il diritto, individuale e collettivo, al patrimonio culturale, affermando che ognuno può e deve «trarre beneficio dal patrimonio culturale e contribuire al suo arricchimento» (art. 4). È un testo dalla portata rivoluzionaria, che sottolinea il valore del patrimonio come arma di pace. Quella ucraina è una indubbiamente ‘comunità di patrimonio’, cioè «un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future». Una comunità che teme di vedere distrutto il proprio patrimonio, la propria memoria. Un rischio che corre anche la ‘comunità di patrimonio’ russa, un popolo dalla straordinaria tradizione culturale che non merita di venire oggi descritto come semplicisticamente e genericamente come oppressore sanguinario. È un’altra vittima di questa guerra. Al momento sono 22 i paesi che hanno ratificato la Convenzione di Faro, tra questi L’Ucraina che l’ha prontamente sottoscritta e ratificata tra il 2007 e il 2014. La Russia non l’ha mai fatto e forse oggi se ne comprende il perché. Il nostro Paese l’ha sottoscritta nel 2013 e ratificata solo nel 2020. Ora presiede il Consiglio d’Europa e potrebbe quindi svolgere un ruolo importante per evitare danni al patrimonio. A tal proposito anche l’ONU, con i caschi blu della cultura recentemente istituiti, potrebbe intervenire per evitare distruzioni a Leopoli, sito Unesco, e nelle altre località ucraine. Il ministro Franceschini si è molto impegnato per i caschi blu della cultura e il 9 settembre scorso incontrando il Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejčinović Burić, in occasione dell’inizio del semestre di presidenza da parte dell’Italia, ha giustamente affermato che sarà impegno forte dell’Italia promuovere i principi della Convenzione di Faro. Se non ora, quando? Questa guerra, inaccettabile come tutte le guerre, ripropone l’attualità di questa Convenzione europea, che però anche nel nostro Paese gode ancora di poca fortuna e attenzione. Dobbiamo evitare un duplice rischio: che si voglia distruggere il patrimonio per annientare la storia e la memoria di una comunità; ma anche che si usi il patrimonio come una clava identitaria. L’abuso strumentale della storia e del patrimonio culturale rappresenta una costante nella storia dell’umanità, da parte dei regimi, anche per giustificare le guerre, per cui è necessario tenere alta la guardia, contro i nazionalismi e sovranismi sempre promossi dalle forze reazionarie. Il patrimonio culturale può e deve essere uno strumento di pace, di rispetto, di conoscenza reciproca, di crescita della democrazia. Si mettano in campo tutti gli strumenti culturali possibili per promuovere il dialogo. Pubblicato in https://www.huffingtonpost.it/blog/2022/03/07/news/chi_sono_i_monument_man-8910898/
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