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Il silenzio-assenso e la sfiducia nelle soprintendenze
La vicenda dell’introduzione del silenzio-assenso nel campo dei beni culturali e paesaggistici, previsto dalla riforma Madia della pubblica amministrazione, è emblematica, al di là della gravità in sé, per cogliere con estrema chiarezza e drammaticità quanta sfiducia ci sia nei confronti delle soprintendenze. Sia pur ridimensionato (dagli iniziali 60 è stato portato a 90 giorni il periodo prima che scatti il silenzio-assenso), si configura come una chiara misura punitiva nei confronti delle 'odiate soprintendenze'. In realtà finirà per punire il patrimonio culturale e il paesaggio. Rischia di essere anche un incentivo alla corruzione in particolare negli uffici degli enti locali e regionali: i corrotti non dovranno nemmeno assumersi la responsabilità di dare un parere positivo a una demolizione di un bene culturale o a una costruzione in un’area protetta; basterà tener ferma la pratica, portando a giustificazione il sovraccarico di lavoro, una malattia, un computer rotto, etc.
Il Consiglio Superiore dei Beni Culturali, che ho l’onore di presiedere, si è espresso decisamente contro questa misura, ritenuta “rozza e pericolosa”, chiedendo in alternativa l’adozione dei Piani Paesaggistici in tutte le regioni, la realizzazione di sistemi informativi e banche dati aperte, in modo da dare risposte rapide e certe ai cittadini, com’è giusto in un paese civile.
Torniamo al tema della misura punitiva. Chiunque abbia una conoscenza della realtà e non viva in un modo separato sa bene che l’ostilità verso le soprintendenze è purtroppo assai diffusa. Basta parlare con professionisti, progettisti, amministratori: non si possono attendere tempi infiniti. E hanno ragione, indubbiamente.
C’è evidentemente una netta separazione tra strutture della tutela, percepite come ostili, chiuse, autoreferenziali, pronte solo a dire no, e la società italiana. Chi non affronta questo tema in tutta la sua gravità, contribuisce solo ad accrescere tale distanza.
La risposta non può tradursi nella chiusura e nella difesa del fortino. Serve un grande coraggio nell’apertura e nel cambiamento. Chi si limita alla difesa ‘senza se e senza ma’ rende un pessimo servizio alle istituzioni (e alle persone) che dice di voler difendere. Non basta ripetere che non ci sono risorse e personale, il che è verissimo! Serve un’analisi coraggiosa e franca degli errori commessi, dei vizi e dei difetti. serve una reale volontà di cambiamento, a partire dai comportamenti. È quello che cerca di fare il ministro Franceschini con la sua riforma, che pur tra mille difficoltà e problemi, tenta la strada del cambiamento.
Solo così si potrà difendere la nostra gloriosa tradizione (nella quale troppo a lungo ci siamo cullati) nel campo dei beni culturali. Una tradizione, se non è vivificata, avvizzisce, si sclerotizza, si trasforma in tradizionalismo. Solo così si potranno pretendere quelle risorse e quel personale certamente indispensabili.
Una battaglia si può vincere solo con il sostegno sociale. La lezione del silenzio-assenso è anche questa. Serve dunque un gran lavoro per riconquistare fiducia e credibilità tra i cittadini.
Il silenzio-assenso e la sfiducia nelle soprintendenze, in L’Unità, martedì 21 luglio 2015, p. 6.
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