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Il turismo italiano senza cultura?
Pare a che a breve le competenze del turismo passeranno al Ministero dell’Agricoltura, dopo che 5 anni fa erano state associate a quelle dei beni e delle attività culturali. È scritto – si dice – nel contratto del ‘governo del cambiamento’. Quindi si cambia. C’era voluto tanto lavoro per integrare questi due settori così importanti per il nostro Paese. Sia ben chiaro, non che l’agricoltura non sia un settore strategico, tutt’altro. Ma qual è il senso di questo continuo gioco di montaggio e smontaggio di competenze e pezzi dello Stato, quasi si tratti di mattoncini del lego. Un’azione di smobilitazione che certamente non fa bene innanzitutto al turismo, da anni sballottolato di qui e di là, e diviso tra Stato e Regioni. Un vero caos al quale si stava tentando di porre rimedio. Sarebbe facile (ma anche inutile) fare battute sul ministero dell’agriturismo o sulle pressioni del ministro Gian Marco Centinaio (molto legato all’uomo forte del Governo, Matteo Salvini), perché di mestiere è tour operator. Il turismo è per sua natura un’attività fortemente trasversale e integrata, e certamente ci sono stringenti connessioni anche con l’agricoltura, l’alimentazione, ma anche con l’ambiente, le infrastrutture, il commercio estero, lo sviluppo economico, ecc. Ma non c’è alcun dubbio che se c’è una peculiarità tutta italiana che può e deve caratterizzare la nostra offerta turistica questa è la cultura, con l’immenso patrimonio di beni e di attività culturali, la musica, il teatro, le arti, e soprattutto con il paesaggio italiano. Ecco il senso di quella ‘T’ che era stata aggiunta cinque anni fa all’acronimo MiBAC. Un ‘T’ per la verità molto mal digerita dai puristi della cultura, quelli che vedevano nel turismo una pericolosa contaminazione mercantilistica, incompatibile con la loro elitaria visione del patrimonio culturale. Quelli che hanno continuamente e violentemente attaccato (ma ora tacciono) quelle riforme che hanno profondamente cambiato, innovato e rilanciato il mondo dei beni e delle attività culturali, reso asfittico e agonizzante da decenni di tagli, blocco del turn over e di grave marginalizzazione. Non capivano che quell’alleanza era funzionale all’attribuzione di una nuova centralità strategica ai beni culturali, necessaria anche per ottenere maggiori risorse per la loro tutela e valorizzazione (che infatti sono cresciute), per nuove assunzioni (che infatti ci sono state) e per la creazione di nuove opportunità di lavoro per i tanti professionisti dei beni culturali anche nei servizi collegati con un turismo caratterizzato in senso culturale e paesaggistico. L’obiettivo non era certo snaturare il patrimonio culturale, ma semmai rendere più colto il turismo: non più elitario, ma di migliore qualità, più rispettoso dei paesaggi e del patrimonio, e anche più lento e capace di offrire una vera, intesa, piacevole esperienza di vita e di conoscenza delle mille peculiarità culturali dell’Italia e delle popolazioni di ogni parte, anche la più remota, del nostro Paese.
Per la prima volta, l’Italia si era finalmente dotata di un Piano Strategico Nazionale del Turismo e la Direzione Generale stava per strutturarsi con grande fatica, anche grazie a un bravo dirigente che prima del MiBACT aveva dato ottima prova in Puglia, dove infatti turismo e cultura sono nelle stesse mani (e il boom di crescita del turismo pugliese in questi anni è anche esito di queste scelte). Soprattutto si stava compiendo uno sforzo importate per l’integrazione tra tutela (assolutamente indispensabile, anzi prioritaria) dei beni culturali e del paesaggio, la loro valorizzazione e l’affermazione di nuova idea di turismo. Ecco il significato dell’anno dei borghi, dei cammini, del cibo, delle capitali italiane della cultura, degli Stati Generali del Paesaggio e della Carta Nazionale del Paesaggio, dell’avvio del Sistema Museale Nazionale e di tante altre iniziative che ora rischiano di restare monche. Perché se c’è una cosa che veramente manca nel nostro Paese, insieme ad una visione strategica di lungo respiro, è quel minimo di continuità, di stabilità, di consolidamento, aggiustamento e progressivo miglioramento del lavoro politico e amministrativo, che, prescindendo dagli schieramenti che di volta in volta si alternano, dà forza a quei settori davvero centrali per il nostro futuro, come indubbiamente sono il turismo e il patrimonio culturale.
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