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Orfeo e le sirene
Ha riscosso un notevole interesse la restituzione dal Getty Museum di Malibu del gruppo scultoreo di terracotta raffigurante Orfeo e le sirene. Dopo un passaggio al Museo dell’arte salvata, allestito presso il Museo Nazionale Romano, l’opera è stata di recente trasferita con grande risalto mediatico a Taranto, nel MArTa, storico museo della Magna Grecia. Non è la prima opera che il museo americano restituisce al nostro Paese. Per anni ha acquistato sul mercato internazionale da spregiudicati mercanti d’arte, anche grazie a intermediari e prestanomi di facciata, opere trafugate in Italia. Non di rado anche falsi prodotti da specialisti di altissimo profilo tecnico e culturale. Basterebbe leggere le tante pagine dedicate a questo tema da un giornalista d’inchiesta come Fabio Isman (si veda ad es. I predatori dell'arte perduta, il saccheggio dell'archeologia in Italia, Skira 2009) per rendersene conto. La stessa Puglia ha ottenuto anni fa la restituzione dei marmi policromi di Ascoli Satriano, tra cui il celebre gruppo dei grifoni che azzannano una cerva.
Il petroliere J.P. Getty acquistò prima del 1976 il gruppo scultoreo, che sarebbe stato trafugato dal territorio di Taranto, per 550 mila dollari da una banca privata svizzera. Il recupero, merito anche in questo caso della competente e preziosa opera dei Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale, ha fatto seguito a una lunga e laboriosa procedura, compresa un’inchiesta penale da parte della procura di New York.
Tutto bene dunque. Sì, salvo il fatto che su quest’opera si sono addensati non pochi dubbi sulla sua effettiva autenticità. Nota da quasi settant’anni, pur variamente citata in vari studi, non è mai stata oggetto di una vera edizione scientifica: un primo campanello d’allarme. Alcuni anni fa, due autorevoli studiosi, Pier Giovanni Guzzo e Angelo Bottini, ottimi soprintendenti, specialisti della Magna Grecia, se ne sono occupati, e pur non nascondendo dubbi (per “quel consueto sospetto di falso che aleggia sui materiali che sfuggono alla più stretta serialità qualora non ne siano note le circostanze di rinvenimento”), fidandosi delle “analisi di laboratorio” che “sembrano ... dimostrare la piena autenticità del complesso”, citate in studi precedenti, ne hanno tentato un inquadramento critico. Si dà il caso però che quello studio archeometrico, indicato “in corso di stampa” (B.M. Kingsley, The Authenticity of the Orpheus at Malibu, in Traditions in Contact and Change, Transactions of the 14 Congress of International Association for History of Religions), peraltro non in una rivista di studi specializzata ma – cosa inconsueta – negli atti di un convegno di storia delle religioni, non è mai stato pubblicato, come si è recentemente accerto. Francesco D’Andria in occasione della esposizione di Orfeo e delle sirene a Taranto, oltre a segnalare che “lo stile delle opere appare difficilmente confrontabile con la produzione di sculture in terracotta di sicura provenienza tarantina” e che “Orfeo, nelle immagini dei vasi tarantini a figure rosse, è sempre rappresentato in abito orientale con berretto frigio”, ha auspicato indagini archeometriche indipendenti per fugare ogni dubbio. Effettivamente non mancano gli strumenti, dalla termoluminescenza, che consente agevolmente di capire se si tratta di un prodotto antico o moderno, alle analisi mineralogiche, chimico-fisiche per determinare la provenienza delle argille, le tecniche di realizzazione, ecc. (sul catalogo online del museo sono indicate le analisi, ma senza i dati). In questi casi sarebbe, anzi, preferibile affidarsi ad almeno due laboratori diversi in modo da avere risultati ancor più affidabili.
Saremmo tutti molto felici di una certificata autenticità. E di festeggiare il ritorno a casa di opere di grande importanza storico-archeologica, in particolare nel caso di Taranto, città che nel passato ha ceduto alle sirene (è il caso di dire) dell’industria pesante, poi tradottasi in crisi economica, ambientale e sanitaria, e che proprio sul patrimonio culturale cerca una nuova strada.
Alcune domande sono però doverose, perché il dubbio è il sale della scienza. Non sarebbe stato più prudente effettuare le analisi e verificare l’attendibilità delle fonti prima dell’esposizione al pubblico, in ossequio al metodo scientifico? L’archeologia moderna può ancora basarsi solo su valutazioni di tipo stilistico e iconografico? Quando riusciremo a resistere al sensazionalismo?
Dubbi su Orfeo e le sirene, in Archeologia Viva, XLII, n. 220, luglio-agosto 2023, p. 80.
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