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Per i 70 anni di Daniele Manacorda

Questa di oggi è soprattutto una festa per un carissimo amico e non vogliamo trasformarla in un rito accademico. Abbiamo voluto - un gruppo di amici, allievi e colleghi, insieme a Cecilia e alla famiglia di Daniele - incontrarci qui alla Crypta Balbi nel giorno del settantesimo compleanno di Daniele, perché questo è un luogo di straordinario valore simbolico per Daniele, per tutti noi e per l’archeologia italiana.

Per tale motivo abbiamo sfidato anche le problematiche condizioni metereologiche, perché questo momento non poteva che svolgersi qui, invece che in una sede universitaria o in qualche altro luogo pur prestigioso. Che poi Daniele, nonostante la sua straordinaria intelligenza e la sua nota capacità di interpretare tracce e indizi, sia riuscito a non capire e a non sapere nulla fino a pochi minuti fa di questa nostra iniziativa ha quasi del miracoloso!

Ringrazio a nome di tutti in particolare Daniela Porro e Mirella Serlorenzi per aver partecipato al complotto e per aver dato la loro disponibilità ad associare la presentazione del restauro dell’androne e la ricollocazione dell’iscrizione al suo posto originario con questo momento piacevole qui alla Crypta.

La Crypta rappresenta, forse meglio di ogni altro luogo, il modo stesso di intendere l’archeologia per Daniele: un approccio globale, multidisciplinare e diacronico, la creazione di una comunità di ricerca e di affetti, l’impegno civile per una città. Come ci ha ripetuto fino allo sfinimento nella sua definizione di archeologia urbana che proprio in questo cantiere ha avuto uno degli esempi più significativi: archeologia della città, nella città, per la città.

Qui si sono formate intere generazioni di archeologi, a cominciare da chi vi parla, dopo l’esperienza a Settefinestre fatta sempre con Daniele nello scavo del granaio della villa (uno degli scavi più tristi che si possa immaginare, ripensandoci oggi – praticamente non c’era e non si trovava quasi nulla! -, che Daniele sapeva trasformare con la sua conduzione nello scavo più interessante e avvincente per noi studenti neofiti).

Ripensando a quei giorni, mesi e anni di lavoro in questo cantiere, confesso che è difficile dimenticare anche l’ansia che Daniele ci ha sempre comunicato per il suo maniacale perfezionismo per l’organizzazione della ricerca, per il rigore nell’indagine stratigrafica e nella documentazione, per l’acume nell’interpretazione. Ma, ripensandoci oggi, mi sembra ovvio che fosse così, visto che si trovava a gestire poco più che trentenne uno dei più grandi cantieri urbani d’Italia e non solo.

Negli anni è decisamente migliorato, è diventato sempre più sereno, insomma quasi una persona normale che non mette più a disagio come avveniva un tempo per noi più giovani: per me – mi scuserà se faccio il delatore – è stata recentemente una scoperta quasi commovente vederlo così preso da una trasmissione televisiva come ‘I soli ignoti’! Ovviamente anche in questo caso credo che lo incuriosisca l’adozione del metodo archeologico nella ricerca di labili indizi e evanescenti tracce. Perché come ci ha insegnato, l’archeologia non è tanto una disciplina, ma un metodo!

Certo non ha mai perso l’abitudine alle sue domande insidiose, alle ricostruzioni etimologiche e stratigrafiche di parole e toponimi, ai suoi proverbiali scherzi fatti con una serietà che disorienta: ci ho messo non meno di trent’anni per non cascarci più, ma molti che lo conoscono anche da più tempo continuano a restare spiazzati (vero Carlo?).

Per questa occasione, quattro suoi allievi hanno pensato che il modo migliore per festeggiare i 70 anni fosse quello, tradizionalissimo e bellissimo, di dedicargli un libro che raccogliesse i contributi di tanti altri suoi allievi, e anche di molti colleghi e amici. Altri mancano, sia perché sarebbe stato praticamente impossibile, nei limiti di un volume, raccogliere i contributi dei tantissimi altri che avrebbero potuto e voluto esserci (e ci scusiamo con loro, spero non ce ne vogliano), sia per qualche colpevole dimenticanza (ci scusiamo ancor di più per questo), sia infine per alcune inevitabili e dolorose rinunce a causa dei molti impegni che gravano su tutti noi.

I curatori del volume sono solo quattro dei suoi tanti allievi, appartenenti a generazioni e a fasi diverse della lunga militanza archeologica di Daniele. Due (i più anziani, chi vi parla e Enrico) non sono stati suoi allievi universitari ma hanno scelto Daniele come maestro, come è accaduto a decine di altre persone nel corso del tempo. Degli altri due curatori, una, Silvia, è un’allieva senese, l’altro, Mirco, è un allievo romano dell’ultima generazione.

Quello della scuola è un tema al quale tiene molto, e giustamente, Andrea Carandini, che ha accettato di scrivere una bella, affettuosa, stimolante presentazione del libro e di tenere un suo intervento oggi. La sua scuola, alla quale si è formato Daniele, è all’origine di un grappolo di scuole, con indirizzi, sensibilità, interessi diversi, ma tutte caratterizzate dal lavoro di equipe, da un approccio sistematico, stratigrafico, contestuale e da una forte componente di impegno civile.

Daniele, persona e studioso dal multiforme ingegno e da una illimitata curiosità, ha formato nel corso degli anni tra Siena e Roma, e nei cantieri di Roma, di Brindisi, di Populonia e in tante altre attività di ricerca, tanti archeologi, operando su molti versanti della ricerca, della formazione universitaria, della comunicazione e divulgazione, dell’impegno nelle istituzioni e nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Soprattutto, ciò che mi ha sempre colpito in tutte le attività è la sua straordinaria capacità di elaborazione teorica e il suo impegno nel mettere a disposizione dell’archeologia italiana strumenti e occasioni per una costante riflessione metodologica.

Un breve cenno è necessario all’immagine scelta per la copertina, raffigurante il ponte di Narni, in una bella veduta di Jean Baptiste Camille Corot del 1826 conservata al Louvre: è ovvio il riferimento a Narni, località molto amata da Daniele e dalla sua famiglia, spesso frequentata da noi amici. Ma soprattutto abbiamo voluto sottolineare il ruolo di ‘ponte’ svolto da Daniele, sia tra le discipline, le specializzazioni, i sistemi di fonti, i campi di ricerca, sia tra le diverse generazioni di studiosi.

Daniele ha infatti costruito negli anni una straordinaria, vastissima, rete di relazioni, di amicizie e di affetti, diventando, in particolare, un riferimento per tantissimi. Lo dimostrano sia l’entusiastica adesione al libro, che raccoglie i contributi di 80 amici e colleghi, sia la numerosa presenza qui oggi a Roma. Pur in un momento di festa e di allegria, permettetemi di ricordare un solo autore che purtroppo non può esserci oggi, Massimo Montella, che pur essendo ormai molto malato ha voluto partecipare al libro, di fatto lasciandoci il suo ultimo scritto, una sorta di bilancio.

Nelle pagine introduttive abbiamo tentato di focalizzare alcune questioni centrali nel percorso culturale, politico e umano di Daniele: a) il suo essere pienamente un ‘archeologo militante’, con un contributo decisivo alla riflessione metodologica, alla costruzione di standard nello scavo stratigrafico, allo sviluppo dell’archeologia urbana, alla definizione stessa della figura dell’archeologo; b) il suo impegno universitario prima a Siena e poi a Roma, intrecciato con tanti filoni di ricerca, nello studio delle anfore romane e dell’instrumentum, dell’epigrafia, dei paesaggi urbani e rurali, dell’iconografia, fino al suo più recente progetto sul primo miglio dell’Appia, che, in un ideale percorso circolare, lo ha riportato alle origini, addirittura alla sua tesi di laurea sul colombario di Vigna Codini; c) la sua intensa attività nel campo della politica dei beni culturali.

Ognuno di noi ha con Daniele un rapporto particolare. Per me è una sorta di fratello maggiore, è sia il maestro grazie al quale sono di fatto diventato archeologo, sia un costante e prezioso riferimento per tutta la mia attività, più recentemente, anche per il mio impegno nel campo della politica dei beni culturali, sia un amico con il quale condivido da quarant’anni gioie e tristezze, successi e amarezze (non ultime quelle per la Roma).

Sono quindi molto felice di festeggiare qui e ringraziare Daniele per la sua generosità e la sua umanità oltre che per la lezione di archeologia globale che da tanti anni, con i suoi scritti, con i suoi interventi, con gli scambi di opinione, con la sua amicizia, ci consegna ogni giorno.


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