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Poco rispetto per le professioni museali
Il lavoro nel patrimonio culturale è ancora eccessivamente dominato dal precariato e dalla mancanza di regole, di diritti e doveri, di deontologia, di codici etici.
Alcune figure, poi, sono ancora prive di una forma di riconoscimento: in primis le professioni museali. Basti pensare che la legge 110 del 2014, pur rappresentando un importante progresso, perché ha finalmente apportato una modifica al Codice dei beni culturali e del paesaggio introducendo alcune figure professionali non regolate dagli Ordini, come quelle dell’archeologo, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, antropologo fisico, esperto di diagnostica e storico dell’arte e ha previsto anche l’istituzione di specifici elenchi presso il Ministero della Cultura, effettivamente poi attivati con un decreto (DM 244/2019), ha escluso i professionisti dei musei, come anche altre figure professionali del patrimonio culturale.
Per tale motivo, negli anni in cui sono stato presidente del Consiglio superiore ‘Beni culturali e paesaggistici’ volli attivare un gruppo di lavoro, in collaborazione con il Consiglio Universitario Nazionale, che produsse un corposo documento sulla formazione, sulle forme di collaborazione tra i Ministeri dell’Università e della Cultura e sulle figure professionali, comprese le professioni museali, grazie anche all’impegno di un grande economista della cultura recentemente scomparso, Massimo Montella.
Pertanto ho colto volentieri l’invito di alcuni autorevoli colleghi a sottoscrivere un documento, stimolato da un caso recente relativo alla direzione del Museo di Santarcangelo di Romagna. Un caso tra i tanti, purtroppo. Ecco di seguito la nostra lettera aperta.
«La crisi dei comparti culturali in tempo di pandemia ha portato allo scoperto problemi che erano noti e sopportati, ma che il fermo delle attività ha reso insostenibili: è il caso del precariato strutturale, permanente, di moltissimi tecnici e operatori diversi del settore dello spettacolo.
Nel caso dei musei l’attenzione è stata concentrata, più che sugli operatori, sulla separazione fra collezioni e pubblico. Ma nel diradarsi delle attività in presenza, dei cosiddetti “eventi”, emerge la debolezza strutturale di troppi musei di enti locali, che, nella folle politica dei tagli lineari, sono stati progressivamente lasciati vuoti di personale. Non di rado la direzione - ICOM Italia lo denuncia da tempo - viene posta in capo a dirigenti amministrativi, lasciando poi di fatto al vertice della struttura (o persino di una rete) professionisti inquadrati a vita come conservatori, con mansionari da tuttofare, ai quali non si dà prospettiva di acquisire qualifica e ruolo di direttore.
Qualche volta, invece, si fanno selezioni per individuare un vero direttore. Ed è il caso, da ultimo, di Santarcangelo di Romagna (Rimini), ove la procedura selettiva tuttora in corso (anche se è scaduto il termine per la raccolta delle “manifestazioni d’interesse”, più che un vero concorso pubblico) riguarda il «Direttore Scientifico dei Musei gestiti, per conto del Comune di Santarcangelo, dalla Fondazione Fo.cu.s.». Insomma, un vero direttore, che verrà scelto dalla Fondazione Culture Santarcangelo, fra candidati cui si chiede un curriculum robusto e la presentazione di una proposta strategica; gli impegni che si profilano sono così numerosi e sfidanti, che solo un impegno quotidiano, costante, potrebbe farvi fronte, se a svolgerlo fosse un professionista davvero esperto dotato di una struttura di supporto adeguata.
E invece: il compenso è di 20.000 (ventimila) euro l’anno, ossia meno dell’importo di un semplice assegno di ricerca per un giovane ancora in formazione in Università.
È un caso fra i tanti, ma emblematico. Fra l’altro il direttore dovrà occuparsi del Museo che fu “di Mario Turci”, antropologo che ha fatto scuola nella museologia italiana, ma andato da qualche anno in pensione.
Non è il caso qui di scendere nel dettaglio del bando, che è pubblico; merita invece fare istanza al Comune perché, prima che si ufficializzi la conclusione del procedimento, si ponga in autotutela, chiedendo alla Fondazione di annullare la procedura selettiva. Non vi è infatti alcun rapporto ragionevole tra le funzioni richieste dal bando (impegnative, strategiche, ma con scadenza a brevissimo termine: tre anni), entità della retribuzione (sessantamila euro per tre anni di lavoro precario), incertezza di inquadramento nell’esercizio di funzioni pubbliche, vaghezza di autonomia, di responsabilità.
Dal 2001 l’Italia dispone di un ben noto Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei, articolato in otto ambiti, il quarto dei quali è dedicato al personale. Del Direttore vi si dice che ha «Responsabilità dell’attuazione delle politiche museali e della gestione complessiva del Museo, della conservazione, valorizzazione e godimento pubblico dei beni culturali in esso contenuti» anche nel caso in cui operi in condivisione di tempo su più strutture museali; gli si richiede «Diploma di laurea - specializzazione in discipline attinenti la tipologia del Museo - corsi di formazione specifici». Il bando di Santarcangelo esige anche precedente esperienza direzionale. C’è da chiedersi dunque quale sia l’inquadramento professionale che risponda a questi alti requisiti e compiti, necessari per una rete di musei, e che inoltre possa ritenersi adeguatamente remunerato per la somma che la Fondazione rende disponibile. L’incongruenza è evidente, anche in riferimento alla Carta delle professioni museali, che così si esprime:
«Al centro della Mappa delle professionalità museali è collocato il direttore, la figura centrale e inderogabile del museo. Il direttore è il garante dell’attività del museo nei confronti dell’amministrazione responsabile, della comunità scientifica e dei cittadini. A lui afferisce la piena responsabilità dell’attuazione della missione e delle politiche del museo, della sua gestione, della conservazione, valorizzazione, promozione e godimento pubblico delle collezioni, nonché della ricerca scientifica svolta dal museo. È il responsabile diretto e indiretto delle risorse umane e finanziarie, dell’attuazione delle funzioni del museo e dell’insieme delle sue relazioni interne ed esterne».
Altra sarebbe stata la nostra valutazione, se un importo del genere fosse stato destinato a cofinanziare lo studio preliminare di un piano strategico, sulla cui base ridefinire la mission della rete museale, lo sviluppo, l’organizzazione, il funzionigramma, le alleanze, le funzioni civiche, i lavori urgenti; insomma: il piano strategico di gestione, conservazione e valorizzazione di medio periodo. Al contrario, dietro la maschera dell’aggettivo “scientifico”, resta malcelata una figura svilita e sottovalutata, di incerto inquadramento; insomma, una specie di tappabuchi usa-e-getta.
È solo l’ultimo episodio di troppi; ma speriamo che, con l’auspicato azzeramento, sia pure in extremis, della procedura, diventi invece il primo caso di una completa reimpostazione del comportamento degli enti e uffici pubblici, ovvero dei loro affidatari, che hanno responsabilità gestionali di musei in coerenza anche con le più recenti disposizioni in tema di Sistema museale nazionale.
Occorre che le Regioni si assumano efficacemente la responsabilità che è loro propria, fin dal 1972, in materia di regolamentazione dei musei di enti locali, valutando la possibilità, in caso di incongruenze così evidenti, di revocare l’accreditamento o riconoscimento eventualmente concesso, a salvaguardia del pubblico interesse alla buona gestione dell’eredità culturale.»
Massimo Bottini
Piero Petraroia
Valeria Villa
Giuliano Volpe
Pubblicato in https://www.huffingtonpost.it/entry/poco-rispetto-per-le-professioni-museali_it_60a4b94de4b09092480a1f5b?utm_hp_ref=it-homepage
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