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Vittorio Emiliani, Musei e turismo Il “tafazzismo” dell’Italia

Musei e turismo. Il “tafazzismo” dell’Italia

 di Vittorio Emiliani

«l’Unità», 24 dicembre 2013 

Il doping delle tesi preconcette, o precotte, più sbagliate ci è ormai entrato in vena. Domanda Fabio Fazio al ministro Massino Bray perché al Metropolitan Museum vadano molti più visitatori che ai nostri Uffizi. Domanda che non sta in piedi, anzitutto per ragioni fisiche: il milione e 700 mila visitatori degli Uffizi, se raddoppiati o triplicati, non ci “starebbero” (in attesa del raddoppio del Museo) e però il Polo museale fiorentino – che brilla di tante stelle – ha registrato nel 2012 oltre 5 milioni di visitatori, cifra vicina a quella del Met. Che peraltro pratica il sistema del prezzo “consigliato”, cioè i visitatori danno quanto gli aggrada: circa 10 dollari a testa. Meno di quanto costa, in media, il biglietto in Italia. Agli Uffizi 15 euro, i ridotti 11,75.

Quindi, domanda mal posta. Che ne presuppone in genere un’altra (errata). Perché all’estero i grandi musei “sono macchine da soldi” e in Italia no? Una balla sonora. Allo stesso Metropolitan biglietti e altri proventi coprono soltanto una metà dei costi, il resto lo si colma con denaro federale, dello Stato, donazioni, ecc. Ugualmente il Louvre che, coi suoi tanto vantati 9 milioni di visitatori e con un apparato di servizi commerciali aggiuntivi da paura, ha un 40-45% di disavanzo annuale. Coperto dal denaro dei contribuenti. Gli inglesi hanno scelto nei Musei nazionali la via della gratuità e, secondo i dati del Department for Culture, i visitatori, dal 2001 al 2012, sono cresciuti del 51%.  Quando i musei impongono un biglietto per le mostre, gli ingressi calano subito. Quindi la gratuità dei musei fa aumentare l’indotto turistico. Dove noi siamo e restiamo deboli, molto deboli.

Il ministro Bray, invece di smentire – dati nazionali e internazionali alla mano – Fazio, ha preferito raccontare la sua tormentata gita ferroviaria a Pompei. E qui cade l’autoflagellazione (o la inarrestabile tendenza “tafazziana”) tipica di noi italiani: parlare soltanto di ciò che va male, e a Pompei non v’è dubbio che è andata molto male. Per l’insipienza degli archeologi? No, per tante ragioni, fra le quali il commissariamento demenziale di un certo Marcello Fiori che ora Berlusconi ha eletto timoniere della rinata Forza Italia (auguri) e la sottovalutazione del rischio-camorra negli anni passati. Altra “tafazzata” per la vicenda del gigantesco corno rosso davanti alla Reggia di Caserta: perché non accennare al fatto che la splendida fabbrica, borbonica e murattiana – che ha avuto, certo, problemi seri per i Giardini – è stata splendidamente restaurata anni fa dallo Stato?

Bray è stato efficace, va detto, sui Bronzi di Riace, finalmente restaurati e presto di nuovo esposti nel Museo di Reggio Calabria nonostante le pressioni per portarli in città turisticamente più appetibili, o magari all’estero, come sta succedendo al Galata morente dei Capitolini, ai 35 Raffaello mandati nel lontano Giappone o ai tanti Caravaggio fatti viaggiare su e giù in Tir. Con tutti gli stress climatici e fisici del caso. Ma soprattutto sottraendoli ai visitatori stranieri venuti apposta nei nostri musei per ammirarli. E imbufaliti.

Un’altra scemenza ormai in vena: siamo dei poveretti perché nel centro storico romano non circolano (?) le masse di turisti di Berlino, di Londra, o di Parigi. Trascurando due o tre cosucce:

a) che l’Italia può offrire una dozzina di capitali dell’arte oltre a Roma (Firenze, Napoli, Venezia, Palermo, Genova, Torino, Milano, Bologna, magari Mantova e Parma, e pure Assisi e Pompei);

b) che a Roma il centro storico romano, medioevale, rinascimentale, barocco, neoclassico, ecc. esiste ancora, con una fitta rete di strade, stradette, vicoli e piazzette, che – al pari della Galleria Borghese dove le visite sono ovviamente contingentate per ragioni di sicurezza e di microclima – non possono essere “gonfiate” e trasformate in un totale Divertimentificio essendovi residenti, fissi e saltuari, uffici, pubblici e privati, insomma una città, mentre a Londra (per incendi e speculazioni), a Berlino (per le bombe) e a Parigi (per il barone Haussmann) il centro storico medievale e successivo non esiste più, se non a brandelli;

c) che già la flotta di bus turistici e di quelli dei pellegrini, per ora sgovernata, sta rendendo meno vivibile, a tutti, Roma. Quanto ai dati sul turismo a Roma, ci andrei cauto: quelli ufficiali registrano forse la marea dei B&B in nero sorti di recente e il pianeta delle case religiose offerte a buon prezzo un po’ dovunque?

Un’ultima cosa (trascurata dai luoghi comuni calcificati): il turismo che va per chiese, e non solo per musei, chi lo censisce? E però nel Sud le chiese conservano i due terzi circa del patrimonio. A Roma – nel tratto fra Ponte Sant’Angelo e il Pantheon, un paio di Km scarsi – incontri l’antica Zecca e palazzi vicini (Sangallo), l’Oratorio dei Filippini (Borromini), la Chiesa Nuova (2 Rubens, 2 Barocci, un Guido Reni, ecc.), San Salvatore in Lauro (Pietro da Cortona e il Cenacolo dei Piceni, arte veneta), Santa Maria della Pace (Raffaello, Peruzzi, Gentileschi, il chiostro di Bramante, Pietro da Cortona), Sant’Andrea della Valle (grandioso ciclo di Domenichino, Mattia Preti, Lanfranco, ecc.), Sant’Agnese in Agone (Borromini) e, dico niente, piazza Navona (Bernini e altri), Sant’Agostino (Raffaello e Caravaggio), San Luigi dei Francesi (Caravaggio, e che Caravaggio, e Domenichino) e altro ancora prima del Pantheon che, essendo una chiesa, non fa pagare né registra ingressi… Chi fa conoscere o “promuove” questo patrimonio? Nessuno. Santa Maria della Pace è aperta tre mattine, stentate, a settimana.

 


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