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Andrea Carandini, Soprintendenza unica necessaria.

Un atteggiamento basato sull’intero (olos in greco) presuppone un insieme di “funzioni” e di “specializzazioni” non già confuse bensì distinte e interrelate, come in un organismo o in un contesto.

Olistico è l’articolo 9 della Costituzione, che unisce  e distingue nei commi le funzioni della promozione della cultura e della tutela; non olistica è la confusione nelle soprintendenze di queste funzioni a svantaggio della promozione.  Non olistico è dividere archeologia, arti/storia, monumenti/paesaggio in tre soprintendenze invece che raccordare queste discipline in una sola (il cardiologo opera con lo pneumologo in uno stesso ospedale, il violino e l’oboe suonano in una medesima orchestra).

Distinguere dalla tutela la promozione, visto che quest’ultima necessita soprattutto di doti soft skills, e ricomporre le specializzazioni con specialisti che a turno attuano la sintesi significa superare la legislazione vigente al tempo dell’approvazione della Costituzione e non certo violare quest’ultima. Infatti se distingue la promozione dalla tutela essa neppure menziona le specializzazioni, trattando paesaggio e patrimonio di storia e arte in una visione contestuale. Per non dire che il soggetto dell’articolo 9 è non lo Stato, allora unico soggetto attivo, ma la Repubblica, fatta dallo Stato a cui si aggiungono la sussidiarietà “verticale” di Regioni e Comuni e quella “orizzontale” di singoli e associati della società civile (articolo 118).

Contrariamente alle troppe alterazioni “tappa buchi” subite dal Ministero, la riforma Franceschini è prima a seguire una visione politico-culturale olistica con il suo corteggio di immancabili imperfezioni. Più che di difetti nei fini, essa conosce difetti nei mezzi, ma essendo questi ultimi subordinati ai fini, bisogna porre riparo ad essi, mantenendo fermi i valori.   La riforma è prevalentemente buona nel suo aspetto essenziale, perché innova secondo principi adatti al mondo di oggi, che alle antologie preferisce i contesti (nei quali archeologia e architettura con storia e arte si compenetrano) e che alle decisioni individuali preferisce quelle collegiali (a vantaggio dei cittadini che hanno finalmente un interlocutore unico). Alla riforma si accompagna - dopo anni di tagli dovuti all’enorme debito pubblico accumulato senza che gli intellettuali protestassero - un 27 per cento in più nel finanziamento e una prima mandata di 500 nuovi specialisti, i quali rappresentano una svolta seppure non il raggiungimento di una meta. E’ una riforma che riguarda non soltanto la quantità (soldi e persone) ma anche la qualità, mandando a gambe all’aria vetusti assetti e credenze anchilosate.

Dal valore in sé dei beni si è passati al valore che ne dovrebbero conseguire le persone”, dal “diritto del patrimonio culturale” al “diritto al patrimonio culturale”, dal tutt’uno indistinto sotto la preminenza della tutela a ricerca, tutela, valorizzazione e gestione intese come funzioni diverse seppure interrelate. Infatti la ricerca riguarda il senso delle cose, la tutela il come proteggerle, la valorizzazione il come conservarne e rinnovarne il senso diffondendone la percezione e la gestione il come fare nel modo migliore dal punto di vista culturale ed economico. Insomma, la promozione della cultura – lo sviluppo della ricerca, della comunicazione e della economia a vantaggio della manutenzione dei beni - e la tutela di paesaggio e  patrimonio sono valori primi incommensurabili e quindi non gerarchizzabili. Non esistono giusti restauri e manutenzioni durevoli senza studio, valorizzazione culturale e sviluppo economico, questo ultimo volto a incrementare i mezzi necessari per svolgere valorizzazione e conservazione; al contrario dei “servizi” che si “aggiungono” mentre invece sono essenziali a qualsiasi impresa culturale.  In questa prospettiva si amano le cose quanto le persone, i cui desideri diversi vanno curati, a partire dai bambini,  se la cultura dovrebbe essere di tutti. La tramontata società di classe egemonizzata da una élite non aveva bisogno di un tale spirito di intrapresa, mentre la società democratica di massa lo esige. Antichi regimi, stato della borghesia liberale e stato fascista sono mondi che hanno più poco a che vedere con il nostro.

 

Nei contesti paesaggistici edifici dalle diverse funzioni ed epoche si intrecciano, riutilizzando promiscuamente le loro parti, eppure una collaborazione organica fra le soprintendenze specialistiche mai si è attuata. Ciò mi ha portato a immaginare una soprintendenza unica fino dagli anni ’70 e in quanto responsabile nazionale dei beni culturali nel PCI ho collaborato alla stesura della legge sui beni culturali della Sicilia, che non ha dato gli esiti sperati solo per le pesantissime interferenze del potere politico locale. A parte questa esperienza e altre in piccole regioni, l’unificazione delle specializzazioni è rimasta un tabù; si sono inventati organismi superiori volti a coordinarle rivelatisi tutti inefficaci. A riaprire la questione nel 1996 è stato un articolo su “Ostraka” del funzionario di soprintendenza archeologia C. Pavolini. Tra gli anni ’70 e ’90 la sinistra era ancora creativa (PCI, “Dialoghi di Archeologia”, Regione Toscana…). Poi si è avuta la mummificazione di una tradizione, allora fertile, da riprendere oggi sotto la luce del mondo mutato.

 

Nel suo recente libro Abecedario (2015) R. Cecchi - già segretario generale del Ministero - sostiene che “lo Stato deve conservare il ruolo d’indirizzo e di controllo, coinvolgendo la parte privata nella progettualità e nella valorizzazione… L’amministrazione non ha mai fatto della gestione un progetto; l’ha trattata come una attività di risulta… Sulla valorizzazione il Codice tace… Senza valorizzazione non è dato l’esercizio della tutela, come dimostra il caso di Carditello…” Tra gli esempi virtuosi Cecchi ricorda l’Egizio di Torino.   Franceschini, invece di puntare sulle fondazioni, si è dedicato a distinguere la tutela dalla valorizzazione istituendo per musei e parchi poli regionali e una ventina di uffici autonomi e dotati di direttori scelti tramite concorso internazionale. E’ un esperimento che presenta inconvenienti ma che ha avuto senso tentare. Non dovesse funzionare (manca l’autonomia dei mezzi e delle persone), ci sarebbe da ripensare all’Ente Autonomo di M.S. Giannini, oltre agli affidamenti ai diversi tipi di fondazioni. L’importante è che i controllati non coincidano coi controllori, come sempre è avvenuto.

Varie scelte di questo governo, basate su deroghe, mirano a favorire i costruttori più che la tutela e la promozione del paesaggio e del patrimonio culturale. E’ l’esito della spinta di quella parte della società esasperata dalle lunghezze burocratiche e non ancora convinta della nobiltà e utilità dei suddetti valori. A me sembra che Franceschini faccia il possibile per resistere a questa spinta, riformando l’amministrazione e incrementandone mezzi e personale, seppure in misura non ancora sufficiente e dando considerazione inadeguata a competenze particolari, laboratori, archivi e biblioteche che devono essere coordinate in ogni regione.   Infatti le soprintendenze sono notevolmente accresciute (39 uniche e 2 speciali), per cui la loro competenza si è ridotta a poche province. Mezzo essenziale, soprattutto per gli archeologi, sono le automobili, senza le quali è impossibile raggiungere i luoghi impervi dove si annidano sovente insediamenti sepolti. 

Protestare costruttivamente per attuare bene la riforma è giusto e il Ministro deve ascoltare. Ai catastrofisti che vedono la fine della tutela in Italia bisogna dar retta solo fino a un certo punto: ad esempio, per Franceschini “il prefetto non sostituisce il soprintendente in nessun caso”. Il fine è loro imbalsamare e protrarre assetti amministrativi oramai arcaici. L’Istituto centrale dell’archeologia (tipologia, stratigrafia, topografia, GIS, Autocad, rilievi, prospezioni geomagnetiche) è un antico sogno che sta per avviarsi. L’Art Bonus sta funzionando con oltre 60 milioni raccolti e alcuni monumenti  inadeguatamente gestiti verranno affidati per bando a no profit meritevoli. Si riapre infine una possibilità per la Collezione Torlonia… Amici archeologi protestate, dubitando del governo, ma anche di voi stessi. Ad esempio, è stato saggio rifiutare, per affezione all’abitudine, la soprintendenza unica a dimensione regionale, prospettata in occasione della riforma del 2014 da Giuliano Volpe, e difendere le soprintendenze archeologiche, inducendo così il Ministro alla attuale dimensione interprovinciale? Una cosa è chiara, le soprintendenze interprovinciali dovranno essere aperte gradualmente solo quando sarà assicurata la presenza di funzionari delle tre specializzazioni tradizionali (il tuttofare va escluso).

Articolo pubblicato in Sole 24Ore Domenica, 28 febbraio 2016, p. 35


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