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Fuochi incrociati sulla riforma MiBACT: spesso basati su scarsa o nulla conoscenza del testo
Su La Repubblica di oggi ho letto un articolo di Carlo Ginzburg, grandissimo storico e raffinato intellettuale, sulla riforma del MiBACT. Colpisce, però, che si parli di tale riforma per sentito dire, sulla base di anticipazioni giornalistiche assai poco documentate, senza conoscere il testo di legge, sia pure non nella sua forma definitiva, che ovviamente sarà quella approvata in Consiglio dei Ministri.
Pertanto assistiamo alle reprimende di chi, come il prof. Antonio Paulucci, continua a parlare di manager a capo dei musei (ancora oggi in una sua intervista), mentre mai nessuno ne ha parlato, e in ogni occasione pubblica anche il ministro Franceschini ha precisato che si tratta di figure di specialisti della materia (archeologia, storia dell’arte, etc.) con specifiche competenze in campo museale, assunti con concorsi aperti, di livello internazionale, per far vivere i nostri musei (tutti i musei e non solo i 19 selezionati per avere autonomia e un direttore di livello dirigenziale), come dice il testo di legge, con un forte “progetto culturale … in modo da garantire omogeneità e specificità di ogni museo, favorendo la loro funzione di luoghi vitali, inclusivi, capaci di promuovere lo sviluppo della cultura», e con «elevati standard qualitativi nella gestione e nella comunicazione, nell’innovazione didattica e tecnologica, favorendo la partecipazione attiva degli utenti e garantendo effettive esperienze di conoscenza”. Cosa ha che fare tutto ciò con i manager che vengano da McDonald? E allora perché si continua con questa litania dei musei gestiti dai manager e non più da storici dell’arte o da archeologi. O un museo va bene solo se è diretto dal soprintendente o da un funzionari, ma non va bene se lo dirige un altro specialista archeologo, storico, storico dell’arte, dello stesso MiBACT, magari selezionato per le sue documentate competenze nel campo della gestione, della valorizzazione, della comunicazione, come accade un po’ in tutto il mondo?
Oppure, perché, come fa il prof. Ginzburg, si continua a dire che si intende smantellare le soprintendenze? La riforma prevede che in ogni regione resti una soprintendenza archeologica (più quelle speciali di Roma e Pompei), esattamente come chiedevano i soprintendenti archeologi. Certo sono state unite le soprintendenze architettoniche e quelle storico-artistiche (ma in alcune regioni questo tipo di soprintendenze già esistevano; e nelle regioni in cui c’erano 2 o più soprintendenze ai beni architettonici o a quelli storico-artistici, resteranno 2 o più soprintendenze miste). Cosa è successo di così scandaloso? Si sono finalmente unite la tutela dei muri e quella degli affreschi che li rivestono, del paesaggio con gli insediamenti! E allora? Personalmente avrei unificato anche le soprintendenze archeologiche in organismi unici, multidisciplinari, a base territoriale, capaci di esprimere una tutela unitaria, organica, olistica, del patrimonio culturale e dei paesaggi. Ma questo è già un passaggio in tale direzione, come dimostra la creazione delle ‘Commissioni regionali per il patrimonio culturale’, organismi collegiali nei quali siederanno tutti i soprintendenti della regione, per amalgamare le politiche di tutela e di valorizzazione, per superare l’assurda frammentazione attuale, per cercare di parlare con una voce sola, invece di emettere spesso pareri discordanti tra le soprintendenze, alla base di tanti conflitti, di tanti ricorsi, di tante perdite di tempo inutili e spesso dannose per i cittadini. E perché il prof. Ginzburg parla impropriamente di sottrazione delle competenze di tutela alle soprintendenze “affidate a comitati regionali formati da persone spesso prive di competenza specifica che decideranno della sopravvivenza di opere, di edifici, di equilibri paesaggistici fragilissimi”. Prof. Ginzburg, quei comitati saranno costituiti dagli stessi soprintendenti, e sono certo che lei non possa considerarli “persone prive di competenza specifica”! Saranno questi stessi comitati a rivedere il parere di una singola soprintendenza, nel caso di opposizioni da parte di Enti pubblici (non di privati), spesso provocate da pareri divergenti di soprintendenze sorelle, che però parlano assai poco tra di loro. Ma allora dov’è il problema? Tale organismo collegiale, coordinato da un segretario regionale, sulla base del lavoro istruttorio delle soprintendenze, impone vincoli, dichiara l’interesse culturale, lavora alla redazione dei piani paesaggistici, etc. e soprattutto “coordina e armonizza l’attività di tutela e di valorizzazione nel territorio regionale, favorisce l’integrazione inter- e multidisciplinare tra i diversi istituti, garantisce una visione olistica del patrimonio culturale e paesaggistico, svolge un’azione di monitoraggio, di valutazione e autovalutazione». Il prof. Ginzburg afferma – e condivido totalmente la sua visione – che la “la caratteristica principale della storia d’Italia è il policentrismo” e, infatti, il nuovo impianto conserva intatto e anzi rafforza l’approccio territorialista, la presenza regionale del ministero, facendo snellire nel numero di dirigenti il centro a tutto vantaggio della periferia, ma al tempo stesso rafforza il ruolo dei musei, sia grandi che piccoli e piccolissimi, ora inseriti in sistemi museali regionali, e cerca di affermare una maggiore capacità aggregativa. Inoltre, ed è un altro aspetto di non poco conto, sviluppa l’aspetto legato alla formazione, all’educazione al patrimonio culturale, e alla ricerca (con una specifica DG), in particolare sviluppando rapporti di stretta collaborazione-integrazione tra università e soprintendenze.
Certamente ci sono punti deboli, aspetti da migliorare e precisare. Ma soprattutto molto dipenderà da come la riforma verrà applicata (sempre che vanga approvata e non stravolta, se supererà il fuoco incrociato cui è sottoposta, da vari fronti opposti e convergenti), e dalle risorse che si riuscirà a mettere in campo soprattutto per ricominciare ad assumere i giovani.
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