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Gucci a Castel del Monte
Sta suscitando scalpore (e, come sempre, anche polemiche) la scelta di Gucci di presentare la sua nuova collezione il prossimo 16 maggio nello spettacolare contesto di Castel del Monte.
Bene ha fatto il Ministero della Cultura ad accettare di ospitare la manifestazione di alta moda nel castello tanto caro a Federico II e di avvalersi di un progetto di valorizzazione sostenuto dalla celebre Casa di moda.
Il monumento, al momento il più visitato tra i musei statali in Puglia, ha un grande bisogno di uno specifico progetto di valorizzazione, possibilmente anche con l’impiego intelligente di tecnologie multimediali, oltre che di sussidi didattici più tradizionali, di cui ha bisogno, nonostante i progressi della gestione degli ultimi anni. Spesso infatti i visitatori (sono stati circa 270.000 nel 2019, prima della crisi pandemica) si aggirano nelle sale un po’ spaesati e un po’ delusi, in particolare i giovani e i bambini che pure sarebbero molto attratti da una capacità di racconto che ne faccia conoscere le caratteristiche costruttive, gli apparati decorativi, i possibili arredi, le tante funzioni svolte. E così persistono le tante interpretazioni più o meno fantasiose quanto infondate: dal tempio al luogo esoterico, dall’osservatorio astronomico all’hammam! Tutto un armamentario di falsi miti di un presunto “Medioevo misterioso” contro cui ha combattuto una lunga e appassionata battaglia il grande medievista Raffaele Licinio, con le armi rigorose della ricerca storica (e dell’ironia). Per riportare il castello federiciano nel suo contesto storico e culturale il visitatore potrebbe consultare il bel libro di Massimiliano Ambruoso (Castel del Monte. La storia e il mito, Edipuglia 2018). Ma sarebbe molto più efficace poter ricavare una serie di informazioni e di suggestioni visitando il castello con il supporto di adeguati supporti didattici capaci di comunicare i significati delle architetture e degli spazi, contestualizzando il monumento nella politica di Federico II, stabilendo i collegamenti con gli altri luoghi federiciani, da quelli vicini come Melfi, Lagopesole, Foggia, Lucera, Castel Fiorentino (dove l’imperatore morì), a quelli più lontani, da Jesi, dove è stato allestito un bel museo multimediale, a Palermo, dove sono conservati i resti dell’imperatore svevo in uno splendido sarcofago di porfido. Se, oltre al pagamento del canone dovuto per l’uso degli spazi (introdotto a suo tempo dal ministro Ronchey), questa collaborazione con Gucci dovesse produrre un risultato di deciso miglioramento della fruizione del monumento, il bilancio sarebbe già molto positivo.
Ma questo è solo uno dei motivi per cui è stato opportuno dire di sì alla proposta di Gucci. Ne sintetizzo alcuni altri. L’Italia è nota e apprezzata nel mondo intero per il suo patrimonio culturale, i paesaggi, la musica, le arti, la musica, la cucina, il design, la creatività, la moda: raramente però questi elementi sono accostati e integrati, in maniera organica e rispettosa l’uno dell’altro, in grado di fornire un’immagine complessa (e positiva) del nostro Paese. Connettere monumenti del passato e creatività contemporanea, paesaggi e beni materiali e immateriali, patrimonio e società di oggi: ecco una delle sfide entusiasmanti della valorizzazione. Lo si può fare in maniera rozza e strumentale (per esempio usando un luogo culturale solo come location), ma anche in maniera colta, elegante, intelligente (per esempio come si è fatto a Siponto nella creazione di un’opera d’arte contemporanea che dialoga con il monumento archeologico, che contribuisce a valorizzare). La sfilata sarà, inoltre, trasmessa in streaming in tutto il mondo: contribuirà così a moltiplicare la già notevole celebrità del castello ottagonale e, di conseguenza, ad accrescere anche il numero dei visitatori, che pur essendo al momento il più alto tra i musei di Puglia, è ancora ampiamente sottodimensionato rispetto alle potenzialità di uno dei castelli più originali e interessanti al mondo. È non sarà solo una questione di numeri se ai visitatori saranno offerti migliori servizi per una fruizione consapevole.
La manifestazione organizzata da Gucci non limiterà, se non minimamente, la normale fruizione del sito. È da apprezzare la scelta di diluire le attività di preparazione della manifestazione (tra il 7 e il 17 maggio), in modo da non impedire il normale accesso (favorito in quei giorni anche da un costo del biglietto di soli 2 euro), sia pure con alcune riduzioni di orario nei due giorni immediatamente precedenti e in quello successivo alla sfilata del 16 maggio.
Sono state prese, infine, tutte le precauzioni per non procurare il sia pure minimo danno al monumento. Sono questi infatti gli unici paletti, a mio parere, per valutare se ospitare o meno una un’iniziativa di questo tipo in un luogo della cultura: a) nessun danno materiale al monumento; b) la compatibilità con la fruizione pubblica; c) la promozione della conoscenza del bene culturale; d) la possibilità di ricavare risorse ulteriori da destinare a tutela, restauri, studi, valorizzazione.
Anni fa alla stessa Gucci fu negata una breve sfilata sull’Acropoli di Atene. Secondo indiscrezioni avrebbe proposto una somma milionaria in lavori di restauri. Quel no, come altri analoghi in passato molto frequenti anche da noi, sono figli di una visione sacralizzata dei monumenti e dei musei, di un pregiudizio verso ogni altra forma di uso, pur rispettoso e compatibile, dei luoghi della cultura. Posizioni proprie di quanti si considerano “sacerdoti” del culto del patrimonio culturale), difensori di una visione elitaria, detentori di una presunta purezza della cultura (che da sempre ha invece dialogato con l’economia e gli altri aspetti della società di cui è stata espressione). Si sentono giudici arcigni al servizio di una sorta di Stato etico pronti a puntare il dito per decidere cosa è bene e cosa è male (un concerto di musica da camera sì, una sfilata di moda assolutamente no!). Insomma quanti contrastano da anni le riforme del ministro Franceschini, che hanno profondamente innovato tanti aspetti del mondo dei beni culturali, per anni imbalsamato in un’anacronistica contrapposizione tra tutela e valorizzazione (si veda ora il suo recentissimo libro Con la cultura non si mangia?, La nave di Teseo 2022).
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