Nuovamente a Monterosso, per i 400 anni del convento francescano
Sono nuovamente a Monterosso, a pochi mesi dalla mia prima visita. Questa volta su invito di padre Renato, l'attivissimo priore del convento francescano che in questi giorni festeggia i suoi primi 400 anni di storia, da quando alcuni Frati cappuccini posero la croce su questo monte. E' un'esperienza bellissima, coinvolgente, piena di significati spirituali, religiosi (nel mio caso, da non credente, di profondo rispetto per chi ha fede), umani e culturali. Il convento è un luogo di spiritualità, di pace e di cultura. Un luogo che è parte integrante della comunità locale, legatissima al convento e a padre Renato, del suo paesaggio e della sua storia. Qui c'è una vera comunità, con tanti volontari provenienti da varie parti d'Italia. Ci resto quasi tre giorni, sentendomi parte, con mia moglie, di questa comunità. Il primo giorno il clima è assai mite (in giorni di freddo polare in Italia), l'accoglienza è subito affettuosa. La chiesetta ha quadri di assoluto pregio. Il chiostro è delizioso. Le cellette, piccole, essenziali ma confortevoli. L’orto curato, la veranda ha una vista mozzafiato. Intorno i paesaggi terrazzati con lembi di terra conquistati con fatica al l’agricoltura. Il piccolo cimitero a due passi dal convento ha tombe monumentali e sepolture assai semplici e avrebbe bisogna di maggiore cura. Il bel centro di Monterosso in questi giorni è un piacere (con pochi turisti e tanto lavoro di manutenzione in corso). La sera l'arrivo dei volontari, dei frati liguri e del ministro generale dei cappuccini rappresenta un momento di festa, a cena con cucina valtellinese (padre Renato è originario della Valtellina e sono in tanti a seguirlo come volontari). Siedo accanto a frate Enzo, 35 anni da missionario in Centroafricana, che mi racconta della grammatica guerra civile, dei mercenari sanguinari, di morte, malattie, ma anche di una straordinaria umanità, delle scuole fondate lì, dei pozzi per l'acqua, dell'agricoltura. Arriva la domenica con la grande festa. Tempo freddo, pioggia, vento. Ma c'è tanta gente, c'è la banda, molti sindaci del territorio. Si parte in processione verso la città. Poi la messa solenne, al termine della quale padre Renato chiede anche a me di intervenire: lo faccio con piacere parlando di cultura, della straordinaria comunità di patrimonio creatasi intorno al convento, del patrimonio come memoria, della necessità che sia elemento di apertura, di conoscenza reciproca, di pace. Poi un grande pranzo popolare francescano (con ottima pasta e fagioli) con 600 persone. Infine un giro, mentre ormai nevica, per visitare l'eremo della Maddalena, un posto incantevole strappato all'abbandono e al degrado da proprietari colti e sensibili che ora lo usano con garbo come B&B e che stanno avviando una produzione vitivinicola di qualità. Infine una puntata nelle ville e nei luoghi legati a Eugenio Montale. Un meraviglioso soggiorno che mi fa amare ancora di più questi luoghi, che però rischiano di subire gli effetti nefasti di un turismo insostenibile (lo scorso anno oltre 3 milioni di turisti, la maggior parte dei quali solo per poche ore). Serve urgentemente un piano strategico per il turismo sostenibile delle Cinque Terre che conservi la qualità paesaggistica, ambientale e culturale di questi territori.
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